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Astrologia, la “sacra scienza”

Prabala intervista Janani, da molti anni l’astrologa di Osho Times...

Da un articolo apparso su Osho Times n 242

 
astrologia e meditazione


Prabala: Raccontaci la tua storia con Osho, come sei arrivata al sannyas. 
Janani: È una storia molto singolare. Tutto iniziò nel 1979, quando una carissima amica di mia sorella tornò dall’India e tutti dissero che era diventata un po’ matta, perché si vestiva di arancione e portava uno strano medaglione al collo con la foto di un guru. E mentre mia sorella, a tavola, raccontava questa storia, io pensai immediatamente: “Però, deve essere interessante questo guru!”. Poi la cosa si perse un po’, perché avevo all’incirca 25 anni ed era un periodo di grandi cambiamenti per me: andai a vivere a Milano e, tra le altre cose, iniziai un percorso di yoga e andavo a fare meditazione a casa di un mio carissimo amico, non sannyasin, che aveva fatto il percorso di psicosintesi con Assagioli. 
Di tanto in tanto a Milano mi capitava di incrociare questi strani esseri vestiti d’arancione con un mala al collo e pensavo: “Come sono belli, che luce che hanno!”. Però pensavo anche che non avrei mai potuto essere una di loro... Ma continuavo a sentirmi attratta da quel mondo, fino quasi a diventare un chiodo fisso, al punto che mi comprai dei vestiti arancioni e, insieme a un medaglione che ricordava un po’ il mala, li indossai per tutta un’estate, cercando non so bene cosa.
Era il periodo in cui in Italia girava un video di Osho sull’Uomo Nuovo e “per caso”, nella cassetta della posta, trovai l’invito ad andare a vederlo. Ci andai e una volta lì mi avvicinai al banco dei libri. Lo sguardo mi cadde sul libro di Osho, La Nuova Alchimia. Lo comprai ed è vero quello che si dice, che quando il discepolo è pronto il maestro appare… E mi innamorai perdutamente di Osho. Sfortunatamente all’epoca il centro di meditazione di Milano, il Vivek, aveva appena chiuso, quindi non ebbi mai la possibilità di frequentarlo. Il caso volle però che in quello stesso periodo una mia carissima amica aprisse un piccolo centro sannyasin e cominciai a fare lì delle meditazioni.
Più o meno a quel periodo risale anche un piccolo aneddoto. 
Tornai a casa una sera e mentre mi preparavo a uscire di nuovo, inserii la segreteria telefonica. Quando ero proprio sulla porta squillò il telefono la segreteria partì. A un certo punto udii dei rumori di fondo indefinibili e poi una voce in inglese che non riuscii a decifrare. Incuriosita mi avvicinai al telefono e riavviai la registrazione. Di nuovo quei rumori di fondo e infine una voce che diceva: “Welcome! Welcome, in the orange world!”. Raccontai questo episodio all’incontro di meditazione con il mio amico, dicendo che non sapevo chi fosse. E il mio amico mi disse: “Ma scusa nel tuo cuore non c’è mica Osho? È lui!”. E io rimasi di stucco.
Dopo un anno incontrai l’uomo che diventò il mio compagno e col quale iniziammo a fare delle meditazioni insieme. Una sera mi fece un regalo, impacchettato in un tubo di cartone. Lo aprii e srotolai la fotografia che conteneva: era Osho che parlava al telefono! E il mio compagno non sapeva nulla dell’episodio al telefono… 
Nel 1989 mandai la lettera a Osho per richiedere il sannyas, ma il nome mi arrivò solo nel 1990. Al tempo frequentavo molto il Centro di Meditazione Gautama, che è stato la mia scuola di terapia. Loro mi fecero una celebration, dicendomi che però i mala non erano ancora arrivati dall’India e che quindi non avrebbero potuto darmelo. Io però lo volevo, perché avevo aspettato tanto! 
Quell’estate andai all’Isola d’Elba in vacanza col mio compagno e verso gli ultimi giorni gli dissi: “Andiamo a Miasto. Voglio chiedere il mala, ho proprio bisogno di averlo”. E lui fu d’accordo. Arrivammo e Majid mi diede il mala e addirittura feci la celebration con la musica dal vivo della band di Pune che si trovava proprio lì! E per me fu fantastico, perché essendo agosto c’erano anche parecchi sannyasin. L’anno scorso sono tornata a Miasto dopo 14 anni, e nella Buddha Hall ho pianto per mezz’ora, perché è stato come tornare a quel giorno, sentivo ancora la band suonare... È stato bellissimo. 

Nel 1995 decisi finalmente di lasciare il mio lavoro di impiegata d’ufficio per dedicarmi alla mia passione di sempre, che è l’astrologia, cosa che fino a quel momento non avevo mai avuto il coraggio di fare. Attraverso i libri di Osho e le meditazioni avevo sentito sempre di più l’esigenza di cercare un senso per quello che facevo, e decisi allora di mollare tutto. Feci un viaggio in India che trasformò radicalmente la mia vita. Prima di partire avevo detto simbolicamente a Osho: “Quando vengo da te voglio essere ‘nuda’“, e infatti non avevo più un lavoro e nemmeno un mucchio di altre cose! Andai all’ashram di allora, con il cruccio di non aver avuto modo di incontrare Osho di persona, perché non era già più nel corpo, anche se poi negli anni ho capito che non è importante averlo incontrato fisicamente. 
Quando tornai dall’India andai a vivere in comunità al Gautama, dove restai per 8 anni, e dove portai avanti il mio cammino di ricerca e di lavoro su di me, iniziato anni prima con la psicoterapia, attraverso la Scuola della Humaniversity fondata da Veeresh e l’esperienza di vita comunitaria.

Prabala: Ora raccontaci la tua storia con l’astrologia… 
Janani: La mia storia con l’astrologia risale a quando avevo circa 13 o 14 anni. Premetto che sono stata una bambina molto introversa e silenziosa. Leggevo molto, anche perché soffrivo di febbri reumatiche che mi procuravano un forte male alle ossa e mi costringevano a stare a casa. Le mie compagne di classe venivano a trovarmi per portarmi i compiti e finivo sempre col narrar loro delle storie, che spesso mi inventavo. Quindi la mia immaginazione è sempre stata molto fertile e non mi sono mai adattata, né da bambina né da ragazzina, a quello che ci si aspettava che facessi; ho sempre sentito dentro di me che non poteva essere tutto lì, che doveva esserci qualcos’altro, un senso a tutto. 
Per il mio tredicesimo o quattordicesimo compleanno ricevetti in regalo una scatola di Baci Perugina che conteneva un piccolo libro di astrologia. Mi affascinò molto e cominciai a usarlo per gioco. Lo leggevo e poi mi mettevo a indovinare i segni delle mie amiche. E il mio dirmi che era solo un gioco in realtà mi fece andare sempre più in profondità nella ricerca. Fino a che arrivai a considerare l’astrologia una “via sacra” per arrivare al divino, perché nell’astrologia tutto è Uno. I pianeti non sono solo energia, sono anche coscienza, almeno secondo l’approccio evolutivo che do io: siamo immersi in un universo che è consapevole. Quindi non è solo l’energia che tiene insieme gli atomi della materia, ma l’energia in quanto coscienza, come sostiene ora anche la fisica quantistica. Il fatto che nasciamo in questo universo vivente, in trasformazione, consapevole e cosciente, organico, riflette una mente universale, o il divino, comunque lo si voglia concepire. Anche l’aspetto religioso per me va oltre: essere religiosi non vuol dire identificarsi con una religione, ma avere questo approccio di divinità, di vedere il divino in tutto quello che c’è, perché tutto quello che esiste è una manifestazione del divino, è una manifestazione consapevole di coscienza. 
Tra l’altro l’astrologia mi ha insegnato che tutto è armonia, che tutto è Uno, e che quella che a volte ci sembra disarmonia è in realtà un processo continuo che si chiama “cambiamento”, “consapevolezza”, che fluisce in continuazione e crea la vita.  Per me l’astrologia è un modo per trovare l’armonia…



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