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Due brani di Osho
sul rapporto con la mente,
le sue illusioni
e il sentimentalismo
che provoca

 

Testi inediti di Osho apparsi su Osho Times n 200

Gli scherzi della mente

La gente proietta. Se hai paura, per mezzo della tua paura dai vita a qualcosa di corrispondente alla tua paura, un’immagine della tua paura si manifesta nella realtà. Se ami, crei qualcosa per mezzo dell’amore e un’immagine del tuo amore si manifesta nella realtà. Vivi in un guscio formato dalla mente che ti avvolge come una capsula.
Perciò, ricordati: non c’è un solo mondo, ci sono tanti mondi quante sono le menti. Se ci sono cinque persone in una casa, ci sono cinque mondi. Per questo è così difficile comunicare: perché l’altro vive nel suo mondo e tu nel tuo. È difficile penetrare nel mondo dell’altro.
Tutta la tua vita è stata uno scherzo giocato della tua stessa mente: pensavi che fosse bello e non lo era, pensavi che fosse brutto e non lo era; pensavi che qualcosa fosse una meta da raggiungere ed era privo di ogni valore. E pensavi che quest’altra cosa fosse senza valore e non era così. Ogni cosa è capovolta, vivi nel caos.
La gente viene da me e mi chiede: “Che bisogno c’è di un maestro? Perché è necessario un maestro?”. Un maestro è necessario per fare entrare in te qualcosa che sia oltre la mente, qualcosa che ti è estraneo. Altrimenti come sarebbe possibile portarti fuori dalla mente? Non puoi venirne fuori da solo. Sarebbe come sollevarti tirandoti su per i lacci delle scarpe.
Puoi fare un piccolo salto, ma ricadi sulla stessa terra da cui sei partito. Ci vuole qualcuno che ti tiri fuori, qualcuno che ti percuota, che ti scuota: che ti scuota tanto da interrompere il tuo sonno, da spezzare i tuoi sogni. Come puoi farlo da solo?
Qualsiasi cosa tu faccia, è la tua mente a farlo; e la mente è il problema. Come puoi uscirne? Come puoi saltarne fuori? Qualsiasi cosa tu faccia, è  lei a farlo e qualsiasi cosa tu pensi che succeda è una sua creazione. Tutte le interpretazioni sono opera della mente.

Una volta Mulla Nasruddin, ubriaco, fu fermato e portato al commissariato. Era furioso e gridava: “Si può sa­pe­re perché mi avete portato qui? Cosa credete di fare? Per chi mi avete preso?” e così via, come fanno gli ubri­achi. Il sergente di guardia gli disse: “Sei stato portato qui perché be­vi”.
“Ah, bene!” disse Mulla Nasruddin. “Quando incominciamo?”.

Un ubriaco interpreta a modo suo.
La tua mente interpreta e chi la controlla? Chi ti dirà che è di nuovo uno scherzo della mente? E la tua mente è vecchia, è antica, è passata attraverso migliaia di vite; è profondamente radicata. Chi ti scuoterà fino a fartene uscire?
Ci vuole qualcuno che non sia addormentato come te. Questo è il significato di un maestro, nient’altro. Ma la mente dice: “Posso fare da me, non c’è bisogno di maestro!”. Allora hai già scelto un maestro: la tua mente è il maestro. Ci sono solo due possibilità: o è la mente il tuo maestro, o scegli qualcuno che sia risvegliato. Con la mente come maestro non cresci. Attingi alla fonte sbagliata.
Quando sei addormentato un maestro è necessario.
Questo è il significato di un maestro. Dici: “D’ora innanzi non darò più retta alla mente. L’ho ascoltata abbastanza e non mi ha condotto a nulla. Ora non l’ascolterò più; ascolterò te!”. Qualcosa di estraneo, qualcosa che non c’è mai stato in te prima d’ora è riuscito a penetrare.
Un elemento nuovo entra in te e questo elemento nuovo diventa un centro di cristallizzazione. Ora la mente dice: “Fa’ questo!”, ma tu non puoi darle retta; devi ascoltare il maestro. La mente continua a parlare per anni, ma se tu perseveri nell’ascoltare il maestro, a poco a poco la mente si stanca. Tu non le dai retta, non la nutrì. La mente, denutrita, si restringe progressivamente. Arriva il mo­mento in cui cade morta. In quel momento stesso ti risvegli.


Il sentimentalismo
della mente

Impara dall’esperienza, e a poco a poco, ogni forma di sentimentalismo cessa, viene a cadere. E ricorda una cosa: il sentimentalismo appartiene alla mente, non alla sensibilità. La sensibilità non fa parte della mente, il sentimentalismo è della mente. Un uomo consapevole è assolutamente sensibile; ma non sentimentale. C’è una grande differenza, una differenza assoluta.
Cos’è la sensibilità? La sensibilità non è proiezione, mentre il sentimentalismo è proiezione. La persona sensibile se qualcuno sta morendo, lo aiuta. Se qualcuno sta morendo e ha bisogno di lui, se ne prende cura. Se qualcuno sta morendo, condivide con quella persona tutto ciò che può condividere. Piangere, lamentarsi non ha scopo, non aiuti in quel modo. Uno piange perché ha fame, e tu ti siedi accanto a lui e piangi a tua volta perché partecipi intensamente alle sue emozioni: questo è sentimentalismo. Il tuo pianto non diviene pane per lui; lui resta affamato. E invece di una persona che piange, ora ci sono al mondo due persone che piangono: hai raddoppiato la quantità di pianto. Non serve. Fa’ qualcosa invece!
La persona sensibile fa qualcosa. Il sentimentale piange e si lamenta; e viene sempre scambiato per una persona sensibile. La persona sensibile non appare tale, perché semplicemente fa qualcosa. Se qualcuno ha fame, cerca di trovargli qualcosa da mangiare. Se qualcuno ha sete, va a prendere dell’acqua: ma non si vedono sgorgare lacrime. Non lo si vede battersi il petto e rotolarsi per terra dicendo: “Quest’uomo ha fame”. Non siete in grado di riconoscerlo come persona sensibile, perché la sensibilità è sottile. Si cura dell’altro! La differenza è sottile.
Un buddha non si mette a piangere per via della vostra infelicità: invece vi aiuta; vi aiuta ad uscirne. Se tu sei infelice, il sentimentale diviene infelice a sua volta. Piange e si dispera, e ti darà l’impressione di amarti molto; ma non è amore. Soffre della stessa tua malattia. Se si curasse veramente di te, farebbe qualcosa. Cercherebbe di cambiarti, di trasformarti.

Accadde che a una donna morisse il suo unico figliolo, e il Buddha si trovava a quel tempo in quella città. La donna si chiamava Gautami, aveva un solo figlio, e suo marito era già morto. Cominciò a piangere e a disperarsi, e non voleva permettere ai vicini di portar via il corpo del figlio per bruciarlo. Lo teneva stretto, non lo lasciava andare, e se lo portava in giro per tutto il villaggio, chiedendo aiuto, cercando un qualche rimedio magico. Ma la gente le diceva: “Ora non c’è più niente da fare, perché è già morto”. Lei non gli dava retta. Allora qualcuno le suggerì: “Vai dal Buddha: è un illuminato, può fare un miracolo. Vai da lui!”. E lei corse da lui.
Cosa fece il Buddha? Non una lacrima sgorgò dai suoi occhi. La donna deve averlo pensato crudele, senza cuore. Gli disse: “Non hai cuore! Il mio bambino è morto: fa qualcosa! Toccalo, e tornerà in vita; tu sei un illuminato, sei un dio, puoi fare qualsiasi cosa! Abbi pietà di me”.
Buddha disse: “Certo! Ma prima tu devi fare una cosa. Lascia qui il bambino e torna al villaggio”. Non era grande, solo 300 abitanti. “Va’ e bussa a ogni porta. Devi procurarti una sola cosa. Per il miracolo occorrono alcuni semi di senape, ma c’è una condizione che dev’essere soddisfatta: tuo figlio risusciterà, ma bisogna che tu porti qualche seme di senape da una casa in cui non sia mai morto nessuno”.
Nella sua disperazione la donna non colse il senso di ciò che il Buddha le diceva. Quando sei disperato, i tuoi occhi sono così pieni di lacrime che non puoi vedere; non riesci a pensare con chiarezza. Si precipitò: una persona in punto di morte crede a qualsiasi cosa. Uno che sta annegando in un fiume si attacca anche a un filo di paglia. E se il Buddha ti dice: vai... Corse da una casa all’altra, bussò a ogni porta. La gente le diceva: “Donna, sei impazzita? Semi di senape ne abbiamo, possiamo darteli, abbiamo appena fatto il raccolto. Ma la condizione che dici non può essere soddisfatta: in tanti sono morti in questa casa”.
Corse per tutta la città, bussando, chiedendo; ma in ogni famiglia qualcuno era morto. Non c’era famiglia in cui una vita non fosse stata stroncata dalla morte. A poco a poco, le lacrime le si asciugarono. Cominciò a capire cosa le aveva voluto dire il Buddha. Quando ebbe finito di fare il giro del villaggio era una donna cambiata.
Tornò dal Buddha che le chiese: “Hai portato i semi di senape?”.
Lei rise, e disse: “Ti sei burlato di me. Ora iniziami al sannyas. Ho capito che la vita include la morte. Il mio bambino è morto, e tu hai avuto veramente compassione. An­che se avessi compiuto un miracolo, e lo avessi restituito alla vita, non sarebbe servito a nulla: sarebbe morto di nuovo, più avanti. Non sarebbe stato un vero miracolo, e mi avrebbe illusa ulteriormente. Tu mi hai fatto capire che tutto ciò che nasce deve morire. Il bambino è morto, suo padre è morto, anch’io morirò prima o poi. Dammi l’iniziazione! Insegnami ciò che non muore; insegnami l’immortale”.
E aggiunse: “Perdonami, perché ero inconsapevole. Ti ho detto una cosa non vera. Ti ho detto che sei crudele, che sei duro come la roccia, che non hai cuore! Ora so che mi sbagliavo”.

Non una lacrima sgorgò dagli occhi del Buddha. Il Buddha non è sentimentale: è sensibile. E solo se sei sensibile, puoi essere d’aiuto. Se sei sentimentale crei solo più disordine. Quando una persona comprende, diviene sempre più sensibile; aiuta, si prende cura delle cose; e nulla mai lo mette in imbarazzo. Un sentimentale è sempre in imbarazzo, perché c’è qualcosa che non va: anche lui lo sa. Anche lui si rende conto di comportarsi come uno sciocco.
Viene il momento in cui vedi la realtà così com’è. Allora non c’è più infelicità, perché la mente è venuta a cadere. Allora ti trovi faccia a faccia con il reale. E non c’è felicità, non c’è infelicità; perché tutt’e due sono proiezioni della mente. Quando scompaiono entrambe, c’è la pace. Quando scompaiono entrambe c’è l’estasi.
Non fraintendermi: estasi non vuoi dire felicità; estasi vuoi dire assenza sia di felicità che di infelicità. La felicità viene inevitabilmente perturbata dall’infelicità, l’infelicità viene inevitabilmente perturbata dalla felicità: sono due poli, e la ruota continua a girare. L’estasi non è mai perturbata: è silenzio, è pace, è tranquillità, pace assoluta. Ora comprendi, nulla ti disturba più.
Ora ti muovi nel mondo senza la mente, ti muovi nel mondo senza proiezioni. Allora ogni cosa è bella! Non della tua bellezza presente, perché la tua bellezza presente porta in sé della bruttezza. Allora ogni cosa è bella, ma questa bellezza trascende sia la tua bellezza che la tua bruttezza. Ogni dualismo è trasceso.

Cerca di imparare da ogni esperienza: è la sola meditazione. Non lasciare che le esperienze scorrano via da te; impara qualcosa. L’imparare resta con te; l’esperienza se ne va. Il comprendere resta con te; e quando la comprensione si accumula fino a un certo punto si produce un’esplosione. È come quando l’acqua viene scaldata fino a 100°: l’acqua scompare e diventa una cosa diversa, cambia qualità, evapora. Di solito l’acqua fluisce verso il basso; ma, quando evapora, comincia a muoversi verso l’alto, cambia dimensione.
Tu sei come l’acqua. Se non impari, continuerai a muoverti verso il basso. Impara! L’imparare è calore, maturazione... fuoco. Se impari di più, crei più fuoco in te; finché viene il momento dei 100°: e succede un salto. Improvvisamente il discendere scompare; cominci a muoverti verso l’alto, sempre più in alto, sempre più in alto; sei diventato una nuvola.
Ed è possibile solo per mezzo dell’esperienza; quando l’esperienza di­viene imparare, e l’imparare diviene comprendere. Il comprendere è l’essenza. Non è memoria: è semplicemente l’essenza stessa di tutto ciò che hai conosciuto. E impossibile spiegare a qualcuno ciò che comprendi. Non è conoscenza, non può essere trasferito. Un maestro deve crearti delle situazioni da cui imparare, da comprendere, in cui raccogliere energia, fuoco.
E a 100° il tuo corpo cambia completamente! Il flusso di energia nel corpo non è più diretto verso il basso. Il sesso scompare, perché il sesso è flusso diretto verso il basso. Improvvisamente l’energia va verso l’alto. E poi raggiunge il punto più alto del tuo essere, il sahasrar, da cui entra nel divino.
Perciò impara di più; non muoverti nell’esperienza inconsapevole! La consapevolezza è un fuoco! E quando Eraclito dice che il fuoco è la radice di tutta quanta l’esistenza, ha ragione, conosce una certa verità. Il fuoco è la radice di tutta quanta l’esistenza. Non il fuoco visibile; il fuoco visibile ne è solo una delle forme. La comprensione è come il fuoco: ti brucia completamente, consuma l’ego, la mente. Ti porta in una dimensione diversa. Diventi una nuvola e ti muovi per il cielo; hai acquistato le ali.
Non lasciare passare nessuna esperienza senza imparare qualcosa. Ogni momento è prezioso. Impara qualcosa! Quando il sole sorgerà di nuovo domani non devi essere la stessa persona; devi aver imparato qualcosa. Queste 24 ore sono preziose.
Devi imparare. Con imparare non intendo che devi sapere di più: devi capire di più. Anche un ignorante può capire molto; un ignorante nel senso di una persona che non ha ricevuto un’educazione, che non sa molto. E una persona che ha alle spalle una grande educazione, un allievo di Oxford, può essere totalmente incapace di comprendere: sa soltanto.
Riuscite a cogliere la differenza?
La conoscenza viene dalla memoria, dalla mente. La comprensione viene dall’esperienza, dall’esperienza esistenziale.

Tratto da: Osho, Returning to the Source #9

 

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