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Laltro me

Dalla relazione esteriore alla relazione interiore... di Amar Leela

Da un articolo apparso su Osho Times n 238
 
Amar Leela e il suo compagno
 

Avevo sedici anni quando iniziò la mia prima lunga storia d’amore. Osho e la meditazione erano ancora lontani da me, ma ero già interessata a rivolgermi all’interno ed esplorarmi. Probabilmente anche per questo fui attratta precocemente dalla musica classica e dalla relazione di coppia, che furono per me punti di partenza per conoscere me stessa.

Gli scambi occasionali con i ragazzi non attiravano la mia attenzione, mi sembravano uno spreco di energia e osservavo un po’ stupita i coetanei dedicare tempo a qualcosa che a me risultava semplicemente stancante. Avevo la sensazione che quell’universo di infatuazioni veloci, incontri fugaci e impulsi adolescenziali non mi appartenesse. Mi sentivo più vecchia rispetto alla mia età anagrafica e preferivo disegnare, suonare la viola e il pianoforte, oppure leggere libri e fare solitarie passeggiate sulla spiaggia. In questo modo, per molti anni, la mia parte istintiva e ribelle rimase un po’ sopita, ma avevo bisogno di crescere in alcune dimensioni senza disperdermi altrove e mi innamorai del compagno perfetto per ciò che ero: studente universitario, posato, intelligente e sensibile, un amico sincero con cui maturare e sostenerci a vicenda. Mi piaceva l’intimità che si creava insieme a un solo ragazzo: stavamo vicini rimanendo in silenzio, oppure parlavamo, confidandoci i nostri pensieri.

Nel corso degli anni la relazione prese forme sempre più stabili. Andammo a vivere insieme e sembrava tutto impeccabile, eppure a volte emergeva in me un senso di inquietudine. Mi sentivo insoddisfatta e un po’ infelice, ma ammetterlo era difficile e amaro, quindi rimuovevo il dubbio mettendolo a tacere. 

Immancabilmente, più resistevo, negando il malessere, più creavo i presupposti affinché qualcosa di esterno e fragoroso portasse il cambiamento che cercavo di evitare: a venticinque anni mi innamorai di un altro uomo e fu un vero e proprio shock. In un soffio andò in frantumi l’idea di “per sempre” legata all’amore e fu come togliersi uno strato di pelle: pungeva e bruciava, scendevano molte lacrime. Passai un periodo tempestoso, tentando di comprendere che fare. Il senso di colpa mordeva lo stomaco e mi sembrava di essere spezzata in due. Da un lato volevo andarmene e dall’altro temevo di ferire un compagno a cui volevo bene e che mai avrei voluto far soffrire.

Dopo mesi di tale schizofrenia non fu più possibile continuare a mentire a me stessa e un po’ alla volta raccolsi i cocci dei miei ideali e conclusi quella storia tuffandomi nell’altra.

In questo passaggio mi resi conto, così chiaramente per la prima volta, di quanta diversità ci fosse in me, di quanti opposti coabitassero in un solo corpo. Il mio nuovo compagno era completamente differente da quello precedente e insieme a lui scoprivo nuovi lati, una parte di me fino ad allora latente. Da una vita piuttosto solitaria, tranquilla e caratterizzata da notevole pigrizia, mi ritrovai a essere sempre più spesso con la valigia in mano: viaggiavamo per lavoro e suonavamo nelle stesse orchestre. Le mie giornate iniziavano verso le 12 del mattino e finivano a tarda notte. I concerti erano alla sera e dopo il lavoro si andava a cenare e poi a ballare, cantare, bere e fumare in qualche locale. Quando non si viaggiava, casa nostra era un crocevia di amici, artisti e persone appena conosciute. Organizzavamo feste continue in cui né noi né gli ospiti ci risparmiavamo nell’improvvisare il caos, alterando le percezioni con l’erba. Era un’unione in cui c’erano risate, ma anche contrasti violenti: almeno un paio di volte la gelosia rese il mio compagno fisicamente aggressivo e fu per me l’inizio di un lento allontanamento. Il fuoco che ci univa era lo stesso che incendiava la rabbia ed era difficile da gestire: ne uscivo emotivamente sfinita e spaventata. Alla fine, dopo sette anni, arrivai a essere stanca di tutto: era proprio una stanchezza fisica oltre che mentale. Il mio lato ribelle aveva avuto campo libero e si era esaurito, sentivo quindi la necessità di ritrovare un po’ di pace come se fosse una questione di sopravvivenza.

Scelsi la vita, scelsi me stessa e restai sola. Quell’istante fu un punto di svolta cruciale, travagliato ma liberatorio, si era sciolto un legame antico, spezzando una potente credenza, ovvero che amare significa sacrificare il proprio benessere.

Poco dopo, mentre ancora riprendevo fiato e “contavo i feriti”, a casa di amici comuni incontrai Vartan. Improvvisamente, con lui, nessuna barriera, nessuna maschera. Mi sentivo con la pelle scoperta, vera e vulnerabile. Quella sera rimanemmo insieme quasi senza parlare, solo occhi e mani, sfiorandoci appena nel silenzio. Era come riconoscersi e riconoscermi al di là del tempo, una vicinanza d’anima che la mente, nei giorni e nei mesi successivi mise in dubbio, mentre il cuore rideva e già si era dato.

È iniziata così una ricca storia d’amore che mi accompagna da quattordici anni ed è in continua evoluzione.

A circa quindici mesi da quell’incontro, Osho entrò nella mia vita e a ruota in quella di Vartan. Prendemmo il sannyas entrambi e cominciò una grande avventura.

Quando il maestro che ami ti invita a lasciare andare attaccamento e identificazioni e gioca con la parola inglese “relationship” (relazione) modificandola in “relation-shit” (shit significa merda), rapportarsi a una relazione di coppia è davvero una sfida che aiuta a sviluppare presenza, elasticità e senso dell’umorismo.

Stare insieme senza rinunciare alla propria libertà mette a nudo ferite che ci portiamo dentro ed è un costante processo di trasformazione.

Nei primi anni della relazione con Vartan portavo ancora sottopelle la paura d’essere aggredita verbalmente, a volte dal nulla, per piccoli pretesti o minimi stimoli. Scattavo in difesa per poi accorgermi che nessuno era lì per farmi del male o urlare. Attaccavo come un leone ferito ed esprimevo quei lati aggressivi visti nel partner precedente. Mi resi dolorosamente conto che la rabbia era già in me e restava un solo luogo in cui guardare: all’interno.

Ero sempre più convinta di questo quando entrai in contatto con Sagarpriya e il lavoro sulle polarità maschile e femminile interiori (Star Sapphire male-female Energywork). È stato provvidenziale scoprire l’esistenza di una coppia anche dentro di me e riconoscere in questa l’origine delle dinamiche esteriori.

Ricordo il mio primo Energywork Training: giorno dopo giorno attraversavo processi e sessioni che svelavano le mie polarità. Un costante lavoro sulla presenza creava una dimensione quasi atemporale dove la spontaneità ci guidava al di là di strutture e schemi prevedibili. Quel campo di energia facilitava il risveglio della mia “psichicità” e negli scambi tra partecipanti percepivo le caratteristiche energetiche delle polarità e imparavo a riequilibrare gli opposti.

In meditazione era come stare sul fondo del mare: in superficie vedevo il riflesso delle mie relazioni esterne mentre al di sotto, nel silenzio e nella profondità, realizzavo quanto lo scambio yin/yang fosse già in me e quanto influenzasse le mie scelte sentimentali e lavorative.

Fino a quel momento il mio lato femminile aveva indicato la direzione da prendere...


Continua su  Osho Times n. 238

 

Amar Leela, fondatrice e co-direttrice del centro Osho Ki6 di Lido di Venezia per info oshoki6.com

 


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