Lottare o fluire

Lottare o fluire

Come reagire di fronte a una diagnosi fatale?

Un articolo di Maneesha James da Osho Times n. 286

 

Trassaco


 

Lotta, rassegnazione e accettazione

 

Il modo in cui riceviamo la notizia di una malattia grave, o addirittura terminale, è molto personale.

È particolarmente utile ricordarlo, soprattutto se si ha la tendenza a paragonarsi agli altri, in senso positivo o negativo. Ed è anche opportuno esserne consapevoli se stiamo vicino a una persona che sta affrontando una situazione simile: il modo in cui reagisce potrebbe non corrispondere a come ci immaginiamo che reagiremmo se fossimo nei suoi panni. E il suo modo di reagire deve essere assolutamente rispettato.

Alcuni di noi – magari col sostegno di amici e parenti – assumeranno l’atteggiamento “non lascerò che abbia la meglio su di me”. E decideremo di lottare contro la malattia e la morte fino all’ultimo respiro, di non accettarla passivamente.

Come sottolinea il Dr Jean Shinoda Bolen: “Specialmente quando la diagnosi è il cancro, ma anche per molte altre malattie, la prospettiva del medico è spesso simile a quella di un generale in guerra: la malattia è il nemico da combattere e il corpo del paziente il campo di battaglia”. 1

 

Coloro per i quali la sensazione di essere responsabili della propria vita è sempre stato estremamente importante potrebbero rispondere proprio in questo modo.

Anche le varie paure associate alla ma­lattia – la perdita di controllo, diventare dipendenti; addentrarsi in un territorio sconosciuto, dove ci saranno moltissime incognite, il senso di non aver ancora vissuto tutto ciò che volevamo, i nostri attaccamenti a coloro che amiamo e alla vita che abbiamo sempre condotto – possono alimentare il nostro opporre resistenza.

Altri a un certo punto potrebbero rinunciare ad opporre resistenza e invece rassegnarsi a ciò che sta accadendo. A malincuore, ammetteranno di non essere stati in grado di cambiare nulla: “Mi arrendo, devo solo assecondare la situazione”.

Nella rassegnazione c’è un senso di sconfitta, di non avere altra scelta se non inchinarsi all’inevitabile. Comprensibilmente, quindi, la rassegnazione può portare sulla sua scia molta tristezza, rabbia o risentimento.

Sebbene possa sembrare uguale alla rassegnazione, l’accettazione non si fonda sull’impotenza, ma sulla comprensione. È uno stato in cui cresciamo mentre affrontiamo ciò che riconosciamo come inevitabile. Forse l’accettazione avviene quando riflettiamo su quanto sia stata preziosa la nostra vita, su quanto abbiamo ricevuto. Siamo grati e ora, se il nostro tempo è scaduto, possiamo dire, con grazia, “così sia”.

L’autrice Stephanie Dowrick osserva che quando affrontiamo in questo modo gli eventi che ci stanno causando dolore, essi non cambiano, “ma cambia il momento presente e così anche il senso di direzione rispetto a come relazionarsi con la vita. Ciò non significa che immediatamente affronterai il tuo futuro con più speranza o allegria. Questo potrebbe non succedere mai. Forse il meglio che si può dire è che affronterai la vita in modo più vero e consapevole”. 2

 

Negli anni ‘70 la dottoressa Jeanne Segal prese parte a una delle prime ricerche tentate con i malati di cancro del Center for the Healing Arts dell’UCLA. La ricerca fu un tentativo di scoprire se le emozioni giocassero un ruolo nel processo di guarigione.

Scoprì tre tratti particolari che avevano contribuito alla ripresa di coloro che erano sopravvissuti. La prima era la capacità di sapere cosa stai provando e la seconda “la capacità di accettare e sentirsi a proprio agio con tutte le emozioni che riesci a identificare, indipendentemente dalla loro intensità”. 3

 

 

I combattenti nati

 

Secondo un sopravvissuto al cancro con cui ho avuto modo di parlare, una reazione combattiva a una malattia che mette a dura prova la vita può es­sere un modo per sconfiggere l’apatia.

Ma la lotta non è contro l’accettazione? Dipende. Se sei un combattente per temperamento e non hai intenzione di affrontare ciò che sta accadendo sdraiato sul letto (scusate il gioco di parole!), comincia con l’accettare che sei fatto così! Se ami combattere, accetta questa tua tendenza e seguila, non a malincuore ma totalmente. Questo ti porterà naturalmente, a suo tempo, a uno stato di let-go.

Piuttosto che una guerra rabbiosa, “fluire con ciò che è” implica un mondo interiore armonioso e un’atmosfera del genere, rilassata e a proprio agio, sosterrà al meglio il processo di guarigione.

C.G. Jung cita la lettera di un suo ex paziente che aveva attraversato molti cambiamenti da quando si era “riconciliato” con se stesso: “Dal male mi è arrivato molto bene... Ho sempre pensato che accettare le cose, in un certo senso, volesse dire esserne sopraffatti. Ciò si è rivelato assolutamente non vero ed è solo accettandole che possiamo assumere un atteggiamento nei loro confronti. Quindi ora intendo giocare al gioco della vita, essendo ricettivo a tutto ciò che mi arriva, bene e male, sole e ombra che si alternano per sempre e accettando in questo modo anche la mia stessa natura con i suoi lati positivi e negativi. Così tutto diventa più vivo per me.

Che sciocco sono stato! Come ho cercato di costringere tutto ad andare nel modo in cui pensavo!”. 4

 


Tratto dall' Osho Times n. 286

 

Dal sito di Maneesha oshosammasati.org

Riferimenti bibliografici 1. Close to the Bone; life-threatening illness as a soul journey, Jean Shinoda Bowen, M.D. (Conari Press) 2. Forgiveness and Other Acts of Love, Stephanie Dowrick (Penguin) 3. Raising your emotional intelligence, Jeanne Segal   (Holt) 4. Commentary on The Golden Flower, C.G. Jung (Book Tree)

 

Maneesha James

MANEESHA JAMES