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newsltetter n. 017

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Non conosco il sapore
della sofferenza

 

Vivere con gioia
e gratitudine ogni esperienza,
affrontare ogni situazione
con coraggio,
fiducia e impegno
totale...

Testi di Osho apparsi inediti su Osho Times n. 202

 


Osho, sei sicuro di non essere nato illuminato? Sembra che tu abbia vissuto tutta la vita con una tale chiarezza, un tale coraggio... e con l’impegno di non compromettere mai la tua integrità. Sembra che una certa qualità di consapevolezza, di “risveglio”, debba essere stata con te per tutto il tempo. E se per vent’anni non eri illuminato, c’era qualcosa che ti faceva soffrire?

Per me non c’è stata sofferenza, non ne conosco il sapore. Ho visto persone soffrire, posso visualizzare ciò che sta probabilmente succedendo dentro di loro, ma in questa vita non ho mai sofferto, nemmeno per un istante. Quindi hai ragione, sono nato quasi illuminato.
Non posso dire “illuminato”, ma quasi… proprio sulla soglia, come chi si trova sulla linea di confine: da un lato c’è un mondo di oscurità, inconsapevolezza e sofferenza e dall’altro lato c’è un mondo di estasi, luce e benedizione. Io non mi trovavo né da un lato né dall’altro, ma proprio sul limitare.
Nella mia vita precedente, il lavoro era rimasto incompleto soltanto per poco. Ecco perché uso la parola “quasi”. Un passo in più e mi sarei illuminato. Ma esserci arrivato così vicino, vuol dire comunque non poter soffrire, non avere angosce, non avere incubi.
La vita a quel punto ha necessariamente qualità che di solito non sono disponibili a un bambino: coraggio, integrità, un atteggiamento che non accetta compromessi, un impegno totale. Non torni mai indietro, qualunque siano le conseguenze e le accetti con gioia, come se non avessero alcuna importanza. Ciò che è importante è il modo in cui hai affrontato la situazione. Se sei stato totale, se ti sei impegnato completamente, senza avere dubbi e se la tua fiducia era assoluta, non relativa, non dipendente da qualche condizione, ma incondizionata: questo è ciò che conta, non cosa accade come conseguenza, che è irrilevante.
L’azione in se stessa è anche la sua ricompensa, ed è così che ho vissuto. Se mi venisse data un’altra possibilità, vorrei vivere tante volte allo stesso modo, senza cambiare nulla, per il semplice motivo che ho trovato gioia in tutto ciò che è accaduto e in una breve vita sono successe tante cose!

Una volta fu chiesto a Emerson: “Quanti anni hai?” e lui rispose: “Trecentosessanta”. L’uomo che aveva fatto la domanda non riusciva a crederci. Disse: “Ma no, stai scherzando! Dimmi esattamente quanti anni hai”. Ed Emerson replicò: “Te l’ho detto. Posso capire la tua sorpresa, perché conti trecentosessant’anni in base al calendario. Ma questo non è il mio modo di misurare la vita. Ho soltanto sessant’anni in base al calendario, ma in sessant’anni ho vissuto sei volte di più di quello che potresti fare tu nello stesso periodo. Considerando quanto intensamente ho vissuto, ti ho detto che ho trecentosessant’anni, compressi in sessant’anni di tempo”.

Ogni momento ha avuto uno straordinario valore. Quei momenti prima dell’illuminazione, i momenti dell’illuminazione e i momenti in cui sono andato oltre l’illuminazione: ho ricevuto così tanto che posso soltanto essere grato all’esistenza. Da questa gratitudine nasce la mia fiducia. Non ha nulla a che fare con l’esistenza, con il fatto che sia degna di fiducia oppure no, sono la mia esperienza e la mia gratitudine che creano in me la fiducia.
Quindi, tutto ciò che l’esistenza mi farà, lo accetterò completamente, persino la crocifissione. Non andrà come con Gesù che perse la testa, per un istante perse la fiducia in dio.
Non ha importanza chiamarlo dio o esistenza. “Esistenza” è più naturale, più reale. “Dio” è più simbolico, più metaforico, perché non puoi provarlo. L’esistenza non ha bisogno di prove, c’è già e noi ne siamo parte.
Per un istante Gesù perse la fiducia e perdere la fiducia vuol dire perdere tutto. Urlò al cielo vuoto: “Padre, mi hai abbandonato?”. Quest’unica fra­se di dubbio, sospetto, sfiducia è straordinariamente importante. Mo­stra che la sua fiducia non era totale, che vi erano delle aspettative, forse non coscienti, ma vi era un’aspettativa che sarebbe accaduto un miracolo e sarebbe stato salvato. Non accadde nulla. Gesù aveva promesso ai discepoli: “Vedrete che cosa farà mio padre”. Questa aspettativa di un miracolo che doveva arrivare dal cielo, come una mano che lo portasse via dalla croce o cambiasse tutta la situazione, per cui non sarebbe stato più come un mendicante, un criminale, ma messo su un trono come un imperatore, il principe della pace…
Non accadde nulla: stava morendo proprio come l’altro criminale che non aveva mai pensato a dio, che non aveva mai pregato, che aveva commesso ogni peccato possibile. Quell’uomo stava morendo esattamente nella stessa maniera in cui stava morendo Gesù. Dio sembrava essere indifferente. Per questo nella sua frase ci sono rabbia, frustrazione, fallimento, tante cose in così poche parole. Quelle parole annullano tutta la sua vita come salvatore, come uomo risvegliato.
La fiducia non ha condizioni, è semplicemente gratitudine, è riconoscenza. Se, dopo tutte queste esperienze, momenti di amore, spazi gioiosi e belli, la fine è la crocifissione, se questo è il “punto e a capo”, va benissimo così, goditela.
Ho sempre pensato che se Gesù fosse riuscito a ringraziare dio, il mio apprezzamento per lui sarebbe stato diverso. Se avesse accettato con gioia anche la crocifissione… non sta a te suggerire che cosa deve succedere: gioisci di tutto ciò che accade, in profonda accettazione. Ciò prova la tua integrità e la tua fiducia. È proprio nei momenti in cui attraversi il fuoco che… quando va tutto bene, senza problemi, puoi avere fiducia con grande facilità, ma avere fiducia sulla croce è una prova.
Se Gesù avesse avuto fiducia quando era sulla croce, se non avesse alzato la voce per mettere in discussione, dubitare, sospettare, sarebbe stato nella stessa categoria del Buddha. Si è lasciato sfuggire quel momento. Ma ciò accade soltanto se porti dentro di te qualcosa che, in un momento cruciale, non può non venire alla luce.
La tua domanda è importante. Tutti, persino i miei genitori, i vicini, gli insegnanti, erano perplessi, per il semplice motivo che non riuscivano a inquadrarmi in una categoria. Conoscevano persone di tutti i tipi, ma non potevano mettermi in una categoria precisa.

Il preside del mio liceo era una persona molto severa, che teneva moltissimo alla disciplina. Quando passai dalla scuola media al liceo, sin dal primo giorno iniziò la mia lotta con lui. Di mattina, all’inizio delle lezioni, si teneva una preghiera collettiva. Io rimanevo in silenzio. Non partecipavo alla preghiera, che era in lode di un dio hindu, Ganeshwar, il dio elefante che ha il corpo di un uomo e la testa di un elefante. Il preside mi chiamò e mi disse: “Il tuo comportamento non sarà tollerato”.
Risposi: “Non è necessario tollerare nulla. Fai ciò che vuoi, ma ricorda che io farò ciò che mi sembra giusto. Per me la preghiera è una sciocchezza, particolarmente se è rivolta a un dio di questo tipo, è ridicola. Non posso pregare. Posso solo rimanere in silenzio”. Disse: “Sono una persona molto severa”. Risposi: “Non mi interessa. Puoi uccidermi, questo è il massimo che puoi fare, ma non parteciperò alla preghiera, vivo o morto. Non credo in nessun dio, particolarmente in queste idee senza senso di dèi e immagini. Non sono un hindu. Dovrai venire con me in tribunale”.
Disse: “Per che motivo?”.
Replicai: “Perché mi costringi a praticare una religione alla quale non appartengo. È contro la legge, ti porterò in tribunale”. Avevo un bravo avvocato che era il padre di uno dei miei amici. Continuai: “Ho il mio avvocato e gli ho sempre detto che se avessi avuto bisogno… ricorda che mi rivolgerò direttamente al tribunale”.
Il preside disse: “Tu sembri una persona molto strana. Vuoi portarmi in tribunale?”.
Dissi: “Certamente, perché stai compiendo un atto criminale. Non sono un hindu, perché devo partecipare a una preghiera hindu? Questa non è una scuola hindu, è una scuola del governo. Il governo è laico. Vieni con me in tribunale, in modo che possa presentare il caso col mio avvocato e mandarti davanti al magistrato”.
Affermò: “Mio dio, non avrei mai immaginato che tu potessi spingere le cose a questi estremi”.
Risposi: “Non sto spingendo, sei tu che mi costringi a farlo... o puoi anche dimenticare completamente la tua severità. Questo è il primo giorno di scuola, è come se ci fossimo appena presentati: ti ho conosciuto, mi hai conosciuto e da adesso in poi, quando succede qualcosa, ricorda che non stai trattando con un tizio qualunque”.
Poi aggiunsi: “Oggi posso perdonarti perché è il tuo primo errore, ma la prossima volta dovrai venire con me in tribunale”. Detto questo, uscii dal suo ufficio. Lui rimase in silenzio.
Quella sera stessa venne a trovare mio padre e gli chiese: “Ma che razza di ragazzo è?”.
Mio padre rispose: “Noi non riusciamo a gestirlo. Sappiamo che tu tieni molto alla disciplina e lui è soltanto un ragazzino, provaci tu”.
Il preside rispose: “Non è un ragazzino. Ha minacciato di portarmi in tribunale e può farlo veramente! Ha già un avvocato. Conosco quell’avvocato e l’ho visto discutere con lui molte volte, perché – l’avvocato abitava di fianco al preside – sono amici, anche se hanno un’età molto diversa. Sono amici intimi e parlano come se avessero la stessa età. Cosa posso fare io?”
Mio padre disse: “Nessuno lo sa. Devi scoprire tu cosa fare, noi abbiamo trovato la nostra maniera: nessuno interferisce con lui, lo lasciamo fare, è la cosa più semplice. Non fa del male a nessuno, ma non intrometterti, al­trimenti la faccenda diventa troppo grande, ingestibile”.

Quelle persone avevano potere sotto ogni aspetto, ma in un certo senso non ho mai sentito che fossero veramente potenti. Sentivo che stavano soltanto fingendo di essere dei potenti, ma nel profondo erano dei vigliacchi. Se li trattavi nel modo giusto, tutto il loro potere svaniva. E ho continuato a essere così durante tutta la mia infanzia e giovinezza, a scuola, all’università: ogni giorno succedeva qualcosa di simile e mi sono veramente goduto tutti quei momenti.
A volte, mi veniva da pensare di essere in un certo senso diverso dagli altri, perché nessuno si metteva nei guai come me. Ma tutti quei problemi mi davano una certa forza e l’esperienza singolare del fatto che le persone che fingono di essere potenti soffrono di un complesso di inferiorità e nient’altro.
Tutti coloro che si interessavano a me si preoccupavano ogni giorno del fatto che avrei potuto combinare qualcosa e io non pianificavo mai nulla, le cose succedevano da sole. La mia semplice presenza era sufficiente a innescarle.

Vorrei che tutti vivessero in questo modo. Ci saranno differenze nelle situazioni, nelle individualità di ciascuno, ma vorrei che ogni bambino vivesse in questa maniera, per poter ricordare ogni momento come un vero momento prezioso.
Non ricordo nulla che secondo me non sarebbe dovuto accadere o sa­rebbe dovuto accadere in modo di­verso. Mi è davvero piaciuto il modo in cui le cose sono andate, ne ho tratto tanta gioia, ma gli interessati erano sempre preoccupati che rovinassi la situazione.
Per gli altri era difficile, ma per me è stata sempre una bellissima esperienza. E non penso che in futuro mi possa accadere qualcosa che potrà cambiare ciò che sento verso l’esistenza.
La fiducia ha un enorme valore, per essa si possono sacrificare migliaia di vite. E comunque non ha confronti. Arriva lentamente mentre vivi la tua vita, in ogni momento, godendo della situazione, qualunque essa sia; agli occhi degli altri può apparire un male, ma non importa: se riesci a viverla con gioia, a essere felice, va tutto bene. Tutto il mondo può condannarti, ma è assolutamente irrilevante!
Perciò, è vero che devo essere nato quasi illuminato.

tratto da: Osho, The Path of the Mystic #9


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