Dalle radici al cuore

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Dalle radici
al cuore


Verso una consapevolezza integrata e fluida.
Ce ne parla Nirava

Articolo apparso su Osho Times n. 214
 


Abbiamo chiesto a Nirava, che molti di voi conoscono perché da anni conduce la Trance Dance all’OshoFestival, di scriverci “due righe” sul suo nuovo lavoro che si chiama Dalle Radici al Cuore, eccole...

La società moderna è in continuo cambiamento: nuove culture, tecnologie, mode. Il mondo muta velocemente e noi, in quanto esseri umani ci troviamo a doverci relazionare in bilico tra cultura sociale, cultura individuale, ritmi biologici e l’immagine che abbiamo di noi stessi. Dobbiamo sottostare ai ritmi imposti dalla società (moda, cultura ecc.), abbiamo bisogno di essere estremamente funzionali, utili e belli. Secondo questi paradigmi ci realizziamo solo se raggiungiamo determinati obiettivi economici, estetici e di posizione sociale.
Se è vero che comunichiamo attraverso il corpo, mi viene spontaneo chiedermi: in un contesto così condizionato, cosa comunichiamo? In genere ci ricordiamo del nostro corpo solo quando abbiamo dolori o patologie; quando stiamo bene, spesso lo dimentichiamo, lo sfruttiamo e basta. Eppure attraverso il corpo, fin dal grembo materno, viviamo esperienze che lasciano tracce profonde. Perché allora non trovare il modo per avvicinarci a una dimensione, in parte perduta dal mondo adulto, che ci riporti all’universalità? Ritrovare un linguaggio che ci accomuni tutti?

Nella mia esperienza questo è possibile attraverso il linguaggio del ritmo, del movimento, della danza, della musica.
Buona parte del mio cammino di crescita personale, e anche professionale, è stato ed è andare a riscoprire il corpo e i suoi ritmi per ritrovare le radici.
Noi esseri umani siamo come gli alberi; radicati al suolo con un’estremità, protesi verso il cielo con l’altra e tanto più possiamo protenderci quanto più forti sono le nostre radici terrene.
Se sradichiamo un albero, le foglie muoiono; se sradichiamo una persona, la sua spiritualità diventa un’astrazione senza vita.
Quando diciamo che una persona è radicata o che ha i piedi ben piantati a terra, intendiamo dire che sa chi è, sa dov’è. Ci riferiamo al suo legame con le realtà basilari della vita: il corpo, la sessualità, le persone con le quali è in relazione ecc.
Siamo connessi a queste realtà nella misura in cui lo siamo alla Terra.

Danzare dà una possibilità creativa di percepire il proprio corpo e lo spazio di relazione. Potremmo definire la danza come una forma di “benessere attraverso il movimento”, personale e libero, strutturato, insieme agli altri, insieme a se stessi. Danza è ritrovare il movimento di parti del corpo e di tutto il corpo, è darci la possibilità di ascoltare i ritmi che sono in noi: dai ritmi biologici (il battito cardiaco, la respirazione) ai ritmi emotivi, che esprimono i nostri sentimenti e la relazione con il mondo esterno diverso da noi. Il risveglio di tutto ciò ci permette di diventare consapevoli del fatto che il movimento è l’espressione della vita: racconta le esperienze, crea legami, ci accomuna l’un l’altro, crea il gruppo, la danza stessa.
Perché quando arrivi all’essenza del tuo movimento, alle radici, non hai più bisogno della musica, la musica sei tu.
Quanto più ci connettiamo con le nostre radici tanto più siamo in grado di percepire, aprire e sentire il cuore.
Una delle qualità del cuore è l’accoglienza. Attraverso il cuore possiamo accettare noi stessi come siamo. Possiamo sperimentare la bellezza dell’essere totali e umani, includendo anche quegli aspetti della nostra natura che vorremmo ignorare o negare e che consideriamo erroneamente “negativi”.

Connettere le nostre “radici” al “cuore” ci consente di esplorare e di accogliere tutte le nostre sfaccettature, partendo dalle radici umane (corpo, sensibilità emozionale, consapevolezza), e di sviluppare una direzione verticale verso l’alto, passando attraverso la capacità alchemico-trasformativa del cuore, e da lì risvegliare le nostre capacità più “elevate”, la nostra creatività, la nostra spiritualità sciamanica, proprio per rendere questo naturale processo di unfolding cioè di riapertura e di recupero della nostra naturale fluidità e conseguente evoluzione, il più completo, sentito e integrato possibile.
Tutto questo mi ha permesso di rendermi nuovamente conto di come il processo di autoguarigione sia già insito e attivo in ciascuno di noi e che è soltanto un passo all’interno del più ampio processo di naturale evoluzione e crescita che ognuno di noi sta percorrendo nella propria vita.

Andare a risvegliare la connessione con il mio cuore e le sue capacità e qualità, mi ha aiutato a riconnettere le mie parti più “umane” a quelle più “alte”, e ad aiutarle a completarsi e accrescersi a vicenda. Lo spazio del cuore, quindi, nella mia esperienza, è il “ponte” per la realizzazione di una consapevolezza integrata e fluida. E contemporaneamente procede verso lo scioglimento di blocchi e condizionamenti, permettendoci di ritrovare una concreta armonia interiore. Quando apriamo il nostro cuore l’accettazione accade naturalmente e abbiamo così la capacità di guardarci dentro senza giudizio. Guardare, sentire, ascoltare, relazionarsi con gli occhi del cuore ci consente di far emergere anche le nostre qualità, i nostri talenti.
Questo approccio mi ha permesso di recuperare maggiore chiarezza su ciò che veramente voglio vivere e come, recuperando anche una maggiore sensibilità per una visione di vita più concretamente e pienamente vissuta, in cui realizzare il mio potenziale umano nel modo che veramente amo.
Ecco, questo è ciò che voglio trasmettere in Dalle Radici al Cuore.


Nirava sarà all’OshoFestival 2015 dal 16 al 19 aprile a Bellaria
Per info sul lavoro di Nirava: nirava.org



Il mio dio è il mondo

Osho,
quando dici “radici in questa terra e ali in quel cielo”, ho la sensazione di essere infinitamente “allungata”, cioè che questa terra sia molto vicina e che il cielo sia molto lontano. Cosa significa “questo” e cosa significa “quello”?


Questa terra è vicina, non perché sia vicina, ma a causa tua. E il cielo è lontano, non perché sia lontano, ma a causa tua.
“Questo” significa il mondo, “questo”, significa il corpo: questi desideri, queste passioni, il fisico, il visibile. “Questo” significa tutto ciò che è stato condannato dalle religioni. Sono sempre state contro “questo” e a favore di “quello”. “Quello” significa brahma, “quello” significa moksha, “quello” significa il divino. “Questo” significa il mondo materiale, questo mondo diabolico, tutto ciò che è condannato. Tutte le religioni hanno sempre condannato questo mondo.
Io non lo condanno. Io voglio darvi radici in questo mondo.
Tutte le religioni hanno sempre affermato che finché non sarete sradicati da “questo”, non avrete ali in “quello”. Sono contrarie a “questo”, contrarie al mondo, al corpo, sono contro il materiale, il visibile. Sono contro tutto ciò che sentite più vicino. Sono a favore di qualcosa di molto lontano, qualcosa di astratto: dio, brahma, moksha. Nessuno conosce, è in contatto con queste cose; non c’è comunione, nessun contatto. Sembrano un sogno, come la poesia, sembrano immaginarie. Tutte le religioni hanno condannato “questo”. Dicono: “Siate senza radici”. Ecco perché definiscono il sannyas una rinuncia al mondo, una rinuncia a “questo.” Hanno creato un dualismo, non solo un dualismo, hanno creato un antagonismo tra “questo” e “quello”, tra il fisico e lo spirituale.
Per me, le radici in “questo” contribuiranno a darvi le ali in “quello”. Io non creo alcun antagonismo dove non c’è. L’antagonismo nasce da una mente in conflitto, da una mente nella dualità. Dal conflitto si creano delle teorie dualistiche, delle teorie contrastanti. Io non sono duale, non creo alcun conflit­to. Considero “quello” non come contrario a “questo”, ma come la sua fioritura. Considero le ali non contrarie alle radici, ma come una loro fioritura. Gli alberi hanno le ali verso il cielo: i rami sono le loro ali. Hanno radici nella terra e rami verso il cielo. Vorrei che foste degli alberi forti, con le radici in “questo” e le ali in “quello”.
Il mio dio non è contro il mondo. Il mio dio è nel mondo. Il mio dio è il mondo. Questa terra non è contro il cielo, sono due polarità dello stesso fenomeno.
“Questo” ti appare vicino perché la tua mente non è ancora nella condizione di vedere l’invisibile. La tua mente è così disturbata, così grossolana, che riesce a vedere solo il visibile, il grezzo. Il sottile ti sfugge. Se la tua mente diventa silenziosa e senza pensieri, il sottile di­venta visibile. Dio non è invisibile, è visibile ovunque. Ma la tua mente non è ancora sintonizzata con il sottile, con l’invisibile. L’invisibile può essere visto. La parola significa “ciò che non può es­sere visto”, ma no… l’invisibile può es­sere visto, hai solo bisogno di occhi più sottili, occhi più raffinati. Un cieco non può vedere, non può vedere ciò che è visibile a te, ma se i suoi occhi guarissero potrebbe vedere la luce del sole, i colori, gli arcobaleni. Tutto ciò che pri­ma era invisibile diventerebbe visibile.
Dio non è invisibile. Non hai gli occhi giusti, ecco tutto. Non sei un essere sintonizzato in modo che il sottile ti apra le sue porte.
“Questo” e “quello” per me non so­no divisi. “Questo” penetra in “quello”, “quello” penetra in “questo”. Per te, “quello” rappresenta il più lontano. Non per me. Per me “questo” è “quello” e un giorno sarà così anche per te: “questo” sarà “quello”. Questo mon­do è dio. Il visibile na­sconde l’invisibile. Ecco perché il mio sannyas non è una rinuncia. Il mio sannyas non è contro nulla: è a favore della totalità, del tutto.
Sii radicato nella terra, in modo da poterti allungare verso il cielo; sii radicato nel visibile, in modo da poter raggiungere l’invisibile. Non creare dualità e non creare antagonismi.
Se sono contro qualcosa, sono contro l’an­tagonismo. Sono contro l’essere con­tro qualsiasi cosa. Sono a favore dell’intero, del cerchio completo. Il mondo e dio non sono separati da nessuna parte. Non ci sono confini: il mondo continua a propagarsi in dio e dio continua a propagarsi nel mondo. Persino usare due parole non va bene, ma il linguaggio solleva dei problemi. Diciamo il creatore e il creato, dividiamo, il linguaggio è dualistico. Nella realtà non c’è creato e non c’è creatore, c’è solo la creatività, solo un processo di infinita creatività. Nulla è diviso. Tutto è uno, indiviso.
Dove finisci tu e dove comincio io? Dove si trova il punto in cui possiamo tracciare una linea tra me e te? Dove? Non ci può essere alcuna demarcazione. L’aria continua a scorrere in te. Respiri: se anche solo per un attimo l’aria non fluisse in te, se il respiro non arrivasse, moriresti. E l’aria, solo un attimo fa, ha lasciato me ed è entrata in te. Era la mia vita solo un attimo fa, ora è la tua vita. E ora il respiro torna a me. È stata la tua vita, ora è la mia.
Dove siamo divisi?
La vita continua a scorrere, la vita è qualcosa tra me e te. L’albero continua a creare ossigeno e tu lo respiri. Se gli alberi scomparissero, tu scompariresti. Gli alberi continuano a trasformare i raggi cosmici in cibo – questo sono la frutta e la verdura – e se scomparissero, tu non esisteresti più.  Questo mondo è solo un utero per il divino. Ciò che è terreno è solo una copertura, una protezione, per l’ultraterreno. Il seme, la capsula che contiene il seme, non è contro l’albero, è una protezione. La materia è solo una protezione per il divino.
Guarda, e cerca sempre di trovare l’unità. Nell’unità sta la religione, nella disunità la religione è perduta. Ed evita l’essere contro. Se sei contro, diventi rigido, duro… e più diventi duro più sei morto.
Ama “questo” e amalo così profondamente che il tuo amore trascenderà “questo” e raggiungerà “quello”. Questo è ciò che voglio dire: le radici in questa terra e le ali in quel cielo.

Tratto da: Osho, A Bird on the Wing #3

 

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