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Osho amico mio!

Rincontrare Osho dopo 28 anni.
S. K. Sakshena, da ragazzo, negli anni ‘60, ebbe tante occasioni di incontrare il giovane Osho... Oggi vive con la famiglia a Mumbai e scrive occasionalmente storie di vita su alcuni blog. Suo padre era Sri Krishna Sakshena, Professore Emerito di Filosofia e insegnante e mentore di Osho all’Università di Sagar, Jabalpur

Da un articolo apparso su Osho Times n 239
 
Maha Vipassana a Miasto


Il mondo lo ricorda come Osho, un illuminato, ma per ciascuno di noi in famiglia era, con affetto, semplicemente Rajneesh. Era stato lo studente preferito di mio padre all’università di Sagar. Come succedeva spesso con gli insegnanti di un tempo, gli studenti si riunivano a casa nostra, alla sera, e discutevano di questioni filosofiche. Parlavano di Gurdjieff, Nietzsche, esistenzialismo e così via. Mia madre, in veste di gurumaa (in questo caso “padrona di casa”, N.d.T.) li viziava con tazze di tè e provviste interminabili di pakora (frittelline di verdure e farina di ceci, N.d.T.). Rajneesh, tra tutti loro, si distingueva per la sua intelligenza e quando gli altri se ne andavano si ritirava in una stanza vuota dietro la casa e meditava per ore. Mia nonna, che era del genere pooja-paath (devota alla preghiera, N.d.T.), si chiedeva cosa facesse quel tipo tutto solo in quella stanza vuota per ore. 

Questo era il genere di atmosfera in cui si incoraggiava la libera indagine filosofica... 

Molto più tardi, nei suoi discorsi e nei suoi libri, Rajneesh ha citato spesso mio padre, chiamandolo con affetto “il mio insegnante”, anche se spesso ne ha anche criticato le idee. 

Un’estate mio padre suggerì a me e Rajneesh di visitare i templi di Khajuraho. Nessuno di noi due li aveva mai sentiti nominare e di certo, a quel tempo, non erano indicati sulle mappe turistiche. Viaggiammo in autostop su un furgoncino della polizia e raggiungemmo un ashram di Gandhi, nello stato rurale del Chhattisgarh. Da lì imboccammo una strada sterrata e facemmo tappa nel villaggio di Khajuraho, in una delle vecchie tenute che ospitavano i funzionari britannici ai tempi del colonialismo. L’indomani mattina, dopo aver chiesto informazioni alla gente del posto, prendemmo per la foresta e, un sentiero dopo l’altro, arrivammo a quei magnifici templi. 

Nessuno di noi due sapeva cosa aspettarsi... 

Là per la prima volta mi sono chiesto cosa dovevano aver provato gli esploratori inglesi coi loro valori vittoriani quando si sono imbattuti in qualcosa di così esotico (o erotico!).

Rajneesh e io restammo incantati di fronte al più sublime tributo all’amore e alla forma femminile che i re Chandela avessero lasciato per noi posteri. Era un’ode al sublime anelito dell’anima di fondersi con il divino? 

O un mero edonismo e una pubblica celebrazione della dissolutezza? Ma quello che ci stupì maggiormente fu vedere le donne del luogo che nel modo più naturale possibile svolgevano i consueti rituali di venerazione hindu in questi templi erotici e del tutto “spudorati”! Mentre scattavo delle foto Rajneesh continuava a dire: “Devo vedere le tue foto”. E quando, in seguito, arrivarono gli ingrandimenti si mise ad analizzare ogni immagine con l’entusiasmo di un bambino. In particolare commentava le sublimi espressioni dipinte sui volti degli amanti intrecciati tra loro. Ho il sospetto che i semi del suo libro From Sex to Superconsciousness (Dal sesso all’eros cosmico in italiano) furono piantati in quel frangente.

Poco tempo dopo i miei genitori si trasferirono a Delhi. Un giorno Rajneesh si presentò a casa accompagnato da due bellissime donne e toccò i piedi di mio padre. Diventò poi un assiduo frequentatore della casa e arrivava sempre in compagnia di una o due bellissime donne. 

Mio padre lo stuzzicava chiedendogli quale fosse il segreto per attirare quelle bellissime ragazze, mentre a mia madre non andò mai giù il fatto che si presentasse a casa con le sue accompagnatrici. 

Fu a mio padre che Osho dedicò il suo primo libro.

Più in fretta di quanto potessimo realizzare i suoi discorsi in pubblico guadagnarono sempre più fama e infine Rajneesh, per i suoi campi di meditazione, riuscì ad aggiudicarsi Chowpatti, la spiaggia più popolare di Mumbai. 

In poco tempo da “Acharya (titolo riservato a uomini di cultura) Rajneesh” fu promosso a “Bhagwan (titolo riservato a leader spirituali) Rajneesh”. 

Attirava hippie, figli dei fiori, intellettuali, ossia tutti coloro che avevano rifiutato con disgusto il volgare materialismo e gli orrori della guerra in Vietnam. 

Lo Zen era la tendenza del decennio e lui ne divenne l’esponente di spicco. In men che non si dica il suo ashram divenne un rifugio per tutti i disillusi del mondo... 

A un certo punto, senza troppo rumore, Rajneesh lasciò l’India. Qualche tempo dopo i suoi discepoli acquistarono un vecchio ranch in Oregon e gli diedero il nome di Rajneeshpuram. In poco tempo si trasformò in una prospera comunità che possedeva una schiera di Rolls Royce e aerei privati e diventò un curioso assortimento di gente di ogni genere. I cristiani evangelici ortodossi del luogo si sentirono minacciati da questa strana comunità dalle abitudini permissive e dagli abiti arancioni e fu così che, nel 1985, l’allora presidente Ronald Reagan si premurò personalmente di far espellere Rajneesh nel più umiliante dei modi. Persino il Papa emise un’ordinanza che proibiva a tutti gli stati cattolici di accoglierlo. Alcuni paesi negarono persino il rifornimento di carburante del piccolo aereo su cui viaggiava. Un singolo uomo è capace di scuotere grandi governi quando è un mistico in anticipo rispetto ai tempi. 21 furono i paesi che gli rifiutarono l’ingresso prima che gli fosse concesso di atterrare a Kathmandu. È a questo punto che, dopo 28 anni, le nostre strade si incrociarono di nuovo.

Io e mia moglie ci stavamo registrando all’Hotel Oberoi Soaltee, quando notammo che l’atrio era gremito di gente vestita in arancione e con al collo il mala con la foto di Bhagwan. Dopo qualche indagine avemmo la conferma che, sì, Bhagwan era sicuramente in albergo e stava osservando un periodo di silenzio. Il suo seguito aveva riservato diversi piani dell’albergo e ogni piano era sottoposto a sorveglianza. Ogni sera i giardini dell’albergo si riempivano di gente proveniente dalla vallata in attesa che Bhagwan desse uno dei suoi darshan. Poi alla notizia che non sarebbe ancora uscito dal silenzio se ne andavano tutti. A me non sfiorò neanche l’idea che potessi tentare di incontrarlo, però mia moglie continuava a insistere dicendo che io ero qualcuno a cui non avrebbe detto di no. Quindi con molta riluttanza cercai di scoprire il suo numero di stanza. Al personale dell’albergo era stato ordinato di non rivelare la sua ubicazione tuttavia attraverso qualche espediente riuscii a incontrare il suo assai sospettoso segretario che, ahimè, continuava a dire: “No! No!” ancora prima che dicessi qualcosa. Alla fine gli porsi il mio biglietto da visita e dissi: “Non intendo incontrare Rajneesh, voglio solo dargli il mio biglietto da visita, tutto qua!”.

Dopodiché gli eventi si susseguirono in fretta. Si sparse fulminea come una scossa elettrica la voce che Bhagwan avrebbe rotto il silenzio e tenuto un discorso nella Sala Banchetti quella sera stessa. Io e mia moglie acquistammo i biglietti e ci sedemmo volutamente all’ultima fila per evitare di essere notati. Oltretutto non ero neanche sicuro che dopo 28 anni mi avrebbe riconosciuto. Poi all’improvviso fu fatto fare silenzio: i discepoli in tunica formarono un corridoio e Bhagwan fece la sua comparsa, tenendo le mani incrociate: una figura benevola dal sorriso ipnotico con indosso una tunica tempestata di diamanti. Il suo copricapo era decorato da due fila di diamanti e così anche le sue pantofole! Si sedette su una sedia da dirigente ed esordì dicendo: “Siamo così fortunati oggi!”. E indicando verso di me proseguì: “Oggi è qui con noi il figlio del mio insegnante”. Tutte le teste si voltarono verso l’ultima fila, ma nessuno riusciva a capire a chi si riferisse. Poi iniziò il suo discorso, ma la mia mente era troppo stordita per concentrarsi su ciò che stava dicendo.

A discorso finito i suoi discepoli tornarono a formare un corridoio e con sorpresa di tutti Rajneesh si diresse verso di me e mi prese le mani, guardandomi negli occhi amorevolmente. Passarono dei minuti e tra noi non fu scambiata neanche una parola. Ci guardammo semplicemente negli occhi, ma in silenzio ci dicemmo tantissimo! Le sue mani erano così morbide e da lì potei osservare il suo orologio tempestato di diamanti. Dopo quella che sembrò essere un’eternità giunse le mani in namastè e proseguì. Bhagwan era nuovamente scomparso nel silenzio.

Ma la serata non era ancora finita: si scatenò il putiferio! I suoi discepoli si affollarono intorno a me, ciascuno di loro desideroso di abbracciarmi e con le lacrime agli occhi, esclamando: “Oh, Bhagwan ti conosce! Ti ha toccato!”. Io stavo superando la soglia della mia sopportazione, tutta quella calca... Io e mia moglie scappammo alla svelta. Quello fu il nostro ultimo incontro con il maestro.

 

S. K. Sakshena
Tratto da: merinews.com


Continua con altri racconti su  Osho Times n. 239
 

 

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