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newsletter n. 028

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Divina
ignoranza

 

Ma cosa sappiamo veramente? Nulla!
Osho lo ribadisce ai partecipanti di un campo di meditazione a Nargol, nel 1968, mentre parla dei segreti della meditazione

 

Preziosi testi di Osho apparsi su Osho Times n. 205

 


Per un ricercatore il primo “sutra” è: comprendere l’ignoranza. Per giungere a questa comprensione non occorre leggere le sacre scritture, perché rende solo molto più difficile raggiungere quella comprensione, né recarsi da un guru che può darti solo il “sapere”. Ma allora come potrai arrivare a comprendere l’ignoranza? Per comprendere il “non sapere” non servono i satsang, i discorsi su argomenti spirituali dove troverai solo parole e teorie, ma occorre comprendere la nostra realtà oggettiva, restando in solitudine, da soli. Dobbiamo continuamente chiederci: “Io so?”. E da dentro di noi giungerà la risposta: “No, io non so”. Potrebbe succedere che qualche teoria che conosciamo già si metta in mezzo e ci faccia dire: “Sì, io so”. Se è così, mettila un po’ alla prova: “Ho imparato queste cose ascoltando qualcuno, o leggendo? Oppure le so da me? Le ho imparate dalle sacre scritture? Si tratta di pure e semplici parole, di una teoria, o sono la mia esperienza diretta?”. Nel porti queste domande, proprio nello stesso istante, cadranno, non possono reggere!      
Il sapere è totalmente privo di fondamento. Basta una piccola spinta e cade come un castello di carte. Il sapere è soltanto una barchetta di carta: la metti in acqua e va a fondo. Il sapere non è nostro, anche se pensiamo che lo sia. E rimane solo finché pensiamo che ci sia: il giorno in cui apriamo gli occhi e realizziamo tutto questo, quello stesso giorno, non esisterà più. E quando il sapere non esiste più...  si apre la porta per entrare nella vita.
     
Perciò nel discorso di stamattina c’è solo una cosa che vi voglio dire:
conseguite l’ignoranza. Nel sentirsi “ignoranti” c’è molta beatitudine, c’è molta gratitudine; abbandonate tutto il pattume del vostro sapere!  L’ignoranza ha una profondità che nessun sapere possiede. Poiché per quanto vasto possa essere, il sapere è limitato, ma il non sapere può essere illimitato. Il non sapere è senza limiti! Il sapere, per quanto grande possa essere, può spingersi più avanti. Il non sapere è infinito, non puoi aggiungervi nulla. Se sai qualcosa, puoi sapere di più. Se non sai, non sai! Non vi è modo di aggiungere o sottrarre alcunché a questo livello.  
A questa consapevolezza di non sa­pere, Sant’Agostino aveva dato un nome: l’aveva chiamata divina ignoranza. Davvero, l’ignoranza possiede molto del divino perché nell’ignoranza l’ego non ha alcun modo di reggersi in piedi. E quando non c’è ego comincia il divino. E quando c’è un modo per far sorgere l’ego, il divino si frantuma.
Pensate a quanto ho detto, esaminatelo, riconoscetelo e se riuscite a comprendere, allora demolite la casa del sapere così da poter erigere il tempio dell’ignoranza. Tutte le “case” del sapere sono collegate. L’ignoranza invece ha un suo tempio.

Dopo questo discorso ci siederemo per la meditazione del mattino. Quindi lasciate che vi dica una cosa o due al riguardo e poi inizieremo.
La meditazione è una cosa molto semplice. Tutto ciò che è importante è destinato a essere semplice. La difficoltà risiede sempre nella non-verità, non esistono difficoltà con la verità. La meditazione è una cosa molto semplice, una delle più semplici. Non c’è da fare nulla. Per qualche tempo abbandonatevi nello stato del non-fare. Per qualche tempo, abbandonate il fare. Quella che avete qui è un’opportunità bellissima! Questo è un luogo talmente bello che abbandonare il fare è molto facile.
 
E quali possono essere i modi per non-fare?
Il primo elemento chiave del non-fare è che nella mente non deve esserci alcuna sensazione di fare. Quando ci sediamo a meditare c’è l’idea che “sto facendo meditazione, sto compiendo un atto religioso, una preghiera... sto facendo qualcosa!”. Questo senso del fare crea tensione. Dovunque ci sia la sensazione di fare, ecco che arriva la tensione. Con l’idea del fare arriva di sicuro l’agitazione. Col senso del non-fare può arrivare il silenzio, può arrivare il rilassamento.  
Perciò, come prima cosa, ora che ci siederemo per la meditazione ricordiamoci che il nostro linguaggio è il linguaggio del fare. Parlare quindi è sbagliato, perché nella meditazione non esiste alcuna possibilità per qualcosa come il fare. Però il linguaggio, tutto il linguaggio degli esseri umani è quello del fare. Non troviamo in noi alcun linguaggio per il non-fare.
Circa centocinquanta anni fa esisteva in Giappone un grandissimo monastero dove circa cinquecento monaci seguivano il loro sadhana, le loro pratiche religiose. L’imperatore si incuriosì e andò a visitare il monastero, che si trovava in una foresta lontana da tutto e comprendeva molte casette separate tra loro. Il monaco a capo del monastero iniziò a mostrare le costruzioni all’imperatore una per una spiegandogli: “In questa i nostri monaci cucinano il cibo; in questa si dedicano agli studi; in questa ai canti religiosi; qui c’è questo, qua c’è quello; lì fanno il bagno”.
Al centro del monastero si trovava una grossa costruzione, ma il monaco non ne parlò affatto! L’imperatore cominciò a chiedere insistentemente: “Va bene, ho capito, ma cosa fate in questa grossa casa qui?”. Al solo suono di quelle parole il monaco si fece silenzioso, come se fosse diventato sordo, come se non avesse sentito affatto! E continuò a descrivere altre costruzioni. La visita a tutto il monastero proseguì in questo modo, girando attorno alla costruzione centrale senza che il monaco spendesse una sola parola al riguardo.
Infine giunsero al cancello e l’imperatore si apprestò ad andarsene dicendo: “Credo che o sono pazzo io o lo sei tu! Non hai detto neppure una parola sull’edificio che mi aveva spinto a venir qui! Ti ho chiesto ripetutamente, ma sei diventato sordo! Che cosa fate in questo grosso edificio?”.
Il monaco rispose: “Mi hai messo in un brutto guaio. Mi hai chiesto continuamente cosa facciamo in quella grande costruzione. Perciò a quel punto ho compreso che avresti capito il linguaggio del fare, ecco perché ho iniziato a spiegarti che in una casa facciamo il bagno, in una cuciniamo, in una mangiamo e in un’altra leggiamo i libri sacri. L’ho detto nel linguaggio del fare, con quello dell’azione. Finché è rimasto l’edificio centrale... ed è molto difficile, perché in quello non facciamo niente! Se uno dei monaci non vuole fare nulla, si reca in quel luogo: quella è la nostra casa per la meditazione. È la sala di meditazione. E mi chiedi che cosa facciamo lì? Mi metti nei pasticci. Se dicessi che lì meditiamo sarebbe un errore perché la meditazione non ha nessuna attinenza col fare. Là noi non facciamo niente”.

Questo discorso, quello che sto facendo sulla meditazione, è il discorso del fare nulla. Forse hai salmodiato Ram Ram e puoi averlo chiamato meditazione. Forse hai sgranato il rosario e puoi averlo chiamato meditazione. Forse hai letto il Gayatri mantra e puoi averla considerata meditazione. Forse hai recitato il mantra Namokar e averlo chiamato meditazione.
Niente di tutto questo è meditazione! Fintanto che tu stai facendo qualcosa non puoi entrare in meditazione. Che sia sgranare il rosario, che sia ripetere Ram Ram, salmodiare il mantra di Gayatri, o quello di Namokar, o quant’altro, finché stai facendo qualcosa, sei al di fuori della meditazione.
Quando non fai nulla e tutto è silenzio, tutto si acquieta, tutto diventa immobile e l’intero apparato del fare diventa silenzioso, allora entri in meditazione.

La meditazione è non-azione. Quindi se andiamo in meditazione come ci andiamo? Come possiamo accedere a questa non-attività? La prima chiave per accedervi è sapere fin nel profondo che non stai facendo assolutamente nulla. Questa cosa deve diventare molto chiara nel tuo sentire che ora, in questo momento, non stai facendo assolutamente niente, stai per immergerti nel non-fare. Comprendere a livello di sensazione interiore che stai sedendo in non-attività: “Mi rilasso, siedo in silenzio e non faccio assolutamente nulla”, questa è la prima cosa.
Seconda cosa: anche se tu sei completamente rilassato, la brezza continuerà a soffiare, non si rilasserà! Gli uccelli continueranno a cinguettare. E là c’è un corvo che gracchia e continuerà a farlo. Ci sarà il fragore delle onde del mare, il rumore delle foglie degli alberi scosse dal vento. Tutto questo continuerà a succedere: tu smetterai di essere attivo, ma il resto del mondo andrà avanti con tutte le sue attività.
E cosa farai tu nei confronti di tutte queste attività? Rimarrai semplicemente vigile, le osserverai.
Lasciati pervadere dalla consapevolezza. Diventa solo consapevole: se il corvo gracchia, ascoltalo. Se il mare ruggisce, ascoltalo e basta. Se arriva il vento e scuote gli alberi, ascolta. Qualsiasi cosa accada attorno a te, resta consapevole, rimani cosciente e lascia che l’esperienza sia vissuta. Tu non fai niente, continui solo ad ascoltare.
Per di più, ricorda, risvegliarsi non è un’attività. Quando sei nel mezzo di qualsiasi attività la tua consapevolezza interiore si addormenta. Quando sei immerso nella totale non-attività la consapevolezza si manifesta in pieno. Risvegliarsi non è un’attività: è la natura dell’essere umano. Non è un atto, non è un lavoro, è la condizione naturale del cuore, è la consapevolezza dell’uomo.
Perciò siedi semplicemente vicino a questi alberi: vivo, pervaso di consapevolezza, cosciente, in silenzio, immobile. La respirazione continuerà a succedere, perciò continua a farne esperienza, in silenzio. E continua ad ascoltare: qualsiasi suono ci sia attorno, tu continua ad ascoltare. A forza di ascoltare, rimarrai sorpreso: se ascolti in silenzio per uno o due secondi comincerai a essere pervaso da un silenzio profondo. E presto tutto il resto scomparirà, dentro rimarrà solo silenzio. In quel silenzio, in quella solitudine, se un uccello emetterà un suono sarà la sua eco che sentirai... poi l’eco scomparirà e il silenzio si farà più profondo.     
Niente sarà d’ostacolo. Qualsiasi evento accada attorno a te, diventerà un compagno di viaggio e un amico.

Quando sei rilassato e in silenzio i pensieri si acquietano da soli, scompaiono. Non serve farli acquietare, non serve rallentarli. Chiunque, sedendo in silenzio, diventi consapevole del mondo attorno, lentamente vedrà i propri pensieri cessare automaticamente. E questo può avvenire solo quieora.
 
Tratto da: Osho, Neti Neti #1



Un ricordo di quei tempi...

Osho ha tenuto tre campi di meditazione, sadhna shivir in hindi, a Nargol, nello stato indiano del Gujarat. Il primo campo è stato di tre giorni, dal 2 al 5 maggio del 1968.
Io ho partecipato al mio primo campo di meditazione proprio a Nargol, insieme a circa sette-ottocento altri partecipanti. Si teneva in un bel posto in riva al mare, in mezzo a una vera e propria foresta di saru (Casuarina equisetifolia) con belle sistemazioni per l’alloggio e per i pasti.
Ogni mattina e ogni sera c’era il discorso di Osho e poi varie tecniche di meditazione che Osho stesso guidava.
Quella è stata la prima volta che ho praticato la meditazione e ho avuto un’esperienza davvero unica, piena di estasi: era come se i miei pensieri si fossero fermati... la mente era tranquilla e il corpo era diventato leggero come un fiore. Non mi è possibile esprimerla compiutamente a parole.

I discorsi di quel campo di meditazione sono pubblicati come Neti-Neti: Shunya Ki Naav libro in hindi di Osho.


Dal libro di ricordi di Chaitanya Sagar (Laheru) ancora inedito


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