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Un’espansione del cuore

Mahendra ci racconta la sua esperienza con il mondo dei suoni e delle vibrazioni. E non solo… Da un’intervista di Prabala

Da un articolo apparso su Osho Times n 240

 
Mahendra


Quando scoprii la prima meditazione di Osho avevo 17 anni e successe molto casualmente. Ero in spiaggia in una notte di Luna piena a Borgio Verezzi. La Luna era rossa e l’atmosfera già magica di per sé. Una mia amica stava facendo una meditazione (la Prayer) sulla spiaggia e siccome ero molto attratto dalla luce nei suoi occhi – ne ero innamorato – le chiesi se potevo partecipare. Lei mi fece un bellissimo sorriso e mi spiegò come si svolgeva: fu una meravigliosa esperienza. Da lì cominciai a frequentare il centro di Osho di Milano, il Surjan, e provai altre meditazioni.

La prima fu la Dinamica. Mi sorprese molto e quasi mi venne da ridere a vedere la gente che sembrava “fuori di testa”! C’era una parte di me che era un po’ nel giudizio e pensava che fossero degli squilibrati. Però mi colpì vedere le scintille di luce che avevano negli occhi e mi ricordo che dentro di me una vocina disse: “Voglio avere anche io quella vitalità, quella gioia negli occhi”. 

Per me era un periodo un po’ difficile in cui non sapevo ancora bene cosa fare della mia vita. Mi stavo dedicando a degli studi che non mi rispecchiavano più di tanto: avevo quasi finito il liceo e di lì a un anno mi sarei iscritto a Economia e Commercio alla Bocconi, perché quello era il mio condizionamento familiare.

Mentre portavo avanti gli studi continuavo a fare le meditazioni perché il Surjan era, “casualmente”, appena a 200 metri dall’università, quindi ci andavo alla mattina presto per meditare, poi attraversavo il parco e all’altro lato c’era l’università. Fu uno specchio formidabile, nel senso che da un lato l’università in sé andava benissimo, avevo degli ottimi voti e delle gratificazioni, però dall’altra parte c’era il riflesso di quello che ero io e che non corrispondeva più a quello che stavo facendo. E più andavo avanti più capivo che la mia vita non andava in quella direzione nonostante fossi portato per quegli studi e stesse andando tutto bene. 

Nel 1994, dopo circa tre anni che frequentavo il Surjan, presi il sannyas e più o meno nello stesso periodo decisi di partire per l’India per quella che fu la mia prima esperienza a Pune, dove mi fermai per diversi mesi e dove esplose tutta la mia creatività. Il mio strumento, il mio canale di espressione, fu lavorare sul mio corpo fisico per poi raggiungere una dimensione di meditazione.

Feci un corso di massaggio ayurvedico e l’Osho Divine Healing con Prashantam e, una volta tornato a casa, approfondii con il corso triennale alla scuola che lui aveva aperto in Italia, prendendo il diploma di Shiatsu. 

Cercai di portare avanti l’università, ma, arrivato all’ultimo anno, dovetti abbandonare, perché mi sentivo nauseato, non tanto dagli studi quanto da un ambiente pieno di maschere, di finzione, di compromessi, che ormai da dove mi trovavo io non potevo più reggere. La mia voce interiore, la mia verità mi diceva: “Vai verso ciò che ti nutre” e il mio nutrimento era la meditazione, il lavoro su di me, sul mio corpo e anche su quello degli altri! Tant’è vero che cominciai a fare massaggi e fu l’esplosione della mia parte creativa. Per diversi anni feci anche il decoratore di interni ed esterni, perché mi sentivo molto attratto dall’aspetto manuale e creativo che caratterizza quel lavoro. 

Per me la mia esperienza passa da un’espressione del mio corpo, delle mie mani. 

A un certo punto del mio percorso iniziai anche a girare un po’ per il mondo, perché ero attratto da una vera ricerca, dalla conoscenza di altre culture e realtà. 

Cominciai a girare per l’Europa, in Israele e in Russia, offrendo un lavoro che avevo creato e che presentavo come bodywork perché partivo dal corpo, però andavo a lavorare anche a livello emozionale, sui blocchi, sempre mantenendo il focus sulla meditazione, a quella dimensione magica che ho riscontrato in particolare nelle tecniche di Osho. 

Osho è il mio maestro, la mia guida e provo per lui un amore incondizionato, però mi piace anche entrare in contatto con altre fonti di ricerca e per farlo ho viaggiato molto: sono andato in Turchia, a Konya, dove ho scoperto il mondo Sufi. Sono stato in Australia dove ho comprato un Combi Van, un furgoncino anni ‘70, e ci ho vissuto per quasi 5 mesi viaggiando per il continente. Fu lì che scoprii la bellezza della musica! 

Il mio primo strumento è stato il didjeridoo degli aborigeni australiani, con il potere della sua vibrazione che emana pace e amore. Da quel momento la musica mi ha sempre accompagnato nei miei viaggi. Non avevo molti soldi al tempo, quindi comprai un tubo di plastica in PVC (di quelli dell’acqua) e iniziai a suonarlo! E quando imparai cominciai a introdurlo nelle sessioni di massaggio e a dirigere i suoni sul corpo delle persone… 

Altri strumenti che mi hanno toccato il cuore sono state le campane tibetane, perché riescono a creare come un’unione con l’universo: ogni campana è ricavata dalla fusione di sette metalli che rappresentano i sette pianeti più vicini. Ogni volta che le usi riproducono un suono che è universale e che ci fa sentire un tutt’uno con l’universo e con l’ambiente in cui viviamo... Per me questo è bellissimo, è magia! 

Le campane tibetane arrivarono nella mia vita grazie a Nirodh Fortini, il fondatore del primo centro di Osho in Italia, l’Arihant di Varazze, che mi ha donato e trasmesso tutto il suo amore per questi strumenti. Mi prestò un piccolo set, poi altre campane le comprai dai tibetani, e iniziai a sperimentare, a giocare un po’. E mi accorsi che erano un completamento di quelle vibrazioni armoniche che si creano e che vanno a nutrirci dall’interno. Il suono infatti non lo percepiamo soltanto con le orecchie, ma è una vibrazione quasi materica che sentiamo e accogliamo con tutto il corpo, e che va a sciogliere e a sgretolare le tensioni e i blocchi che altro non sono che dei ristagni energetici. 

Ne ho sperimentato i benefici prima su di me e poi sugli altri, e sono benefici che si manifestano sia a livello fisico – quando finisco di suonare mi sento rigenerato, più leggero – che a livello della mente che si acquieta, tanto che i pensieri arrivano a placarsi. Tutto convoglia verso un’attenzione, verso una percezione sia uditiva che fisica che in quel momento porta a far emergere il testimone, e nel momento in cui si è testimoni è come se la mente si sentisse spiazzata, come se non riuscisse più a fare i soliti giochini. 

È così che ho scoperto questa magia e ho iniziato a portare sempre più i suoni armonici nei trattamenti o nelle sessioni di gruppo. 

Per me gli strumenti che uso fungono da canale più che altro: quello che io esprimo suonando è un’espansione del cuore. Difatti nel logo del mio lavoro c’è un cuore al centro di un gong, e per me all’interno di questo cuore c’è Osho, quell’energia, quel qualcosa che ho percepito soltanto con lui. Nelle vibrazioni sento esattamente quella qualità, che è la qualità del cuore. 

Intorno al 2005 mi “innamorai” di un gong di proprietà di un musicoterapeuta. Andai a trovarlo a casa...



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