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Nella grotta di Bodhidharma in Cina

Il racconto di una singolare esperienza
 

 
Intervista a Prashantam apparsa su Osho Times n. 208
 


Marga: Mi ha incuriosito la tua esperienza di meditazione nella grotta di Bodhidharma, raccontami tutto…
Prashantam: Innanzitutto è stata una grossa sorpresa anche per me. Avevo sentito Osho parlarne molte volte e persino il nome della sala di meditazione al Nostro Posto, il centro che dirigo, si ispira alla grotta di Bo­dhidharma, ma non sapevo che esistesse davvero, o che esistesse ancora.
Vado in Cina diverse volte l’anno per i miei gruppi. L’ultima volta mi trovavo a Zhengzhou, una grande città a 600 km da Pechino e qualcuno mi aveva detto che non molto distante da lì si trovavano dei templi Shaolin. Essendo io da sempre un grande appassionato di arti marziali, chiesi subito se qualcuno poteva accompagnarmici. Mi dissero di sì e che avremmo impiegato un paio d’ore per arrivarci.
Quando raggiunsi i templi notai molte statue che mi ricordavano il viso di Bodhidharma, con la peculiarità di quei suoi occhi sporgenti. Chiesi delucidazioni e mi risposero che dietro i templi Shaolin, in cima a una montagna chiamata Song Shan, c’era una grotta dove era vissuto Bodhidharma. Immediatamente chiesi: “Lo stesso Bodhidharma che ha fondato lo Zen, il mistico che venne in Cina dall’India?” e mi confermarono che era proprio lui. Quindi dissi loro che dovevo recarmi lassù a tutti i costi, ma risposero che il percorso era molto ripido e che forse non ce l’avrei fatta. Io dissi che non mi importava, che a costo di arrivare fin lassù in ginocchio, ci sarei arrivato. Partii ed era vero, la scalata era piuttosto ripida, però in compenso era “turistica” – come lo sono gran parte dei luoghi in Cina – nel senso che c’erano scalini lungo il percorso predisposti per i visitatori che erano parecchi.
Comunque più salivo, meno gente c’era e per arrivare ci vollero circa due ore. Arrivando ti trovi davanti un cartello che riporta – in cinese e che mi sono fatto tradurre – la seguente dicitura: “Questo è il luogo dove il mistico indiano visse in meditazione per molti anni e dove ebbe inizio lo Zen”.

Marga: E com’è stato meditare nella grotta di Bodhidharma?
Prashantam: È stato molto toccante. La prima cosa che mi ha stupito è stata trovarla più piccola di quanto mi aspettassi. Mi sono davvero chiesto come si potesse vivere in quella grotta per lungo tempo, ma è anche probabile che abbia subìto molti cambiamenti da allora. Ora c’è una monaca che si prende cura del posto.
Quando mi sono seduto mi sono connesso immediatamente con lo stesso silenzio che trovo anche entrando nel samadhi di Osho a Pune, o che ho trovato nella grotta di Milarepa in Tibet. Un silenzio molto spesso e denso, non so come altro descriverlo: ti possiede, ti annienta, annulla tutti gli altri suoni e a contatto con quel silenzio ti immergi naturalmente nel semplice essere lì, ti sciogli nel luogo.
Faceva abbastanza freddo, eravamo io e questa monaca nella grotta, mentre il traduttore che mi aveva seguito fin lassù è stato abbastanza sensibile da rimanere all’esterno da dove si è messo a scattare foto col cellulare!
Rimasi in silenzio, poi mi misi a suonare il flauto per un po’ e il riverbero del suo suono dentro le grotta era molto potente, molto bello, a tal punto che la monaca mi fece segno con la mano di continuare. Proseguii un altro po’, ma a un tratto sentii che non c’era più nient’altro da suonare o da dire e “collassai”, in un modo che portava con sé molta beatitudine, caddi letteralmente sul cuscino, quello che la gente usa solitamente per inginocchiarsi di fronte alla statua di Bo­dhidharma, per via dell’alto gradino che le sta davanti. Quel momento fu molto commovente, porto ancora con me quella sensazione, la beatitudine di quel momento. Poi la monaca mi portò una coperta, adagiandomela sul corpo.
Qualcosa di quel gesto mi riportò alla prima volta che mi trovai di fronte all’ashram di Osho a Pune. Era il novembre del 1975 e arrivai a notte fonda, dovevano esser state le tre. Mi ritrovai al cancello dell’ashram e il sannyasin che era di guardia, vedendomi, come prima cosa disse: “Sei già qui per la Dinamica?”. Io non sapevo niente della Dinamica né di tutto il resto, ma risposi: “Sì, sì, certo”, quindi lui disse: “Devi aspettare fuori”. Mi stesi su uno dei muretti che si trovavano lì di fronte, visto che avevo ancora qualche ora per dormire. La guardia, che divenne poi un mio caro amico, un ragazzo americano di nome Torshen, mi si avvicinò, portò una coperta e me la mise addosso. Quel gesto ebbe una forte influenza su di me e fu il preludio di come mi sarei sentito poi più tardi, quando mi trasferii nell’ashram, e mi sembrò di essere arrivato a casa, finalmente. Era stata una sensazione molto forte.
Tornando alla grotta di Bodhidharma, il gesto della monaca fece riemergere la sensazione di essere a casa, solo che stavolta non era una casa “fisica” come allora, a Pune. Questa volta era un essere a casa con me stesso, dentro me stesso ed era molto toccante. Mi sono sentito grato che fosse successo lì, quasi fosse il “regalo” per essermi recato fin lassù.

Marga: E cosa mi puoi dire della grotta di Milarepa in Tibet?
Prashantam: Circa 7 o 8 anni fa, andai nei pressi del Monte Kaylash, in Tibet, per il pellegrinaggio sacro del Ko­ra, il percorso circolare che viene compiuto in senso orario attorno alla montagna e che passa appunto per il Kay­lash e il Lago di Manassarovar. Partii da Katmandu, in Nepal, e nel ri­salire verso l’altopiano del Tibet a un certo punto si passa vicino alla grotta di Milarepa e con la guida che mi ac­compagnava ci fermammo a visitarla.
La grotta di Milarepa è un po’ più grande di quella di Bodhidharma ed è custodita da un monaco. Non mi ha commosso come quella di Bo­dhi­dharma, però ammetto che probabilmente il mio essere non era disponibile in quella circostanza, perché ero all’inizio del pellegrinaggio sul monte Kaylash e quindi concentrato sulla camminata da fare. Inoltre ci fermammo alla grotta solo mezz’ora, un’ora al massimo, e ricordo che il furgone che ci portava si era fermato quasi davanti all’entrata.
Posso dire che la visita alla grotta di Milarepa è stata più una visita turistica che altro, mentre quella alla grotta di “Dharma” – è così che lo chiamano i cinesi – è stata multidimensionale per me, mi ha toccato in modo diverso, più profondamente.
Comunque, le due grotte, entrambe di retaggio buddhista, hanno delle analogie: le bandierine tibetane, i colori – il giallo-oro e il rosso – e la sensazione che siano luoghi ormai così vecchi e antichi da non avere più un’età, per loro il tempo sembra svanito.

Marga: Ma ai cinesi interessa Bo­dhidharma, lo Zen, o per loro è solo un’attrazione turistica?
Prashantam: Be’, diciamo che in Cina adesso si è risvegliato un grande interesse per i posti di attrazione turistica e visto che il paese è popolato da così tante persone, dovunque ti muovi trovi gente incuriosita intenta a visitarli. Vanno solo in veste di turisti, portano dei bastoncini d’incenso e li accendono sul posto, lo fanno un po’ come rituale. Ci fu una donna cinese che arrivò con il marito dopo un po’ che ero lì che sembrava interessata. Mi faceva domande, con l’aiuto del traduttore, e si sentiva che aveva una qualche connessione con la meditazione.
Però in questo momento la meditazione in Cina è quasi un tabù, non se ne può parlare liberamente e per raggiungere le persone bisogna farlo con molto tatto e usare parole diverse, come qualità della vita, essere presenti, osservare, essere più consapevoli riguardo la qualità della propria vita, ma la parola meditazione in sé non la si può sbandierare ai quattro venti.

Marga: Sì, nella tua email mi dicevi che lavori molto in Cina, fai molti gruppi ed eventi, ma non puoi parlare direttamente di quello che fai...
Prashantam: All’inizio lo facevo, andavo come sannyasin di Osho e la meditazione era il fulcro dei miei gruppi; poi chi si occupava di organizzare i gruppi finì nei guai, non per via dei miei gruppi, ma per altro, però fecero di tutta l’erba un fascio e ci andai di mezzo anch’io. Ora lavoro con persone diverse, in un’altra città, faccio sempre meditazioni Zazen, la Kundalini e la Dinamica, ma non le chiamo meditazioni di Osho. Devo essere molto cauto nel modo di muovermi e confesso che è la prima volta in vita mia che mi capita di fare una cosa del genere e non ne sono molto fiero, ma la situazione in Cina è questa.
A dire il vero uno degli aspetti che attira le persone ai miei gruppi, stando a quello che mi dicono loro, è che possono fare domande e apprezzano le mie risposte! E io lo trovo buffo e curioso!

Marga: Io ci credo, non lo trovo affatto curioso, sei bravo con le parole!
Prashantam: Sì, anche se è molto diverso da quello che vorrei fare davvero…

Marga: Be’, questo è quello che è possibile…
Prashantam: Sì e mi adeguo alla situazione.

Marga: Per come vedo io il mondo, la Cina e i cinesi, trovo già un miracolo che tutti voi – tu, Shunyo, Anando e altri – riusciate ad andare là e a insegnare la meditazione; che poi la si chiami così o in un altro modo non importa, ma la trasmissione di fondo arriva: questo per me è un miracolo!
In realtà sono molto desiderosi di fare, soprattutto le donne! Vengono in Occidente per affari e poi ne approfittano per fare qualche gruppo! Qualcuna è arrivata anche a Bellaria, al nostro OshoFestival! Credo che ce l’abbiano nel sangue, la meditazione, persino più di noi, anche se forse non se ne rendono conto…





Prashantam conduce dai tempi della prima Pune il gruppo Kyo Osho Zen, un’esperienza di silenzio e isolamento in meditazione Zazen.
Per informazioni sul suo lavoro: www.scuolaodha.com

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