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La mente distruttiva

Nel rispondere a una semplice ma cruciale domanda, Osho delinea diversi paradigmi negativi della mente, alcuni dei quali molto presenti e attuali nel mondo d’oggi...


Un prezioso brano di Osho apparso su Osho Times n. 239

 


 

osho




C’è una domanda del professor Schneider-Wessling, estremamente importante. Il figlio è già sannyasin e lui è seduto proprio qui davanti a me.  È anche membro della World Academy for Creative Science, Arts and Consciousness. 

Era preoccupato se porre o no la domanda, perché temeva che disturbasse la serie di discorsi sullo Zen. 

Professore, per quanto mi riguarda, non c’è alcun disturbo. Ponga una qualsiasi domanda e troverà subito una collocazione nella mia serie! Stia a vedere.

La sua domanda è questa:

Perché lo sviluppo della mente è andato verso la distruttività?

 

L’uomo ha vissuto su questo pianeta per quasi 4 milioni di anni. La gran parte di questi 4 milioni di anni è stata dominata da notti buie senza fuoco, animali feroci, pericoli ovunque, e ogni istante era pervaso dalla paura. Dalla paura e dal pericolo l’uomo ha dovuto sviluppare una certa capacità di sopravvivenza.

Avrai notato che il cucciolo dell’uomo è il più debole che esista in natura; ha bisogno di cure per anni prima che sia in grado di farcela da solo. La madre nell’antichità era costantemente in apprensione per il figlio: in mezzo alla foresta tutti gli animali feroci erano in cerca di cibo così come lo era l’uomo. Quella è stata la ricerca primaria per milioni di anni: il cibo. E ancora oggi è la ricerca primaria per milioni di persone. 

La mente si è sviluppata come misura di sopravvivenza: come nascondersi, come trovare delle caverne, come ricavarne dalla roccia? Come vivere nel buio senza essere attaccati, come vivere sugli alberi? Sono stati tempi duri per milioni di anni.

E il cucciolo dell’uomo è debole più di qualsiasi altro animale. All’impossibilità di combattere devi sopperire inventando delle armi: non hai gli artigli di una tigre, ti occorre qualcosa al loro posto. Non avendo i denti del leone o del coccodrillo occorreva essere abbastanza ingegnosi da non dover andar loro troppo vicino. Perché anche con un coltello in mano... Il che era assai difficile dato che i coltelli primitivi erano fatti di pietra. Anche se avevi in mano un coltello e arrivava un leone, con tutta probabilità avresti tremato di paura e il coltello ti sarebbe caduto! Sarebbe bastato il ruggito del leone e ti saresti raggelato, non avresti saputo che fare a quel punto.

 

Ho sentito raccontare... 

Un uomo, sua moglie e la suocera sono andati a caccia. D’un tratto, da una caverna lì vicino, sentono arrivare le urla della suocera: “Aiuto! Aiuto!”. La moglie che è seduta su un albero vede un leone e dice al marito che è a terra con il fucile: “Mia madre è nei guai, c’è un leone davanti a lei, fa’ qualcosa!”.

Il marito dice: “È il leone a essersi messo nei guai, perché dovrei fare qualcosa? Tua madre basta e avanza! Mi ha messo ko, farà lo stesso con il leone. Adesso è un problema suo, non mio”. 

 

L’uomo ha dovuto inventare le frecce in modo da essere distante dagli animali feroci e ucciderli lo stesso. Lentamente arrivarono altre armi. Tutte queste armi arrivarono a causa della debolezza dell’uomo. Dopo aver scoperto il fuoco era un po’ più al sicuro. Dopo aver scoperto la polvere da sparo – la Cina fu la prima – era ancora più al sicuro. Forse i cinesi sono diventati civili prima di ogni altro popolo per il semplice fatto che eliminarono gli animali feroci. Ed eliminandoli, una grande paura, una costante atmosfera di paura e pericolo venne meno.

Ma la mente è rimasta, quella mente formatasi nel corso di millenni. Ha ancora paura del buio anche se si sa che non c’è alcun bisogno di avere paura del buio. La mente però ignora che i tempi siano cambiati; un’abitudine di milioni di anni permane ancora. La mente non lo sa; la mente è cieca.

 

Un professore, vicerettore dell’Università di Varanasi, Rajnath Pandey, soggiornava da me ed era molto contrario al modo in cui facevo crescere gli alberi intorno casa mia. Io dissi: “Perché sei così contrario?”. 

E lui disse: “Questi alberi sono dei nemici! Se non li tagli regolarmente, se non li tieni alla larga, prima o poi la tua casa diventerà un rudere e gli alberi se ne impossesseranno”. 

 

L’uomo ha combattuto contro gli alberi per millenni. Adesso non ragioniamo più allo stesso modo, ma il professore aveva ragione, era un uomo di storia. Io non ci avevo mai pensato, ma era nel giusto, gli alberi hanno ucciso l’uomo. Abbiamo dovuto distruggere gli alberi per costruire città e paesi, e abbiamo dovuto distruggerli perché nascondevano gli animali feroci.

L’uomo è passato attraverso una tale lotta per la sopravvivenza che non può cancellare quelle abitudini. Quindi sebbene ora non ci siano animali feroci da cui difendersi, facciamo scorta di armi atomiche. Non abbiamo alcuna ragione di combattere eppure ci dotiamo di sempre più armi per via di un’antica abitudine animale. Tutti sanno che la terza guerra mondiale è impossibile semplicemente perché distruggerà tutti, non ci saranno né vincitori né vinti. Finirebbe tutto, l’intero pianeta diventerebbe un cimitero.

Tutta la gioia del combattere sta nell’essere vittoriosi, ma se non sarà la vittoria di nessuno che senso ha? È perfettamente chiaro. A oggi sono solo 5 i paesi con armi atomiche, ma per la fine del novecento arriveranno a essere 25. È incomprensibile... a che pro? Ci sono già armi atomiche a sufficienza per distruggere la Terra 700 volte. E solo un uomo in tutta la storia è riuscito a risorgere, ed è stato Gesù Cristo. Non penso però che risorgerebbe 700 volte... 

 

C’è chi ritiene che non fosse risorto neanche quella singola volta, in quanto non era morto. Perché qui in India, nel Kashmir, ci sono sia la tomba di Gesù che quella di Mosè. E c’è un villaggio nel Kashmir che ha preso il nome da Gesù, Pahalgam, perché Gesù soleva definirsi il pastore, colui che era venuto a salvare il gregge. E Pahalgam in lingua kashmiri significa il pastore, il villaggio del pastore. E curiosamente, dopo essere fuggiti dall’Egitto, Mosè arrivò nel Kashmir in cerca della tribù perduta. 

Al grande Mosè ci vollero 40 anni di ricerca per trovare Israele e gli ebrei non lo perdoneranno mai. In 40 anni un viaggio lungo come quello attraverso tutto il deserto dell’Arabia Saudita... Quando Mosè raggiunse Gerusalemme, quasi tre quarti delle persone che lo avevano seguito erano decedute. E la mia sensazione è che non abbia mai trovato Israele, ma doveva dirlo alla sua gente... Lui stesso aveva 80 anni, era stanco, assolutamente esausto, così dichiarò Gerusalemme il luogo sacro che stavano cercando. 

Non vedo alcunché di sacro in Gerusalemme. 

E gli ebrei non perdoneranno mai Mosè per essere passato per tutte quelle terre piene di petrolio che ora davvero sono le nazioni più ricche del mondo. Se si fosse fermato in Arabia Saudita, o in Iran... Ma una delle tribù si era persa nel deserto e dichiarare sacra Gerusalemme serviva a mascherare il fallimento.

Inoltre Mosè aveva messo al comando persone nuove, con le quali non aveva alcuna familiarità, perché i seguaci dell’inizio erano morti. La terza generazione stava entrando nella gioventù e non aveva rispetto, come nessuna generazione giovane l’hai mai avuto nei confronti di quella più vecchia. Il divario generazionale non è una cosa nuova. Sicché Mosè trovò una scusa: “Devo andare. Prendetevi cura di tutto, io vado in cerca della tribù perduta”. La tribù perduta aveva raggiunto il Kashmir, e il Kashmir ha senz’altro le sembianze di un paradiso...

 

Tratto da: Osho, Turning In #1



Continua su Osho Times n. 239




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