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Un’espansione del cuore

Mahendra ci racconta la sua esperienza con il mondo dei suoni e delle vibrazioni. E non solo… Da un’intervista di Prabala

Da un articolo apparso su Osho Times n 240

 
Aljeffery


Si chiama Al Jeffery ed è un oratore, autore, imprenditore e “facilitatore di spazi e luoghi che coltivano il potenziale umano e il progresso creativo”. 

Racconta:

 

Ho scelto una delle Carte della Compassione di Pema Chödrön e mi è uscito: “Osserva tutti i dharma come fossero sogni”. Che significa “considera tutti gli elementi che compongono la nostra esistenza empirica come se fossero sogni, transitori e non assoluti”.

Ho partecipato a un seminario dopo l’altro da quando avevo 15 anni, pensando di essere sulla via della felicità. E lo ero! Ho imparato a padroneggiare l’arte di notare i modelli e le abitudini mentali negativi e reindirizzarli verso qualcosa che mi fosse utile a creare l’esperienza che cercavo.

Quando insorgevano delle emozioni “negative” le notavo, facevo un’affermazione positiva, un incantesimo o le ricoprivo di una gioia eccessiva, in modo da poter provare la felicità che stavo cercando.

Questo mi ha fatto sentire benissimo per un po’ di tempo. Poi, lentamente, ha cominciato ad apparirmi un po’… poco profondo. Quando tentavo di farlo mentre ero in mezzo agli altri, in occasione di eventi o riunioni, mi sentivo inautentico: “Oh sì, sto magnificamente, grazie”. Condividevo sempre come avrei voluto sentirmi, ma raramente come mi sentivo veramente in profondità. Di conseguenza, il mio rapporto con gli altri cresceva solo fino a un certo punto, per non parlare del mio rapporto con me stesso.

Facebook, Instagram e i social media rendevano tutto questo incredibilmente impegnativo: anche solo vedere quanto fossero “felici” le persone… Come se la felicità fosse l’obiettivo!

Nel libro di Parker Palmer, A Hidden Wholeness (Un’interezza nascosta), l’autore parla della tecnica di gruppo del “cerchio di fiducia”, un modo per “creare uno spazio dove l’anima possa parlare”. Nel cerchio, si impara a conoscere l’interezza del proprio essere, si impara ad amare la totalità di se stessi.

Invece, trascurare e reprimere le parti di noi che non ci piacciono o che non ci danno felicità conduce a qualcosa di molto diverso: per me significa sentirmi disconnesso, incompleto e inautentico.

I quattro quadranti del cerchio di fiducia ci forniscono un quadro per capire come tornare all’interezza:

1. Il “basso negativo” è un momento di depressione o tristezza.

2. Il “basso positivo” è un momento di pace, gioia ed equilibrio.

3. L’“alto negativo” è un momento di rabbia o di ostilità.

4. L’“alto positivo” è un momento di gioia estatica, di celebrazione o di esaltazione.

Entriamo nel quadrante disegnato sul pavimento e lasciamo che gli altri ci vedano in ogni quadrante mentre esprimiamo la nostra emozione relativa a un evento specifico che ci ha fatto sentire in quel modo. Lasciare che gli altri ci vedano in questi quattro quadranti ci dà un’esperienza di cosa vuol dire imparare ad accogliere ogni parte del nostro essere.

Il risultato è una “felicità” più forte, emancipata. 

Quando puoi lasciarti andare all’espressione totale di chi sei veramente e guardi dalla prospettiva dell’osservatore, hai più forza e potere per attraversare i tuoi sentimenti e le tue emozioni con consapevolezza. Quando abbiamo un rapporto più rilassato con tutte le parti di noi stessi, possiamo scegliere quando “sederci a passare del tempo” con ciascuna.

Tutti i nostri sentimenti ed emozioni sono transitori e continuamente si evolvono l’uno nell’altro mentre entriamo in un nuovo “ora”. Riconoscerlo e darci il permesso di sperimentare l’autonomia e la libertà dell’osservare questo processo senza dover manipolare o modificare ciò che esprimiamo può essere veramente liberatorio.

Quindi la mia domanda è: è davvero la felicità che stiamo cercando o è l’interezza? E se conduce a un’emancipata libertà, non è forse l’interezza più efficace e onnicomprensiva della semplice felicità?



Bello constatare che nel mondo si afferma sempre di più una concezione totale dell’essere umano... E questo, naturalmente, mi ricorda qualcuno...


“Se non sei intero non puoi essere soddisfatto. Solo l’interezza può essere sacra, fiorire, sbocciare… essere appagamento, felicità…

Una persona il cui essere è realizzato solo a metà è in costante conflitto con l’altra parte… Non riesce a danzare, è paralizzato, metà di lui è paralizzata! Come può danzare? Non può nemmeno camminare! Ha bisogno di migliaia di artifici, di ogni genere di stampella. Non è capace di stare in piedi da solo, non può vivere esprimendo il proprio essere. Ha sempre bisogno di tante cose, e quei bisogni sono infiniti! La sua mente resta quella di un mendicante, non può essere un imperatore. Solo essere intero fa di te un imperatore!
(Osho 1)

 

È importante comprenderlo. Succede a moltissime persone. 

La tua felicità non è profonda. Non è tua, dipende da qualcosa, da qualcuno. E per tutto ciò che ti rende dipendente, per quanto felice puoi sentirti in qualche momento, presto la luna di miele finirà, e prima di quanto pensi.

La tristezza è più autentica, perché non dipende da nessuno, è tua, assolutamente tua! Questo dovrebbe darti una comprensione enorme: che la tristezza può esserti molto più utile della felicità.

Non guardi mai la tristezza da vicino, cerchi di evitare di guardarla in tutti i modi. Vai al cinema, guardi la TV, esci con gli amici, vai al club. Fai qualcosa, in modo da non dover guardare in faccia la tua tristezza.

Questo non è il giusto approccio.

Quando sei triste è un fenomeno importantissimo, molto sacro, qualcosa che è veramente tuo. Facci amicizia, entraci più in profondità e ti sorprenderà… 

Siedi in silenzio e sii triste. La tristezza ha la sua bellezza. È silenziosa, è tua. Arriva perché sei solo, ti sta dando una possibilità di entrare più profondamente nella tua solitudine. Piuttosto che saltare da una felicità poco profonda a un’altra e sprecare la tua vita è meglio usare la tristezza come strumento per meditare. Diventa suo testimone! È un’amica! Apre le porte alla tua eterna solitudine.
(Osho 2)

 

La felicità da sola, senza pace, è uno stato febbrile di esaltazione, ma non è estasi. C’è differenza tra l’esaltazione e l’estasi: l’estasi è beatitudine e pace al tempo stesso. L’esaltazione è solo felicità, per questo porta agitazione. È una bella agitazione, è un rumore, un rumore che ti piace, ma presto o tardi ti stancherai. È quel che accade con ogni genere di piacere, divertimento, gioia della vita. Sono tutti aspetti diversi della felicità, ma manca loro un elemento: la pace. Per questo sono poco profondi, e prima o poi portano noia e stanchezza. Vanno bene per alcuni momenti, ma per quanto puoi restare in esaltazione? È uno sforzo, non è riposante…

Per questo la felicità da sola non vale molto.

Anche la pace da sola non vale molto, è fredda e morta. È come il silenzio di un cimitero.

La cosa reale è averle tutte e due insieme, e la pace diventa il centro, laddove la beatitudine è il ciclone. E quando le hai tutte e due la vita è estatica, è gioia immensa. E non ti stanca, al contrario, ti rinvigorisce di continuo.

Insieme rendono la tua vita intera. Altrimenti è facile raggiugerne una, ma poi si resta a metà, sbilanciati. Ed essere a metà vuol dire essere infelici.

Essere interi porta nella vita la celebrazione.

I miei sannyasin devono essere davvero delle persone intere”.
(Osho 3)

 

Titolo originale dell’articolo di Al Jeffery: 

Perché la ricerca della felicità non è sufficiente, pubblicato su upliftconnect.com

Per maggiori informazioni sull’autore: aljeffery.com

 

 

Testi di osho tratti da:

1. Philosophia Ultima #9

2. From Bondage to Freedom #25

3. The Golden Wind #4



Articolo apparso su  Osho Times n. 240

 

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