testata_mare.psd
newsletter n. 042

indietro

La medicina dellanima

Per riscoprire fiducia in sé e nella vita

Intervista a Dakshina e Anatta, due delle co-direttrici di Osho Gautama Multiversity - articolo apparso su Osho Times n. 212
 


Marga: So che a Gautama avete due programmi speciali, l’Addiction Program, dedicato alle tossicodipendenze e Oltre la depressione, di cui tu, Dakshi­na, sei responsabile. Puoi parlarmene?
Dakshina: Premetto che tutti gli insegnanti e gli operatori che lavorano qui a Gautama si sono formati alla Humaniversity che del resto, in origine, nasce proprio come comunità terapeutica. Entrambi i programmi utilizzano quindi, come base, un programma intensivo di due settimane, il Tourist Program, che costituisce appunto il caposaldo della Humaniversity e del lavoro di Veeresh. Per la depressione si ripete il programma due volte, per la dipendenza anche quattro, talvolta, perché la “corazza” è un po’ più dura.
Il programma per le dipendenze non riguarda solo le tossicodipendenze – anche se in un certo senso sono tutte in qualche modo “tossiche” – ma tutte le forme di assuefazione. Ad esempio, abbiamo lavorato con la dipendenza da internet e la dipendenza dal gioco, quindi non soltanto droga, ma tutto ciò che va sotto l’ombrello “dipenden­za”. Io sono responsabile del primo mese, poi lo seguo insieme a Pujarin, che negli anni ‘80 era direttrice della Humaniversity quando era una comunità prettamente terapeutica. Tra l’altro è lei stessa una ex tossicodipendente e questo ha un certo peso, so­prat­tutto quando si lavora con le di­pen­denze da droghe. Avere come pun­to di riferimento qualcuno che ha avuto la tua stessa esperienza, ma che ne è uscito alla grande, è molto importante.

Marga: Puoi entrare nello specifico del­l’approccio Humaniversity e di Veeresh? Perché non è poi così conosciuto, molta gente conosce l’AUM e basta…
Dakshina: Che comunque ne è una bella sintesi! Innanzitutto, nello specifico del programma, la prima grande differenza rispetto alle comunità terapeutiche tradizionali è, come dicevo prima, un approccio multisintomatico, quindi non specifico sulla dipendenza da droga, ma che prende in considerazione i sintomi più differenti. E poi il lavoro si basa molto sulla consapevolezza ed espressione delle emozioni, sull’imparare una comunicazione efficace, cioè a comunicare i propri sentimenti, le proprie emozioni e i propri bisogni in modo onesto, diretto e chiaro. Questa è una difficoltà che sta spesso alla base del problema della di­pendenza. A questo naturalmente si aggiungono le meditazioni, perché un aspetto molto importante del lavoro che facciamo qui è l’aggancio alla pratica della meditazione che oltretutto, come ben sai, negli ultimi anni ha avuto anche un grande riconoscimento a livello scientifico, con molti studi e ricerche sull’efficacia e gli effetti anche a livello cerebrale.
Un altro elemento importante, che sta alla base anche della Humaniversity in generale, è di spingere sempre la persona ad andare un po’ oltre i suoi limiti, le sue credenze, i suoi schemi e questa è una bella sfida: la persona deve davvero confrontarsi moltissimo con tutte queste tematiche. Già il solo fatto di vivere in una struttura comunitaria, dove la privacy è veramente molto, molto ridotta, fa scaturire un sacco di dinamiche sulle quali poi noi lavoriamo. È tutto una sinergia tra il lavoro che si fa all’interno della group-room, durante le sessioni, e quello che si fa fuori, nel vivere quotidiano, insieme alle persone. E questo vale anche per il programma sulla depressione.



Dakshina, Humaniversity Therapist, è tra i fondatori di Osho Gautama e ha una formazione in psicologia, counselling e respiro.
Per maggiori info sul suo lavoro: www.d-orsi.it


Marga: Quindi, comunque, aldilà del fatto che c’è la dimensione collettiva comunitaria, è una terapia di gruppo, non è un percorso individuale.
Dakshina: Alla Humaniversity decisamente sì, accade tutto in gruppo. Invece noi, essendo una struttura più piccolina, abbiamo adattato questi programmi anche a un lavoro individuale. Molto dipende dalle richieste, nel senso che se più persone arrivano contemporaneamente le facciamo an­che lavorare in gruppo, ma se arriva una persona sola che ha bisogno di cominciare non le chiediamo certo di aspettare, può iniziare in qualsiasi momento e noi ci siamo!
In ogni caso anche con una persona sola il lavoro non è mai completamente individuale, perché comunque le meditazioni le fa insieme agli altri abitanti della comune, così come le attività della sfera quotidiana, e nei fine settimana partecipa ai gruppi destinati a tutti. Ma c’è una dimensione individuale che, nella mia esperienza, può essere anche più efficace, perché è come avere un riflettore sempre puntato addosso e inoltre il programma viene cucito su misura sulla persona: non segue la dinamica del gruppo, segue la sua dinamica. E questo secondo me è un bonus. Quindi direi che ci sono entrambe le dimensioni, sia la dimensione individuale che quella di gruppo. Per cui è proprio un mix molto interessante, molto efficace, veramente trasformativo.
Devo dire che con le dipendenze abbiamo avuto dei bei successi, nel corso degli anni, pur non lavorando con grandi numeri. Le persone che sono uscite dalla dipendenza sono anche riuscite a crearsi una vita soddisfacente in tutto e quindi a stare bene, ad avere successo nella vita. In genere sono quelle che hanno deciso di fare un percorso lungo e si sono fermate qui almeno un anno. Quando escono hanno delle basi veramente solide, una struttura e una personalità più centrata, più presente e questo naturalmente ha dei begli effetti sulla vita “nel mondo”.

Marga: Perché lo scopo è che queste persone siano in grado di uscire nel mondo e non rimanere sempre all’inter­no della comune, come invece spesso accade nelle strutture tradizionali, no?
Dakshina: Certo, anche se poi a vol­te si innamorano e rimangono per anni!

Marga: Sì, quella però è una scelta che va aldilà della tossicodipendenza, capita indipendentemente da quello!
Dakshina: Sicuramente uno degli obiettivi è proprio che la persona entri in contatto con i suoi talenti, le sue qualità e che si attivi per realizzare le sue passioni e manifestarle nella vita.

Marga: È un programma che diffondete anche nell’ambito dei SERT e nelle altre strutture che accolgono le dipendenze da sostanze chimiche, oppure è semplicemente che chi ha bisogno di un certo percorso prima o poi vi trova?
Dakshina: Abbiamo sempre scelto di stare al di fuori dei circuiti istituzionali, anche se avremmo così potuto avere delle sovvenzioni, perché preferiamo rimanere indipendenti, con tutte le difficoltà che comporta. Questo sicuramente ci dà il vantaggio di poter poi agire autonomamente nel nostro lavoro senza dover render conto a nessuno.
Per quanto riguarda la depressione funziona un po’ diversamente, perché la persona spesso quando arriva da noi fa uso di farmaci e noi glieli lasciamo prendere. Se rimane a lungo termine, tipo un sei mesi, allora si può incominciare a fare un discorso di scalaggio e in quel caso ci appoggiamo a una struttura, a una persona, lo psichiatra.

Marga: Sulla depressione c’è qualcosa di particolare da aggiungere? Perché mi sembra di aver capito che l’approccio di base è lo stesso…
Dakshina: La depressione è un po’ più complessa, perché rimane sempre come una fragilità nella persona. Dal punto di vista della mia esperienza, non si ci libera mai completamente della depressione: in un momento di crisi, in un momento di difficoltà, la prima risposta del sistema è in quella direzione. Quello che forniamo in questo programma, oltre al resto, è un bell’insieme di strumenti di auto-aiuto e di sostegno grazie al quale la persona, oltre ad avere sicuramente molta, molta più consapevolezza rispetto a se stessa, alla depressione, alle cause e a come si manifesta, impara delle cose utili, per esempio, rispetto alla gestione delle emozioni e all’espressione di sé che è un punto chiave nella depressione. Quindi acquisisce degli strumenti che, nel momento del bisogno, la aiutano a non ricadere completamente a perso morto nello stesso schema.

Marga: E la persona che viene con un problema di depressione vi porta ovviamente una diagnosi medica psichiatrica e tutta la sua storia clinica?
Dakshina: Spesso sì. A volte ho lavorato con persone che non erano mai andate da uno psichiatra e avevano sempre provato a venirne fuori da sole. Tanti tentativi, tanti fallimenti e a un certo punto decidono di sperimentare qualcosa di diverso, perché noi chiaramente siamo sempre considerati un’alternativa alle metodologie tradizionali. Alcuni dicono: “Prima di andare a finire dallo psichiatra ed entrare nel tunnel dei farmaci, faccio un tentativo in un’altra direzione” che a volte può essere risolutivo, nel modo che ti ho spiegato.

Marga: Puoi spiegare cos’è il Tourist Program?
Dakshina: È un programma intensivo di due settimane che parte da obiettivi e bisogni personali stabiliti all’inizio e che costituiscono il filo conduttore di tutto il lavoro. In questo senso ti dicevo che è come un vestito fatto su misura, perché parte dai bisogni specifici, dagli obiettivi e dalle aspettative della persona che devono essere chiaramente compatibili con un programma di due settimane. Per esempio, l’obiettivo “Voglio uscire dalla depressione” non è un obiettivo accettabile, perché in due settimane è impossibile. In due settimane puoi avere l’obiettivo “Voglio conoscere meglio le mie emozioni”, “Voglio imparare ad esprimere la rabbia invece che ingoiarmela ogni giorno”. E in base a quello strutturiamo il programma giorno per giorno, seguendo la persona nella sua evoluzione momento per momento, un passo alla volta, monitorandola costantemente. Naturalmente c’è la meditazione – sempre la Dinamica al mattino – e poi la giornata è suddivisa in sessioni che vanno dal counseling al lavoro sul corpo, dal respiro al rilascio emozionale, dal reiki alla bioenergetica, perché abbiamo la fortuna di avere un sacco di insegnanti con specializzazioni diverse che vivono qui con noi, quindi in base ai bisogni e alle esigenze della persona io faccio riferimento a un insegnante, a un operatore piuttosto che a un altro. Quindi in questa “torta” possono entrare gli ingredienti più vari!
Poi c’è tutta una parte molto creativa, molto teatrale, secondo cui la persona che partecipa riceve un nome nuovo che funziona un po’ come fuoco dell’attenzione: può essere un aspetto particolare da esplorare, o anche un personaggio da interpretare che aiuta la persona a scoprire magari una qualità o un aspetto di sé che non conosce, che conosce poco, o che non le piace. Tutto nell’ottica dell’integrazione, di arrivare a essere una persona un po’ più completa, un po’ più integra, che si conosce un po’ di più.

Marga: E le persone che fanno il Tourist Program che genere di obiettivi hanno, aldilà di quelli che abbiamo già chiarito legati alla dipendenza e alla depressione?
Dakshina: Ho avuto persone a fare il Tourist Program per un cuore infranto, una separazione che non riescono a superare, a gestire, o semplicemente una crisi di passaggio per cui quello che facevi fino a ieri non ti piace più, ma ancora non sai che cosa vuoi fare e allora invece di buttarti a fare, perché nella nostra cultura ci insegnano questo, magari hai la saggezza di ritirarti un attimo… due settimane di tempo è veramente pochissimo, però il Tourist Program è molto efficace per far chiarezza, per avere una visione, per alleggerirti di pesi e zavorre del passato.

Marga: Anatta, c’è qualcosa che vuoi aggiungere?
Anatta: Vorrei solo mettere un accento particolare sul fatto che siamo una “comunità spirituale” cioè che si basa, come ha detto Dakshina, sulla meditazione. Il programma è rivolto alla crescita dell’anima della persona, non solo al rimetterla insieme, cioè toglierla dalla dipendenza o dalla depressione e rimandarla nel mondo. L’aspetto più importante è soprattutto che al termine del “programma” le persone hanno sviluppato una fiducia in sé e nella vita che difficilmente le fa poi ricadere nel vecchio schema.
Molti sono gli istituti che lavorano sul recupero delle dipendenze, della de­pressione e altro, ma nessuna si basa sulla visione spirituale di un maestro, Osho, che ci ha insegnato innanzitutto a basare ogni nostra azione ed evoluzione sulla consapevolezza, l’amore e la condivisione. Quando ha creato le comuni il suo insegnamento fondamentale era quello di non creare separazioni, di fare una sintesi tra il vivere e crescere insieme quotidianamente, immergendoci nella realtà di tutti i giorni, cercando di portare nella nostra vita pratica meditazione e consapevolezza, per noi stessi e per tutti coloro che sentivano il “richiamo”. Senza distinzioni di sesso, razza e religione, Gautama non è solo un istituto di terapia con programmi speciali, ma è soprattutto un buddhafield – campo energetico del buddha – dove persone senza problemi specifici vivono insieme a persone con problematiche particolari, inserendole nella propria vita e nei loro cuori. Non facendole sentire “diverse, sbagliate, emarginate”, ma semplicemente con problematiche diverse dalle proprie, e unite, insieme, per creare un “mondo migliore” e più consapevole.




Anatta, Humaniversity Therapist e Sex Counsellor, specializzata in varie aree della terapia e della crescita personale,
Per maggiori info sul suo lavoro: www.anattaagiman.com
 

L’abbondanza è un diritto di nascita – di Anatta.
Anatta sarà presente a OshoFestival di Bellaria 2015 dove of­frirà un evento su questa tematica...

Avere la volontà di vivere nell’abbondanza e di percorrere la via della condivisione, della prosperità, dell’amore e della propria libertà è una scelta che richiede la totalità del nostro essere. È una scelta di vita che può cambiare drasticamente la nostra esistenza. Richiede un impegno costante e un’appassionata adesione alla vita, implica l’esserci in prima persona e in modo totalmente partecipativo, come protagonista e non come comparsa o controfigura! Significa continuare a dare ritocchi alla nostra migliore “opera d’arte”: noi stessi. E per questo dobbiamo essere disposti a cambiare e a trasformarci, rivedendo con onestà e autenticità gli aspetti della nostra vita che ci tengono ancorati a schemi vecchi e ripetitivi che spesso e volentieri ci portano a vivere in una dimensione di paura e scarsità.
Personalmente mi accorgo che quando riesco a vivere in modo fluido e senza sforzo, quando mi sento in pace e serena con ciò che ho già, rimanendo aperta a ricevere il nuovo che sempre mi aspetta dietro l’angolo, mi sento di essere già in una “coscienza di abbondanza”. Mi sento più libera, in gratitudine, creativa e in armonia con il tutto che mi circonda. Ed è così che riesco ad esprimere la mia natura creativa e spirituale!
L’abbondanza non è un accadimento casuale o determinato dalla fortuna: siamo noi gli unici veri artefici del nostro benessere, a prescindere dagli eventi, dalla classe sociale o dall’educazione.
Secondo la mia esperienza, posso sinceramente affermare che il sentiero dell’abbondanza è direttamente connesso al nostro modo di vedere e concepire la vita.
Più sentiamo che l’esistenza vuole il meglio per ognuno di noi, dando energia all’idea che abbiamo il diritto di vivere in modo creativo, gioioso ed eccitante, e più l’esistenza ci risponderà in modo generoso e gentile.
Più usiamo la nostra energia, valorizzando le nostre risorse e potenziali interiori in modo appagante e appassionato, più ci sarà concesso di creare gioia ed abbondanza nelle nostre vite.
Io cerco di vivere così e molto spesso mi riesce bene.
È per questo che amo molto condividere questi insegnamenti e portare le persone a credere sempre di più in se stesse e ad avere fiducia nell’esistenza, nonostante tutto.

 

indietro

 




 OSHO TIMES --- La rivista di Osho dedicata all'arte della meditazione
 C.P. 15 - 21049 Tradate VA - Italia --- tel e fax 0331 810042
  www.oshotimes.it  -  oshoba@oshoba.it