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È morto? È vivo?
Non posso dirlo
Strani dialoghi tra maestro e discepolo
Preziosi testi apparsi su Osho Times n. 213

Amato Osho,
nel libro Diario di una monaca Zen, ho letto questa storia:
Un maestro e un suo discepolo erano stati invitati a un funerale. Il discepolo, indicando il cadavere, chiese: “È vivo o morto?”.
Il maestro rispose: “Non posso dirlo”.
Il discepolo minacciò di colpire il maestro che disse: “Puoi picchiarmi quanto vuoi, ma non posso dire se è vivo o morto”.
E allora il discepolo lo colpì.
La stessa sera il maestro comunicò agli altri quello che era successo e annunciò che il discepolo avrebbe dovuto andarsene, perché aveva colpito il maestro.
Allora quel discepolo andò a raggiungere un altro maestro e raccontò la sua storia, sperando di sentirsi dire che il primo maestro era un mostro crudele e fuori di testa.
Invece il secondo maestro esclamò: “Che maestro compassionevole avevi!”
E così il discepolo iniziò a comprendere cosa fosse successo. Puoi commentare?
La domanda è di Gayan.
Conosco la storia, ma Gayan si è lasciata sfuggire un paio di cose importanti... senza di loro, la storia diventa molto ordinaria.
Non so il giapponese, la storia è giapponese, ma conosco lo Zen.
E conosco i tedeschi. Gayan è tedesca. I tedeschi hanno caratteristiche molto speciali: una è che si lasciano sempre sfuggire la cosa più importante. Gayan deve aver letto la storia in una traduzione tedesca e molto probabilmente il traduttore si è lasciato sfuggire qualche significato. E quel che è rimasto, se lo è lasciato sfuggire lei.
Si dice che se racconti una barzelletta a un inglese, ride due volte. La prima volta solo per stare in compagnia: tutti ridono e se non ride anche lui penseranno che è un po’ stupido. E la seconda volta ride nel bel mezzo della notte, quando finalmente la capisce.
Racconta una barzelletta a un tedesco e riderà solo una volta, perché tutti gli altri ridono, ma non arriverà mai a capire la battuta.
Haridas è stato uno dei miei primi sannyasin tedeschi e io devo aver raccontato più barzellette di chiunque altro in tutta la storia dell’uomo. Lui stava seduto di fronte a me e, ogni giorno, per anni, dopo i miei discorsi continuava a chiedere alle persone: “Ma perché ridevate? Cosa succede? Tutti cominciano a ridere e io non capisco”.
Se racconti la stessa battuta a un ebreo, non riderà. Al contrario, dirà: “Senti, questa barzelletta è vecchia, decrepita, e in secondo luogo, la stai raccontando tutta sbagliata... prima devi imparare a raccontare le barzellette!”.
Questa storia...
Il maestro aveva un maestro suo nemico che viveva vicino al suo monastero. Continuavano a contraddirsi, dicendo l’uno l’opposto dell’altro, criticandosi il più duramente e pesantemente possibile. Andò al funerale con uno dei suoi discepoli. Il cadavere era lì e il funerale era in fase di preparazione.
Il discepolo chiese: “È vivo o morto?”.
Il maestro rispose: “Non posso dirlo”.
Ricordate che l’enfasi è sulle parole “non posso”: non è “non lo so”, non è “non voglio”, non è “non lo farò”. Pone l’accento su : “Non posso dirlo, la tua domanda solleva una questione che è senza risposta, non può essere espressa in parole”.
Il maestro aveva l’abitudine di colpire col bastone ogni discepolo che non rispondesse a una sua domanda. Seguendo la stessa routine, il discepolo disse: “Allora ti colpirò”.
Il maestro rispose: “Puoi picchiarmi quanto vuoi, ma non posso dirlo”.
E quindi il discepolo colpì il vecchio maestro.
E visto che questo uomo – che non poteva rispondere a una semplice domanda alla quale chiunque altro avrebbe potuto rispondere – era semplicemente inutile, decise di andare dal maestro concorrente, l’avversario.”
Non fu espulso dal monastero, è lì che la storia sbaglia!
Il discepolo stesso andò dal maestro avversario che abitava proprio di fronte al primo monastero, dove aveva il suo monastero e il suo seguito. E pensava che l’altro maestro sarebbe stato molto felice di riceverlo, in particolare se avesse descritto il suo maestro come assolutamente ignorante e crudele, perché non rispondere alla domanda di un discepolo è crudeltà.
Disse al secondo maestro: “Il mio maestro è solo un ignorante, non sa nulla. Tutti là stavano preparando il funerale e naturalmente il corpo era un cadavere – era morto – e lui, il mio maestro, quest’idiota, ha detto: ‘Non posso dirlo’. Lui colpisce ogni discepolo che non risponde alle sue domande, quindi, seguendo la stessa routine, l’ho colpito. E lui ha detto: `Puoi picchiarmi quanto vuoi, ma comunque non posso dirlo!’. Quest’uomo è ignorante, crudele, insensibile, testardo, non merita di essere chiamato maestro”.
Il discepolo pensava che sarebbe stato molto lodato per questo; che il maestro avversario, che criticava sempre il suo maestro, avrebbe gioito e lo avrebbe accolto salutandolo con le mani giunte: “Vieni nel mio monastero, perché stavi sprecando il tuo tempo con quell’idiota”.
Ma invece si sentì dire: “Tu sei un ignorante. Non comprendi la compassione. Il tuo maestro era molto compassionevole. Adesso basta, esci di qui e torna nel tuo monastero di prima”.
In piedi, fuori del monastero, o meglio tra i due monasteri, il discepolo si trovò in difficoltà. Aveva creduto che queste due persone fossero una contro l’altra. Per la prima volta capì che: “No, non sono uno contro l’altro; forse questo è il loro stratagemma per aiutare le persone, i discepoli”.
E il modo in cui il secondo maestro aveva detto: “È così compassionevole e tu sei un idiota. Non sei riuscito a capire quello che diceva. Torna da lui e basta!”.
All’improvviso gli venne in mente la spiegazione di tutto: mentre ogni comune laico avrebbe semplicemente detto che il corpo era morto, il suo maestro si era rifiutato di dire se era vivo o morto. Perché questo è il fondamento dello Zen e di tutti i grandi individui realizzati in tutto il mondo: che l’esistenza non può essere divisa in o questo o quello: non si può dire che è morto, non si può dire che è vivo. Non è possibile dividere l’esistenza.
Solo perché quell’uomo non respirava più non significava che fosse morto: faceva ancora parte dell’esistenza, che è eternamente viva.
Non puoi dire che è morto, perché in questa esistenza niente è morto. Nulla può essere morto. Tutto è vivo, esiste solo la vita.
E naturalmente non si poteva dire che fosse vivo, altrimenti, perché fare un funerale?
Quindi, ai fini pratici il funerale andava bene, ma per obiettivi filosofici – per finalità più profonde e fondamentali – l’uomo era vivo come sempre. È solo che prima respirava e ora ha deciso di non respirare più. La differenza non è poi molta. E che respiri o no, in ogni caso, rimane parte dell’esistenza. Non si può cadere dall’esistenza, perché è ovunque. Non si può uscire dall’esistenza, quindi non puoi andartene dalla vita.
Il secondo maestro voleva dirgli: “Tu non capisci la compassione del tuo maestro. È stato compassionevole a non risponderti, perché qualsiasi risposta sarebbe stata sbagliata. E tu ti saresti accontentato molto facilmente, avrebbe potuto dirti che era morto, ma non sarebbe stata una risposta giusta nella sostanza. La sua compassione è grande, così grande che ti ha anche permesso di colpirlo, perché lui colpisce i discepoli che non riescono a rispondere alle sue domande. Considera il suo senso di giustizia: non ha risposto alla tua domanda e quindi, senza curarsi del fatto che tu fossi un discepolo e non un maestro, te lo ha permesso, hai potuto colpirlo quanto volevi. Ma ti ha detto: “Non posso rispondere, non posso dirlo”. E adesso torna dal tuo vecchio maestro. Se lui non può migliorarti, neppure io posso fare niente per te. E anzi, sono io che, quando fallisco con una persona la mando al vostro monastero, questo è il nostro patto. Noi litighiamo, ci contraddiciamo a vicenda… è la nostra gioia. Tutte le contraddizioni, le discussioni e le controversie filosofiche... ci divertiamo. E quelli che lo capiscono si divertono anche loro”.
È proprio come quella vecchia storia dei due pasticcieri che avevano iniziato a litigare e a lanciarsi addosso le torte... e tutta la strada era piena di gente che si godeva le torte e li incoraggiava entrambi: “Bravo, hai fatto bene! Dai colpiscilo ancora così!”. Incitavano entrambi i contendenti... e intanto si mangiavano le torte.
“Anche noi ci stiamo tirando le torte” disse il vecchio. “Quelli che lo capiscono ne godono. Chi non lo capisce pensa che siamo nemici! Siamo stati discepoli dello stesso maestro ed è lui che ha escogitato questo strano stratagemma di aprire due monasteri in concorrenza l’uno con l’altro. Diceva: ‘Alcuni sciocchi entreranno in un monastero e altri nell’altro, ma non lasciate fuori nessuno, divideteli: chi è contrario a uno andrà dall’altro e viceversa’. È questo lo stratagemma del nostro grande maestro e noi lo stiamo seguendo. Ma non ti voglio nel mio monastero, tu appartieni all’altro maestro: ha mostrato così tanta compassione nei tuoi confronti che sarebbe brutto da parte mia accettarti”.
I mistici hanno il loro modo di comportarsi.
Le masse non possono capire.
I mistici parlano persino l’uno contro l’altro per il bene della gente mediocre che non potrebbe comprendere in alcun altro modo: può capire solo le controversie. E per secoli i mistici lo hanno fatto.
È solo in questo secolo che l’umanità è così intellettualmente povera da non disporre di mistici che portino avanti questa profonda, amorevole congiura contro di voi... per riportarvi alla vita, all’amore, alla risata.
Tratto da:
Osho, The Osho Upanishad #8 Q3
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