Editoriale 159

Sono Marga dell’Osho Times. Mentre Akarmo è comodamente seduto in Vipassana a Osho Miasto, eccomi qui a scrivere questa newsletter al suo posto.
Ed è con enorme piacere che mi accingo a raccontarvi una storiella di vita quotidiana, proprio come farebbe lui.
Come forse alcuni di voi sanno io vivo in India, a Goa, per la precisione. Oggi ero alla guida della mia auto su una stretta ma bellissima strada senza traffico in mezzo alla campagna, quando all’improvviso mi sono trovata davanti un grande pullman di linea che procedeva ai 25 all’ora, occupando praticamente tutta la carreggiata. Mancavano ancora circa 15 chilometri alla mia destinazione e ho cominciato a spazientirmi, perché a quella velocità non avevo speranza di arrivare puntuale. E la speranza di riuscire a sorpassarlo era ancora più esigua: strada stretta, tutte curve, visibilità rispetto alle eventuali macchine in direzione opposta vicina allo zero. 

Ho alzato il volume della musica che stavo ascoltando, in modo da distrarmi dal senso di impotenza che provavo, quando ho visto la strada allargarsi proprio vicino a una curva e mi sono sentita ancora più stretta, tra la tentazione di sorpassare comunque visto il poco traffico e la paura di fare un frontale, se mai fosse davvero arrivato qualcuno.


Pulman indiano


Con senso di scoramento ho deciso di restare dietro al pullman e in quel preciso istante l'ho visto rallentare, spostarsi più a sinistra possibile (in India si tiene la sinistra e non la destra) e l’autista farmi cenno con la mano per indicarmi che non arrivava nessuno in senso opposto e che potevo passare.
Prontamente ho accelerato e l’ho superato, ringraziando con un gesto della mano il guidatore per la sua gentilezza.
In quel momento ho sentito il cuore allargarsi…
Per quanto sia un episodio molto comune sulle strade indiane, un codice tra automobilisti che va al di là delle regole scritte – regole che molti nemmeno sanno – mi ha per un attimo aperto un varco nella contemplazione di quanto è bello essere umani e sostenersi a vicenda, scambiandosi generose e preziose gentilezze che non hanno altra ragione d’essere se non il puro… altruismo.

Qui ho dovuto fare una pausa, perché avrei usato la parola inglese "selflessness", che ha uno spettro molto più ampio e profondo del termine italiano “altruismo”. Selflessness non ha niente a che fare con l’altro, con una terza parte che riceve un gesto, ma significa semplicemente “assenza di sé”, che è un concetto molto importante nel regno spirituale, anche se spesso confuso, vilipeso e manipolato dalle religioni. Sia nel cristianesimo che nell’induismo si pone molta enfasi sul sacrificio, sul servizio, sulla rinuncia al proprio egoismo a favore dell’altro. Sono forme di selflessness che mi han sempre dato fastidio, perché spesso non sono oneste e sono usate in modo molto egoistico, come mezzi per guadagnare punti nella corsa al paradiso, scontando karma e peccati e acquisendo “indulgenze”. Nella chiesa esisteva – esiste? – un vero e proprio “mercato delle indulgenze”: i “fedeli” offrivano soldi e carità al clero in cambio dell’espurgo dei propri peccati. Nell’induismo è più un affare individuale, ma il principio è lo stesso: vado a fare volontariato, o faccio una grossa donazione a un orfanotrofio, per acquisire buon karma e bilanciare quello cattivo. Ho conosciuto una donna che dava da mangiare a tre cani per ripulire il suo karma!
Cosa c’è di selfless, di altruista in tutto ciò? Il fine è sempre personale e assolutamente egoista!
L’autista del pullman, invece, in quell’istante, con quel gesto, mi ha dato un bagliore di qualcosa di autentico, umano, imperdibile…
E non ho idea se lui stesse cercando di guadagnare punti karma o no, e non è veramente importante… È stato piuttosto il ricordo di qualcosa che Osho dice spesso:
“Per favore, lascia il mondo com’è. Puoi fare solo una cosa e quella cosa è: puoi raggiungere il silenzio interiore, la beatitudine interiore, la luce interiore. Se riesci a conseguirli, sarai di grande aiuto al mondo. Semplicemente trasformando una macchia inconsapevole in una fiamma illuminata, portando una persona dal buio alla luce, avrai trasformato un pezzo di mondo. E questa parte trasformata provocherà una serie di reazioni a catena. Buddha non è morto, Gesù non è morto.
Non possono morire, perché c’è una reazione a catena, da una candela, da una fiamma, un’altra fiamma si accende. E si crea un successore e continuano a vivere. Ma se la tua luce non c’è, se la tua candela è spenta, non puoi aiutare nessuno. La prima e fondamentale cosa che devi raggiungere è la tua fiamma interiore che altri potranno condividere, perché sarai in grado di accendere la loro fiamma. Così diventa una successione. E anche se non sarai più nel corpo, la tua fiamma continuerà a passare di mano in mano. Va avanti così dall’eternità.
​I Buddha non muoiono mai, le persone illuminate non muoiono mai, perché la loro luce diventa una reazione a catena, e le persone non illuminate non sono mai vive, perché non sono in grado di creare alcuna reazione, non hanno una luce da condividere, non hanno una fiamma che possa accendere la fiamma di nessun altro.
Per favore, pensa solo a te stesso. Sii egoista, perché è l’unico modo per diventare altruista, l’unico modo per diventare un aiuto e una benedizione per il mondo. Non preoccuparti, non sono affari tuoi. Più ti preoccupi e più pensi di essere responsabile. E più ti senti responsabile, più ti senti grande. Non lo sei. Sei semplicemente folle. Esci da questa follia di aiutare gli altri. Aiuta te stesso, è tutto ciò che è possibile fare. E a quel punto molte cose accadono, ma accadono di conseguenza. Quando diventi una sorgente di luce, le cose cominciano ad accadere. E potrai condividerla con molte persone, molti si illumineranno grazie a essa, molti riceveranno la luce, più luce, luce abbondante grazie a essa. Ma non pensarci, non puoi farci nulla consciamente. Solo una cosa è possibile fare ed è diventare consapevole. Tutto il resto seguirà…”.

Ecco, comincio a pensare che il mio autista di pullman fosse illuminato! Guarda che reazione a catena ha innescato – da lui a me a te a voi a Osho a Buddha – con un semplice gesto…
A proposito di semplice gesto... come forse già sai abbiamo deciso di stampare noi un prezioso libro di Osho sul maestro Zen Dogen, ma ci serve un contributo finanziario, perché da soli non ce la facciamo! Quindi, se vuoi partecipare a questo progetto, puoi dare il tuo contributo.
Non ci sono limiti, puoi donare la cifra che vuoi, ma se arrivi a un minimo di 30 euro riceverai una copia del libro quando uscirà, e dai 50 euro in su riceverai il libro e l’abbonamento di un anno all’Osho Times. Puoi farlo partendo da questo link:  adotta_libro_di_Osho
Vi saluto invitandovi a leggere i bellissimi articoli dell’Osho Times, la rivista “a cui è bello essere abbonati”, come direbbe Akarmo.
​E ci rivediamo magari la prossima volta che si assenterà per andarsi a sedere in Vipassana!​