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newsletter n. 037

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Una carezza che
giunge dall’universo

Danza-terapia, arte oggettiva e Vipassana:
un’onda che si esprime... danzando
!

 

 
Intervista a Urmila apparsa su Osho Times n. 209
 


Marga: So che lavori nel campo della danza contemporanea coi ra­gazzi down, ma prima di arrivarci raccontami un po’ il tuo percorso nel mondo dell’arte…
Urmila: Quando mi si chiede che cosa faccio è sempre un po’ difficile da spiegare…
Io mi sento una ricercatrice, ho sempre ricercato nella mia vita, in tutti i campi in cui ho lavorato. Ho iniziato con la comunicazione verbale e visiva e sono passata anche dalla terapia, attraverso il movimento, la danza-terapia, cercando sempre di creare e sviluppare dei nuovi linguaggi. C’è un riunirsi di tante diverse ricerche, che vanno da quella visiva, a quella corporale e a quella spirituale.
Quindi la definizione di ricercatrice è quella a cui mi sento più vicina: certamente della vita, ma anche di nuove forme di espressione sia nel mondo del movimento e della danza che della video-arte e delle arti plastiche.
Mi considero dunque un’artista pluridisciplinare, però la mia attività principale è quella di coreografa
e regista di questa compagnia, la Mops_DanceSyndrome. È un progetto che ho creato circa dieci anni fa con uno dei tre danzatori, Simone,  non con l’obiettivo di creare una compagnia, ma con l’intenzione di fare un lavoro di ricerca a tu per tu insieme a lui, esplorando come nasce il momento della creazione.
Per me significava cercare di dare una risposta a molte domande che mi ponevo sull’arte oggettiva, come definita da Osho e Gurdjieff.
L’incontro con i ragazzi down è stato molto interessante per me, perché mi sono resa conto che hanno un modo di vivere improntato sulla semplicità, sulla gioia di vivere e sulla naturalezza, oltre a possedere anche una grande intelligenza intuitiva.
Con loro sto facendo un grande percorso artistico, di vita e di crescita, anche tramite gli spettacoli, che danno l’opportunità al pubblico e a chi ci segue di vivere la diversità quale risorsa artistica e culturale
e soprattutto di avere un nuovo sguardo su un progetto che è anche sociale.

Marga: Ecco, parlami del progetto e di cosa significa per te a un livello profondo, al di là della dimensione artistica…
Urmila: Con la compagnia, che è composta da tre danzatori, Amedea, Simone e Stefano (di recente si è inserita anche una quarta, Marie), creiamo spettacoli e cortometraggi che vanno verso una dimensione spirituale. Ad esempio l’ultimo spettacolo, Una carezza che giunge dall’universo, è una coreografia in perpetua oscillazione tra l’organico e il mistico e che si tramuta gradualmente in un rituale contemporaneo a linguaggio universale, al di là di ogni cultura e religione.
Mi ha fatto piacere una recente recensione dello spettacolo, in cui si dice che attraverso la nostra danza andiamo verso un “nuovo ecumenismo” e per me questo è un grande complimento, non visto come complimento per l’ego, ma per qualche cosa che si trasforma e può dare la possibilità a ciascuno di noi di avvicinarsi a un nuovo percorso di crescita e di consapevolezza. Mi piace definirlo una “coreosofia”…
Comunque per me è nell’incontro che nascono le nuove cose, i nuovi progetti. Con i danzatori – ormai non sono più ragazzi, hanno dai ventuno ai ventotto anni – c’è veramente un grande scambio a livello umano. Mi trovo molto bene con loro, è anche uno scambio di anime e riusciamo a darci molto vicendevolmente. Sono molto affettivi in modo naturale e il loro conscio e inconscio è sempre unito e presente, è sempre lì, loro sono sempre nel qui e ora.
Potrei quasi scrivere un libro sulle frasi che escono tra noi, o che ci si scrive anche per sms. Un giorno ho detto: “Allora siete pronti?”, perché bisognava entrare in scena e uno dei danzatori mi ha risposto: “Noi siamo nati pronti”.
È un progetto pionieristico, non esiste in Europa un’altra compagnia dove danzatori con Trisomia 21 danzano e tengono da soli tutto lo spettacolo. Per me era importante dimostrare la loro indipendenza, quello che a volte non vediamo. Chiaramente con loro ho sviluppato un alfabeto coreografico e una metodologia, nel senso che sono riuscita a dare loro la possibilità di ricordare i vari passaggi e le strutture. La loro intelligenza logica è quella meno sviluppata, ma attraverso le altre intelligenze, ad esempio quella corporea, quella cinestetica, eccetera, aumenta anche la loro capacità logica.
Una parentesi: sono spesso a Parigi, dove c’è un centro per la ricerca scientifica sulla Trisomia 21 che si è in­teressato al mio progetto, perché sostengono che attraverso questo metodo di lavoro i down riescono a sviluppare altre consapevolezze, fa­cendo grandi progressi anche a livello sociale, di contatto con gli altri e di ciò che possono dare e ricevere, grazie a questo lavoro.

Marga: La scelta di ragazzi – adesso adulti – down è casuale, oppure c’è stata un’intenzionalità da parte tua?
Urmila: Quando mi occupavo di danza-terapia in uno stage ho avuto l’occasione di vedere Simone danzare e ho sentito che con lui avrebbe potuto nascere una ricerca artistica, proprio rispetto a quelle domande sull’arte oggettiva che mi ponevo. Contattai i suoi genitori che vengono da una famiglia legata all’arte del teatro e che mi dissero: “Prendilo, stai con lui”. Io dissi: “Però non faccio assolutamente terapia. Lavoro in tutto un altro modo”. Loro furono d’accordo e da lì ebbe inizio tutto
il progetto.
Il caso volle che in una delle istituzioni in cui lui lavora c’era Amedea, che dopo aver visto i video che avevamo fatto ha deciso di venire anche lei a lavorare con noi. Per un po’ ho lavorato sulla coppia e dopo un po’ si è aggiunto anche Stefano. Quindi il progetto è proprio nato e cresciuto naturalmente, senza l’obiettivo di costituire subito una compagnia. Poi ci fu proposto di fare uno spettacolo in occasione di un giubileo, a fianco di una compagnia teatrale di professionisti. Io dissi loro: “Se vengo però porto uno spettacolo ad hoc”.
C’erano duecentocinquanta persone a quell’evento e fu un’esplosione. Dopodiché cominciai a cercare i finanziamenti per creare la struttura che adesso è un’associazione senza fini di lucro, la Mops_DanceSyndrome, dove io lavoro come professionista e loro come semi-professionisti, nel senso che metà del loro tempo lo passano a lavorare con me, soprattutto prima degli spettacoli. Lo spettacolo adesso dura cinquanta minuti, non quindici come in precedenza, e questo ha fatto molto crescere il progetto dal 2008 a oggi.
Questa evoluzione mi ha portato a capire che eravamo sulla strada giusta, che stavamo procedendo bene, con gioia. In questi ultimi anni abbiamo fatto grandi passi, sono arrivate delle occasioni. Io ho continuato a ricercare, a creare, a proporre, a contattare. In questo momento, dopo la première dello spettacolo, stiamo raccogliendo il frutto di tutti questi anni di impegno. Mi sono presa il tempo per farlo crescere in un modo sano. In fondo è l’esistenza che mi sta accompagnando verso questa direzione, dove, non ti nascondo, negli ultimi mesi ho avuto diverse preoccupazioni con la gestione di finanziamenti che un progetto del genere comporta, ad esempio per far sì che chi ci lavora abbia il giusto compenso. Inoltre il tempo passa rapidamente e quindi ogni anno devo cercare nuovi finanziatori, altrimenti non si riesce ad andare avanti e non è semplice.

Marga: Tornando su un piano più intimo e umano, immagino che lavorare con i down tocchi dei tasti molto particolari…
Urmila: Io adoro stare con loro, entro nel loro mondo e loro entrano nel mio. Mi dicono a volte: “Ela, tu sei speciale” e per me sono speciali loro! Riusciamo proprio a incontrarci, è una beatitudine, sto benissimo, proprio perché cadono le solite regole.
La maggioranza della gente reputa questi deficit in senso negativo, invece per me genera potenza, è una risorsa molto grande, per questo mi sento fortunata a lavorare con loro, poter ricevere e trasmettere ad altri quello che hanno da offrire, come è accaduto in questa ultima rappresentazione. C’erano trecento persone e lo spettacolo le ha smosse proprio nel profondo perché va dritto alla sfera intima di ciascuno e parla da lì, perché rivela non solo il talento, ma anche la grande qualità, le grandi forze e l’amore che i down posseggono. Il problema sta nella cultura generale, nell’immaginario. Quando parlo con la gente del mio lavoro, sembra che abbia chissà quale compito, chissà che pazienza; mi dicono che brava che sono, a volte addirittura “Poverina!”. Quando parlo con i genitori spesso mi confidano che a volte si sentono isolati, perché con un figlio down la maggioranza delle persone li guarda in un certo modo. Attraverso questo progetto ho creato delle dinamiche nuove, all’interno sia dei gruppi di genitori, sia di chi ci segue.
Per le famiglie è tutta un’altra cosa ora, perché ad esempio si avvicinano tutti a fare i complimenti ai loro figli. Andiamo a Parigi a danzare e vengono anche loro, ma vengono grazie al figlio che danza, quindi la situazione è completamente capovolta.
Per me questi danzatori sono dei maestri di vita e il fatto di poterci lavorare a livello artistico è incredibilmente bello. È per questo che mi ha fatto molto piacere, quando mi hai contattato, che tu avessi voglia di ascoltare ciò che avevo da dire, perché è molto legato alla meditazione: il lavoro sensibile che sviluppo con loro, unito alla loro grande lezione di umanità, mi ha consentito di entrare in un dialogo, di poter lavorare, esserci, di esserci totalmente e per me questo è qualcosa che parla di meditazione…

Marga: A proposito di meditazione… in tutto questo movimento – perché mi dai l’impressione di essere una persona estremamente dinamica, creativa, frizzante – come s’inserisce una meditazione come la Vipassana? Perché so che partecipi spesso a dei ritiri…
Urmila: Seguo Osho da molto tempo, ma ho cominciato a seguire corsi e seminari nei centri dal 2008 e ho iniziato proprio con la Vipassana. Tutti mi dicevano: “Assolutamente, prima di fare la Vipassana devi fare altre cose”, però nel mio percorso avevo già affrontato altri lavori di pulizia, alla ricerca dell’essenza, dell’essenziale. La Vipassana per me è vitale e da quando la pratico anche la mia vita è cambiata. La porto nel quotidiano, è proprio lei che mi dà la possibilità di poter essere così, di continuare ad avere tutta questa vivacità. La prima impressione che a volte posso dare è di persona sempre molto dinamica e invece in ogni giornata necessito di uno spazio di silenzio che è solo mio, momenti dove equilibrare il tutto. La Vipassana mi aiuta ad andare a ritrovare la mia ancora, il luogo da cui sono arrivata e dove ritornerò. Ho rimesso radici da poco, riprendendo una mia casa, dopo un’anno e mezzo di nomadismo, nel senso che ho vissuto in diversi appartamenti di vacanza e città. Durante questo periodo il mio luogo sicuro c’era comunque sempre, era lì, sempre con me…
Pratico altre tecniche di meditazioni oltre alla Vipassana, però seguo Shunyo, il suo lavoro, questa è la mia strada con Osho: l’ho incontrata e vado dove va lei, senza chiedermi più di tanto. È stata lei, vedendomi danzare, ad aiutarmi a scegliere il nome Deva Urmila, che vuol dire “Divina Onda Danzante”. Nella danza per me c’è tutto: il lavoro, la meditazione, la celebrazione della vita.. è tutto un’insieme, come nell’oceano, non c’è divisione.

Per video e informazioni sul lavoro di Urmila, nel mondo Ela Franscella, e del suo progetto:
www.vimeo.com/mops/
www.mopsdancesyndrome.com e facebook

© Fotografia: Fulvio Pettinato


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