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Satori... Samadhi...
Verso l’illuminazione
Preziosi testi di Osho apparsi su Osho Times n. 209

Un assaggio
Osho, nel corso degli anni ho sentito dire da diversi sannyasin di aver vissuto l’esperienza di un satori. Che cos’è esattamente un satori e come accade?
Il satori è un “assaggio” del traguardo finale... come se stessi vedendo le vette himalayane. Ma sei lontano, non sei sulle vette e non sei diventato le vette. È una bella esperienza, molto suggestiva, emozionante, stimolante. Ti può forse portare verso il samadhi. Il satori è un assaggio del samadhi.
Il samadhi è il compimento del satori. Ciò che era un assaggio ora diventa per te una realtà eterna. Il satori è come aprire una finestra – entra una leggera brezza, una luce tenue. Puoi vedere un pezzo di cielo, ma è incorniciato. La tua finestra diventa una cornice per il cielo... che non ha limiti! E se sei sempre vissuto in una stanza e non sei mai andato fuori, la naturale conclusione sarà che il cielo ha una cornice.
Alcuni pittori moderni hanno iniziato a dipingere senza cornici solo in questo decennio. È stato uno shock per tutti gli amanti dell’arte, che non riuscivano a concepirlo: qual è il significato di un dipinto senza cornice? Ma questi pittori moderni hanno detto: “Nell’esistenza nulla è incorniciato, quindi ritrarre uno scenario bello e naturale con una cornice è una menzogna; la cornice è la menzogna. Viene aggiunta da te, non è lì fuori, bisogna abbandonare le cornici”.
Il satori è solo un assaggio, attraverso la finestra, di un cielo stupendo e pieno di stelle. Se il satori può invitarti a uscire per osservare la vastità del cielo intero pieno di milioni di stelle, allora diventa samadhi.
La parola samadhi è molto bella. Sam significa equilibrio, e adhi, l’ultima parte della parola, indica che tutte le tensioni, le turbolenze, i disturbi svaniscono. Rimane solo un equilibrio silenzioso... come se si fermasse il tempo e ogni movimento si congelasse. È sufficiente farne esperienza anche solo per un istante: non puoi più perderlo.
Il satori lo si può perdere perché è solo un assaggio. Il samadhi non si può perdere perché è una realizzazione. Il satori è sulla strada verso il samadhi, ma può diventare sia un aiuto che un ostacolo: un aiuto se comprendi che questo è solo l’inizio di qualcosa di molto più grande, un ostacolo se pensi di esser giunto al traguardo.
Nella meditazione, prima arrivi al satori: solo sprazzi di luce qui e là, beatitudine, estasi. Vanno e vengono... ma ricorda, per quanto sia una esperienza meravigliosa proprio perché vanno e vengono, non sei ancora tornato a casa, la casa che una volta raggiunta non lasci più. 1
Verso l’uomo nuovo
Osho, che differenza passa fra un’esperienza come il satori e il samadhi?
Il samadhi inizia come una discontinuità ma non si conclude. Un intervallo inizia e finisce sempre: è limitato. Ha sempre un punto o istante iniziale e uno finale. Il samadhi inizia come un intervallo ma poi dura invece in eterno. Non ha punto o un istante conclusivo. Se quindi l’evento sopraggiunge come una discontinuità, l’inizio di un intervallo, e non ha fine, si tratta di samadhi, ma se è un intervallo limitato – con un istante iniziale e uno finale – allora si tratta di satori ed è tutt’altra cosa.
Se la vostra è soltanto un’esperienza fugace, soltanto una momentanea discontinuità – una parentesi aperta e quindi subito richiusa: voi gettate un’occhiata furtiva all’interno e vi ritraete, se accade qualcosa, ma il fenomeno ha una durata finita –, allora è satori. È un’esperienza fuggevole e momentanea di samadhi, ma non è samadhi. Samadhi significa l’inizio di un conoscere senza fine.
In India non possediamo una parola che corrisponda a satori, sicché a volte, quando l’intervallo è molto ampio, si può confondere un satori con il samadhi. Ma non è mai così. È soltanto un’esperienza temporanea: un tuffo nel cosmo, un’occhiata, e tutto finisce lì. Certo non sarete più gli stessi, ormai non potrete più essere gli stessi. Qualcosa è penetrato in voi, qualcosa si è venuto ad aggiungere a voi, non potrete più essere gli stessi, ma ciò che vi ha cambiato non è più con voi. È soltanto un ricordo, una reminiscenza. Si è trattato di un’esperienza momentanea.
È possibile quindi conservare ricordo di questa esperienza momentanea, si può serbarla nel cuore, desiderarla, bramarla appassionatamente, ci si può sforzare di riviverla. Il soggetto le è sopravvissuto! Esiste ancora un qualcuno che ha sperimentato quel barlume d’illuminazione, ha gettato quell’occhiata sull’infinito. L’esperienza è divenuta memoria e ora un tale ricordo potrà ossessionarvi, vi seguirà sempre, ed esigerà che il fenomeno si ripeta ancora e ancora...
Nel momento del samadhi, non ci siete più per ricordarlo.
Il samadhi non diviene mai un dato mnemonico poiché chi c’era non è più. Come si dice nello Zen: “Il vecchio uomo non c’è più, ed è giunto il nuovo...”. E i due non si sono mai incontrati, sicché non c’è possibilità di ricordo. Il vecchio se n’è andato e il nuovo è sopraggiunto, ma non c’è incontro fra i due poiché il nuovo giunge soltanto quando il vecchio se n’è già andato. Non è quindi un ricordo. Non ci può ossessionare e non può generare desiderio. Non si nutre alcun anelito per l’esperienza. Si è a completo agio nella propria situazione e non c’è nulla che si possa desiderare.
Non che abbiate soppresso il desiderio, tutt’altro! È assenza di desiderio nel senso che non c’è più chi possa desiderare. Non si tratta di distacco o disamore; è assenza di desiderio poiché non c’è più chi possa desiderare. Non vi è traccia di aspirazioni, non c’è futuro, poiché il futuro è creato dai desideri; è una proiezione delle nostre aspirazioni.
Se non c’è desiderio, non c’è futuro. E se non c’è futuro, non c’è bisogno di passato poiché il passato è sempre e soltanto lo sfondo in contrasto o in accordo col quale si aspira al futuro.
Se non esiste futuro, se sapete che questo momento stesso può essere quello della vostra morte, non c’è bisogno di ricordare il passato. Non si ha neppure la necessità di ricordare il proprio nome, poiché il nome ha significato soltanto se c’è futuro. Si può averne bisogno allora: ma se non esiste futuro, bruciate anche tutti i ponti con il passato. Non sono più necessari. Il passato ha perso assolutamente ogni senso. È soltanto in accordo o in contrasto con il futuro che il passato acquista significato.
Nel momento del samadhi, il futuro diviene non esistenziale. È inesistente; soltanto l’attimo presente esiste. È l’unico tempo. Non esiste neppure passato. Il passato è svanito e così il futuro e un’esistenza di singoli attimi presenti diviene l’esistenza totale. Siete in essa, ma non come un’entità distinta da essa. Non potete differenziarvi poiché ogni vostra differenziazione dall’esistenza totale è dovuta alla presenza di un passato o di un futuro. Il passato e il futuro che vi si sono cristallizzati attorno, sono l’unica barriera che vi separa dall’accadere del momento presente. Al sopraggiungere del samadhi, non c’è più passato né futuro. Non è che viviate nel presente, siete il presente, divenite il presente.
Il samadhi non è un’esperienza fugace, il samadhi è una morte. Il satori non è che un’esperienza transitoria, non è affatto una morte. E sono tante le vie che conducono a un satori! Un’esperienza estetica può essere una possibile origine di satori, la musica o l’amore possono esserlo. Ogni momento di intensità tale da togliere ogni senso al passato, ogni momento talmente intenso da farvi esistere soltanto nel presente – un attimo d’amore, un brano musicale, un istante d’intensa sensibilità poetica o un qualsiasi altro momentaneo fenomeno estetico che escludano ogni interferenza del passato e ogni aspirazione per il futuro – può essere il momento del satori. Ma si tratterà soltanto di un’esperienza fugace.
Fugace ma non inutile: il senso del satori è quello di farvi provare per la prima volta cosa sarà il samadhi; il primo assaggio, il primo profumo distinto del samadhi, giunge attraverso il satori. L’esperienza è utile, e come tutto ciò che è utile può trasformarsi in un ostacolo se vi ci aggrappate e pensate che sia tutto. Il satori reca con sé una beatitudine che vi può ingannare. Ha una beatitudine tutta sua.
Non avete ancora sperimentato il samadhi sicché questa è per voi l’esperienza culminante e vi ci aggrappate. Se lo fate però, potete trasformare quanto era proficuo e amichevole in un ostacolo e in un nemico. Bisogna pertanto essere consapevoli del possibile pericolo del satori. Se ne avrete coscienza, l’esperienza sarà fruttuosa.
Un’esperienza isolata, fuggevole e momentanea, è qualcosa che non può essere assolutamente sperimentata altrimenti. Nessuno può darne spiegazione. Non ci sono parole, non c’è comunicazione che possa neppure lontanamente lasciarla intuire. Il satori è significativo, ma soltanto come esperienza fugace ed effimera, come un’irruzione, un attimo di immersione nell’esistenza, nell’abisso.
Non avete neppure fatto a tempo ad acquistarne la consapevolezza che l’esperienza si è conclusa. Soltanto uno scatto della macchina fotografica, uno scatto, e tutto è già perduto. Verrà a crearsi allora un fenomeno di dipendenza; sarete disposti a rischiare il tutto per tutto per il ripetersi di quell’istante. Ma non bramatelo, non sospiratelo. Lasciatelo sonnecchiare nella memoria, non fatevene un problema, scordatevene. Se ci riuscite, se non vi aggrappate al ricordo, momenti simili si ripresenteranno sempre più spesso; le esperienze diverranno sempre più frequenti.
Una mente dominata dal desiderio si chiude e il barlume d’eternità ne è respinto. L’esperienza ha luogo sempre quando non ne siete consapevoli, quando non la state cercando a forza... quando siete rilassati e non state neppure pensando, non state neppure meditando. Perfino la meditazione rende impossibile il satori, ma quando smettete di meditare e siete in un attimo di completo abbandono – in assoluta inazione, senza traccia d’attesa – in quell’attimo di rilassamento totale sopraggiunge il satori.
Accadrà con frequenza sempre maggiore, ma non ci fate caso, non desideratelo... e, soprattutto, non confondetelo mai col samadhi. 2
Niente di speciale
L’illuminazione è esattamente la tua natura ordinaria, non è niente di speciale. Pertanto non è una questione di ottenerla: è già un dato di fatto. Ne sei dentro, lo hai solo dimenticato; sei diventato troppo preso dal mondo esterno. Hai dimenticato il tuo stesso regno, il tuo stesso tesoro, hai dimenticato te stesso. Sei diventato troppo preso dagli altri; sei troppo preso dal mondo e non dedichi alcun tempo, alcuno spazio alla tua natura interiore affinché lei possa instaurare un dialogo con te, affinché possa sussurarti delle cose.
Sei diventato artificiale.
Hai creato un falso ego poiché nessuno può vivere senza un centro. Hai dimenticato il tuo vero centro, ma nessuno può vivere senza centro, perciò hai creato un falso centro che agisce da surrogato. Questo è l’ego. Ego significa vivere con un falso centro.
L’illuminazione è lasciar cadere il falso, è accedere al reale; è essere semplicemente te stesso, il tuo sé naturale, il tuo sé ordinario.
La parola “ordinario” va ricordata perché la mente non è affatto interessata all’ordinario; vuole essere straordinaria, speciale. È attraverso l’essere speciale che l’ego sopravvive. Lotta continuamente per essere più speciale, sempre più speciale. Vuole più ricchezza, più potere, più rispettabilità; è ambiziosa. Pertanto la parola “ordinario” non ha alcuna attrattiva per la mente. E quella è la bellezza della parola “ordinario”: non piace alla mente!
La mente vuole raggiungere mete, miete successi e l’ordinario non ha bisogno di essere raggiunto: è già un dato di fatto. Lo straordinario deve essere ottenuto, lo straordinario diventa l’obiettivo. È molto lontano; devi compiere sforzi d’ogni tipo, devi lottare, devi combattere per ottenerlo perché ci sono tanti competitori.
Essere ordinari... e non c’è alcuna competizione. Puoi essere semplicemente ordinario, nessuno fa obiezione. La gente sarà solo dispiaciuta per te che ti sei ritirato dalla gara. Un rivale in meno – si sentiranno bene ma si dispiaceranno per te. Diranno: “Poveraccio! Che gli è successo? Perché s’è dovuto ritirare?” Chi si ritira non è gente rispettabile.
Il Buddha è uno che si è ritirato. Tutti i veri maestri sono persone che si sono ritirate. Essere sannyasin vuol dire ritirarsi da questi giochi. Ritirarsi dalla corsa al successo vuol dire ritirarsi dentro di sé, perché fintanto che sei in gara non puoi andare dentro. Quando non sei più in gara non c’è più posto dove andare. Inizi a muoverti verso l’interno perché la vita è un flusso: se non ha una direzione esterna ne imbocca una interiore. Se l’obiettivo non è da qualche parte lontano nel futuro, allora inizi a muoverti nella tua natura nel presente. Questa è l’illuminazione.
L’illuminazione è molto ordinaria. Illuminazione è la tua natura. Sei venuto al mondo con lei; è il tuo volto originale – tutte le altre facce sono maschere.
Qual è la radice della tua infelicità? È l’ambizione, il desiderio. Vuoi essere questo e quello, vuoi possedere questo e quello, vuoi essere qualcuno, vuoi essere importante.
Estirpa la radice... e non appena la tagli – la radice, non i rami, non le foglie – arrivi alla verità suprema. La suprema verità non è lontana; è la verità molto vicina, immediata, è la tua verità, è il tuo stesso essere.
È vivere nella tua essenza, nella tua suchness: è nascosta proprio lì.
Qualunque cosa tu sia, vivi quella realtà. Non creare conflitti, non vivere secondo degli ideali. Non essere idealista, basta solo essere naturale.
Ma a tutti viene insegnato a rincorrere un ideale: “Diventa come Gesù”, oppure “Diventa come il Buddha”, o “Diventa come Krishna.”
Nessuno ti dice di essere solo te stesso! Perché dovresti essere come Gesù? Un Gesù basta ed è bellissimo – arricchisce l’esistenza. Tanti Gesù che portano la loro croce, e dovunque vai ne incontri uno... Non sarebbe altrettanto bello, non sarebbe un ulteriore contributo alla bellezza dell’esistenza; renderebbe l’intero mondo orribile.
Dovunque vai incontri un Mahavira nudo in piedi...
È per questo che dio non crea mai la stessa persona due volte. Non si ripete mai: è originale. Crea sempre una persona nuova. Non sei mai stato al mondo prima,e non c’è nessuno come te, e non ci sarà mai qualcuno di nuovo come te. In tutta l’eternità soltanto tu sei come sei. Guarda la bellezza, la gloria che questo comporta, e quale rispetto il divino ti ha dimostrato! Di quant’altra rispettabilità hai bisogno? Sii capace di vedere l’unicità di te stesso. Non c’è alcun bisogno di essere unici; lo sei già, così come è unico chiunque altro. Sei unico nella tua ordinarietà, nella tua suchness, così come sei.
L’illuminazione non deve essere creata, è già lì; devi solo scoprirla. Vai dentro e scoprila! È lì che continua ad aspettare. E sono passati secoli, sono passate molte vite e ormai hai una dipendenza dall’estroversione, dal rivolgerti verso l’esterno. Non ti muovi mai dentro di te.
Il primo passo verso l’illuminazione è la meditazione. L’illuminazione è il picco della meditazione quando questa giunge a compimento, quando questa ha raggiunto la sua più alta fioritura. Il mondo che hai creato attraverso la tua mente è illusorio, ma c’è un altro mondo che non è di tua creazione.
Quando la mente scompare scopri quel mondo: il mondo della realtà delle cose. È un’esperienza completamente diversa. Nessuna parola è in grado di descriverla. Migliaia di mistici hanno tentato di descriverla, ma nessuno c’è mai riuscito e nessuno ci riuscirà mai. È così misteriosa, così piena di bellezza che tutte le parole sono inadeguate. Nessuna poesia raggiunge il suo livello, nessuna musica arriva perfino a toccare i suoi piedi.
Nell’attimo in cui metti la tua mente da parte – la mente vuol dire ambizione, la smania dell’ego di essere questo e quello – nel momento in cui hai messo tutta la tua mente da parte, una luce grandiosa esplode in te e sei illuminato.
Questa è l’illuminazione.
Non proviene dall’esterno: non vieni liberato da qualcun altro, vieni liberato dal tuo stesso essere, dalla tua natura. 3
Testi di Osho tratti da:
1. The Path of the Mystic #37
2. Meditazione Dinamica, l’arte dell’estasi
interiore, Edizioni Mediterranee
3. Walking in Zen Sitting in Zen #4
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