Il bambino interiore: è la nostra energia primaria e originaria, pura e incontaminata, con cui veniamo al mondo. Per sua natura è molto innocente e sensibile, quindi nel processo di crescita viene inevitabilmente modificata e molto spesso - quasi sempre – ferita e distorta dai condizionamenti e da eventuali abusi non solo fisici, ma anche verbali o semplicemente energetici, provenienti principalmente dal mondo degli adulti. A causa di queste distorsioni da adulti possiamo vivere dei problemi relazionali, con gli altri e con noi stessi, al punto che a volte ci impediscono di avere una vita soddisfacente o addirittura di entrare in meditazione. Per questo motivo nella vita di un meditatore è molto importante diventare consapevoli del nostro bambino interiore e delle sue ferite. Esistono molti approcci, alcuni dei quali terapeutici, come la Primal e la Codipendenza...
Marga: Mi sono sempre chiesta quale sia la differenza principale tra la Primal e la Codipendenza nell’approccio al bambino interiore.
Tabish: Ovviamente posso solo condividere quella che è la mia esperienza, avendo fatto entrambi i percorsi. Nella Primal, sebbene il lavoro venga svolto dall’adulto che va a incontrare il bambino interiore, l’attenzione si rivolge direttamente al bambino, a quello che mi è successo quando ero un bambino. In questo modo vado a “liberare” tutto ciò che è trattenuto nel passato e questo porta alla guarigione.
Nel lavoro di Codipendenza c’è il riconoscimento del fatto che i miei comportamenti disfunzionali di oggi derivano da ciò che mi è successo da bambino, ma l’attenzione è sempre rivolta all’adulto oggi; per cui la focalizzazione del lavoro di Codipendenza è totalmente sul presente. Anche quando, nel momento presente, mi comporto in modo infantile o entro in uno spazio di regressione, porto sempre attenzione al fatto che quel comportamento infantile, quello spazio regresso, sta accadendo oggi, adesso, al mio sé adulto. La Codipendenza è dunque un approccio in cui l’attenzione è sul sé adulto, non sul bambino come nella Primal, questa è la differenza più grossa.
L’altra grossa differenza è la finalità del lavoro. La Codipendenza si pone come scopo l’avere un rapporto migliore innanzitutto con se stessi – come mi sento io con me – e poi con gli altri, ovviamente nel momento presente. Nel lavoro di Primal la finalità del lavoro è guarire il bambino interiore, per cui possiamo dire che i due lavori partono da due prospettive diverse. Ovviamente c’è molta interazione tra le due cose, perché quando nel lavoro di Primal vado a guarire il mio bambino interiore, indirettamente miglioro il mio rapporto con me stesso e con gli altri, però è una conseguenza, il focus non è su quello; allo stesso modo, quando, attraverso la Codipendenza, lavoro sull’avere un rapporto migliore con me stesso e con gli altri, dal momento che è inevitabile andare alle radici dei problemi e che le radici sono nell’infanzia, indirettamente vado a guarire anche il bambino ferito, però il focus non è sul guarire il bambino ferito. La guarigione del bambino ferito è uno dei gradini, uno dei mezzi che si usano per migliorare l’essere umano attuale che rimane l’obiettivo del lavoro.
Marga: Nel lavoro di Primal, ad un certo punto – attraverso le regressioni e non solo – si va a finire in spazi che sembrano andare aldilà di questa nostra vita e quindi anche aldilà del bambino interiore: si finisce nella ripetizione di schemi karmici – se sono nostri o se fanno parte dell’inconscio collettivo non lo sapremo mai – che si ripetono da millenni, ferite archetipiche, come ad esempio le ferite del femminile. Voglio dire... io non sono stata violentata in questa vita, però sicuramente come donna mi porto dentro gli stupri di tutte le donne. Nel lavoro di Codipendenza queste ferite archetipiche vengono fuori? È un elemento che rientra nel processo oppure no?
Tabish: Assolutamente sì, perché le ferite sono sempre quelle, si ripetono, hanno una determinata forma, una forma interiore, un’esperienza interiore definita e danno luogo a determinati comportamenti per cui, quando lavoriamo con le ferite, da qualche parte rientriamo sempre in determinati modelli che tendono a ripetersi. Personalmente, facendo questo tipo di lavoro su di me, ho trovato importanti due cose: la prima è mantenere questo tipo di esplorazione il più concreta e il meno “spirituale” possibile, cioè senza andare tanto ad analizzare qual è l’archetipo che sto riproponendo, ma restando terra terra, sul come mi sto comportando, come sto agendo, come sto parlando e mantenendo il tutto, quindi, a un livello di praticità legato al mio quotidiano. Questo è importante, per non perdermi mentre divento consapevole di quello che mi sta accadendo e per non perdermi nei grandi modelli e nei grandi sistemi. Possono essermi utile come terapeuta, come sostegno nel lavoro, ma quando lavoro su di me non mi aiutano per niente e anzi, invece di farmi entrare nell’esperienza, mi fanno andare nella mente, nella razionalizzazione di quello che sta accadendo.
La cosa paradossale nel rimanere così terra terra – e questa è la seconda cosa importante – è che quando “disattivo” l’automatismo ed esco dall’archetipo ciò che mi accade, di fatto, è un’esperienza “mistica”, nel senso che accedo a un sé più grande che va aldilà della mia piccola storia personale e del mio ego. È come se mollando l’archetipo, per usare il tuo termine, supero quella soglia e quello che rimane è l’essenza: molto più vasta, molto più energetica, molto più amorevole di qualunque archetipo.

Tabish ha una formazione in Hara Awareness, Primal Childhood Deconditioning, Learning Love/Co-Dependency e Somatic Experiencing. Da anni offre workshop e sessioni individuali.
Per informazioni: www.tabishlearninglove.it