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Uno stratagemma dopo l’altro

Krishna Prem – ricercatore spirituale australiano, che sotto la guida di Osho ha usato anche la sessualità e l’amore, etero e non, per procedere nel cammino della trasformazione – descrive un altro episodio, a Poona nel 1979, della sua intensa relazione di discepolo con Osho...

Da un articolo apparso su Osho Times n 235
 
danze in buddha hall
 

La disperazione dell’assenza d’amore
Attraversare la stanza... non riesco neanche ad attraversare la stanza. Nell’attimo in cui la porta si chiude dietro di me le lacrime dirompono, inondandomi le guance. Le mie ginocchia cedono al peso del corpo e cado a terra, singhiozzando. Non riesco neanche a raggiungere il letto qualche metro più in là. 
Non so che stia succedendo, so solo che una radice è stata recisa. Nel discorso pubblico di stamattina Osho ha reciso qualcosa. E fa male. 
La domanda era stata posta da Chandana, la coordinatrice del dipartimento di fotografia. 
“Osho” aveva chiesto “la mia mente fa fatica a comprendere l’esistenza dell’assenza di un inizio. Puoi dire qualcosa a riguardo?”.
“Non tentare l’impossibile” aveva risposto Osho “Cercare di comprendere la realtà tramite la mente è come tentare di sollevarsi prendendosi per i lacci delle scarpe. Magari riesci a saltellare un po’, ma quel saltellare non ti sarà di alcun aiuto, perché continuerai a tornare a terra, non ti darà le ali.
Piano piano impara l’arte di contattare la realtà senza l’interferenza della mente. A volte, al tramonto resta semplicemente seduto a guardare il sole, senza pensarci su; osservando, senza valutare, senza neanche dire: “Che bello!”. Non appena dici qualcosa subentra la mente.

La mente ha i suoi compiti limitati. Usala. Quando lavori in ufficio, non ti dico di essere una non-mente, dico: “Sii perfettamente una mente”. Usa la mente, ma non portarla costantemente con te, ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Non continuare a trascinartela dietro. Usala come faresti con una sedia: non ti porti dietro la sedia dovunque tu vada solo perché potrebbe servirti.

La mente è un bellissimo strumento, ma solo se sai anche essere una non-mente. La mente è impotente, incapace di conoscere l’assenza di un inizio e di una fine. La mente esiste tra la nascita e la morte. Non conosce nulla oltre la nascita e la morte. 

Eri qui prima di nascere e sarai qui dopo che sarai morto. La mente ha un’esistenza molto limitata, molto temporanea: un giorno arriva, il giorno dopo non c’è più. Tu esisti per sempre. Cerca di avere qualche esperienza del tuo esistere per sempre. Ma è possibile solo attraverso la non-mente. Non-mente è un altro modo per dire meditazione. Se vuoi davvero comprendere, dovrai perdere la mente”.

Da solo nella stanza, sdraiato a terra a piangere, sono sorpreso dall’intensità della mia reazione alle sue parole. Durante il discorso ero semplicemente seduto ad ascoltare, attento, ma impassibile. Però adesso, attraverso le lacrime, mi accorgo di avere sempre fatto affidamento sulla mente, sulla sua capacità di afferrare, di comprendere. E ora lui mi sta dicendo che è impotente, che se davvero voglio capire devo lasciarla andare. 

So di cosa parla. L’ho sentito dire così tante volte che dobbiamo iniziare a vivere dal cuore, da quel centro più profondo. Ma il mio cuore si sente arido e sterile. Picchio il pavimento dalla frustrazione. “Dov’è lei?”, voglio sapere. “Dov’è lei?”. 

E improvvisamente sorge in me una forte rabbia, un furore contro Divy. D’un tratto è lui la barriera. All’improvviso voglio solo liberarmi di quest’uomo. Finché ciò non avverrà qualcosa dentro di me sa che non sarò pronto per quando lei arriverà.

Le amicizie vanno e vengono, di questo sono cosciente, ma ciò che mi rende difficile accettare che quella con lui sia giunta al termine, è il ricordo che io sia stato sua madre in una vita precedente. Sin da quella notte a Lonavla in cui era riemerso il ricordo, in cui avevo ricordato che era stato portato via da me, ho sempre saputo che in questa vita dovevo rimediare, che avevo un debito da estinguere. 

Ma una cosa che mi dà il tormento, rendendomi incerto, è come sono le cose tra noi. Divy non è la mia unica esperienza di relazione che attraversa più vite. Ci sono stati Rani, Shantidas, Wakil. E con ciascuno di loro, a prescindere da come si sia risolta, c’è stato uno scambio di doni e un congedarsi l’uno dall’altro in uno spazio di gratitudine e amore. 

Ma con Divy sono disorientato. Mi sono scervellato cercando di capire e non so per quale motivo occorra così fortemente una soluzione. È da un po’ che sento che devo capire cosa sta succedendo per poter affrontare la situazione. 

E adesso, stamattina, Osho dice che è impossibile: la mente è impotente. 

Non so che altro fare. Scrivo a Osho, spiegando ogni cosa. “La relazione si è conclusa?”, gli chiedo. “Il debito è estinto?”. 

Il mattino seguente, mentre siedo nervosamente durante il discorso sapendo che la mia lettera sarà consegnata da Laxmi a discorso finito, d’un tratto sento Osho pronunciare il nome di Vasumati: ha chiesto qualcosa riguardo la relazione. 

Lui le parla dell’accettare sia la felicità che l’infelicità, dell’accettare sia l’armonia che il disaccordo, il tormento e l’estasi, del dire sì a qualsiasi cosa la vita presenti. Con lei è incredibilmente delicato e tenero. E ciò che dice sull’amore mi tocca profondamente. 

“L’amore può avere tre dimensioni”, le dice. “Una è la dipendenza, ed è ciò che accade alla maggior parte della gente. Il marito dipende dalla moglie, la moglie dipende dal marito. Si sfruttano a vicenda, dominano l’uno sull’altro, si possiedono a vicenda, ciascuno riduce l’altro a una merce. Questo è ciò che succede nel mondo nel 99% dei casi. 

È per questo che l’amore, che è capace di aprire le porte del paradiso, finisce solo per aprire le porte dell’inferno.

La seconda possibilità è l’amore tra due persone indipendenti. Succede raramente, ma anch’esso reca infelicità, perché c’è un costante conflitto. Non è possibile alcun adattamento. Ciascuno dei due è del tutto indipendente e nessuno dei due è pronto a scendere a compromessi, ad adeguarsi all’altro.

La terza possibilità è l’interdipendenza. Succede molto raramente, ma ogni volta che accade sulla Terra discende un angolo di paradiso. Due persone che non sono né dipendenti né indipendenti, ma sono in un’incredibile sincronicità, ed è come se respirassero l’uno per l’altra, un’anima in due corpi. Quando questo accade, accade l’amore. Dei tre chiama solo quest’ultimo amore. Gli altri due non sono veramente amore, sono accordi – sociali, psicologici, biologici – ma accordi. Il terzo è qualcosa di spirituale”. 

“Spero che Vasumati riesca a trovarlo” mi dico. Conosco quell’anelito. 

È anche il mio. 

 

Laxmi, la segretaria di Osho, è appena tornata da un incontro con lui e tiene in mano la mia lettera. Me la sventola davanti mentre si dirige in bagno. Mi annuncia: “Osho dice: ‘Parla con Teertha, fai una sessione di counseling con lui’” e poi chiude la porta. 

Siamo a metà pomeriggio e sono ancora furioso. Mi sento ignorato, scoraggiato, ferito, insultato. Come ha potuto prendere così alla leggera qualcosa di così importante? “Allora, Swamiji,” chiede Laxmi “come ti senti?”.

“Ferito” rispondo io risentito.

“Ferito!” esclama lei guardandomi come se fossi un bambino e per giunta idiota. “Ferito? Da Osho!”. Schiocca la lingua verso di me in segno di disapprovazione. 

Il mattino seguente sono in attesa nella sua stanza con del materiale dall’ufficio stampa, quando lei fa ritorno da Osho. Mi dice che aveva chiesto come avessi reagito alla sua risposta alla mia lettera e lei glielo aveva detto. “Si è messo a ridere” mi dice. “Dice di dirti che non occorre che tu parli con Teertha se non ti va di farlo”. 

“Non importa” dico io scrollando le spalle. “Ho già fissato l’appuntamento. Non importa, ho capito: è solo il modo di Osho di dare un bello schiaffo al mio ego. In ogni caso non ho mai fatto una sessione di terapia prima d’ora e ho già fissato l’appuntamento. Andrò a parlare con Teertha”. Non ho più rapporti con Divy, ma per quanto mi riguarda la cosa si chiude qui. 

Tuttavia il mattino seguente scopro che Osho ha qualcos’altro da dire. 

La mamma di Savita, la signora che aveva mandato i ritagli con gli articoli di Levin (un famoso giornalista che successivamente andò in visita all’ashram), è venuta a trovare sua figlia e ha fatto una domanda sul colore arancione e il mala (che indossavano a quel tempo i discepoli di Osho). 

“È uno stratagemma, cara signora, per tenere fuori gli indesiderati” le dice Osho. “L’arancione è un colore come un altro e non ha nulla di speciale in sé. Avrei potuto scegliere un colore qualsiasi – verde, nero – e sarebbe andato bene. Ma il suo scopo è quello di essere uno stratagemma; è per la gente che è pronta a fare qualche pazzia, visto che in seguito arriveranno cose molto più folli. Se non sei in grado di fare una cosa tanto semplice e sciocca come indossare l’arancione e un mala; se non riesci a raccogliere abbastanza coraggio per apparire un po’ folle, uno zimbello, e sentirti assurdo e ridicolo dovunque tu vada; se non riesci ad arrivare a questo, questo posto non fa per te, perché ci saranno da fare cose sempre più grandi.

Man mano che entrerai sempre di più in intimità con me pretenderò cose sempre più insensate, perché è solo tramite pretese del genere che la mente può scomparire, non c’è altro modo. Queste folli richieste sono come degli elettroshock. Soltanto così la tua mente istruita, istruita da secoli, può essere scossa fino alle fondamenta.

Quindi è solo un semplice stratagemma per sconvolgere coloro che non sono destinati a trovarsi qui. Se la danno a gambe. Alla vista di una moltitudine così folle, di gente vestita in arancione, si spaventano e scappano via...

Sono solo dei piccoli trucchi, e talvolta i piccoli trucchi lavorano molto in profondità, perché non li puoi riconoscere come tali. I grandi mezzi li puoi riconoscere; sono così grandi che un qualsiasi idiota li saprebbe riconoscere. Proprio l’altro giorno...”.

Per l’amor del cielo! So dove sta andando a parare! So di cosa parla! Vorrei che la Buddha Hall si aprisse e mi risucchiasse. Abbasso il capo, nascondendomi il volto. Vorrei morire!

“…Krishna Prem mi ha scritto una lettera in cui dice di ricordare che nell’arco di molte vite ha avuto rapporti di parentela con Divyananda, del quale è innamorato. Nella penultima vita lui era la madre e Divyananda il figlio. E in quella vita non è riuscito ad assolvere tutti i suoi doveri materni ed è per questo che adesso è innamorato di Divyananda. 

“Non sono innamorato di lui!” vorrei gridare. Gli voglio bene, ma non sono innamorato di lui! Dio santo, vorrei che smettesse. Stanno ridendo tutti e io mi sento un tale coglione. Vorrei solo che la smettesse. 

E Osho continua: “‘Ma ora sembra che i debiti siano stati pagati’ mi ha scritto e Divyananda mi sta facendo del male in tanti modi... dovrei chiudere la relazione?’. Gli ho mandato un messaggio: ‘Va’ a parlare con Teertha’. E questo gli ha fatto molto male. Naturalmente; lui stava parlando di cose così importanti!”

A dispetto di me stesso rido fragorosamente come tutti gli altri. Ragazzi se mi sta sfottendo stamattina! 

“Nell’intimo è questo che si aspettava, probabilmente”, continua Osho. “Anziché dire qualcosa della sua grandiosa esperienza, gli ho detto di andare a parlare con Teertha. Questo deve avergli fatto parecchio male, perché non gli stavo rispondendo direttamente, lo stavo mandando da Teertha. E chi è questo Teertha, poi? Krishna Prem mandato da Teertha? Krishna Prem è altamente evoluto, tanto quanto Teertha. Quindi per quale motivo? O magari è ancora più elevato o benedetto. Perché? Perché da Teertha?

Si è disperato per due giorni. Una cosa così piccola e non riusciva a coglierla, ci ha messo 48 ore ad accorgersene. Poi ha capito: ‘Questo non è che uno shock per il mio ego’. E improvvisamente in quella comprensione si è dissolta tutta la sua disperazione. In quella comprensione, in quel preciso momento, tutta l’oscurità è sparita e si è sentito leggero, felice, il se stesso naturale di sempre. Ma gli ci sono volute 48 ore per accorgersene. Ora non ce n’è più alcun bisogno, Krishna Prem, non occorre che tu vada da Teertha. Adesso escogiterò qualcos’altro!”. 

 

“Qualcos’altro”

Nella Comune è come se la giornata di oggi fosse stata proclamata “il giorno di Krishna Prem”. Tutti mi inondano di abbracci, baci, amore e risa, al punto che quando scende la notte mi ritiro nella mia stanza con gratitudine, incerto se sarei stato capace di riceverne ancora se il giorno fosse durato di più.

Disteso sul letto mi chiedo cosa potrà mai essere quel “qualcos’altro”, ma dopo un po’ ci rinuncio: cercare di vincere in astuzia il mio maestro è una totale perdita di tempo...

Continua su  Osho Times n. 235

Tratto dal libro di Jack Allanach (Swami Krishna Prem) Osho, India and Me, A Tale of Sexual and Spiritual Transformation (disponibile, in inglese, www.lulu.com)

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