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Corpo, cuore... meditazione!

Un’intervista a Deepti Canfora la creatrice della Metaphysical Dance

Articolo apparso su Osho Times n. 211
 


Marga: Raccontami la tua storia, il tuo background artistico di danzatrice, l’incontro con Osho e come le due strade si incontrano…
Deepti: Vengo dal mondo della danza accademica, classica principalmente e poi contemporanea. Un mondo artistico fatto di sognatori che si sottopongono giornalmente a ferrea disciplina e che vivono in un ambiente fortemente competitivo. Si lavora davanti a uno specchio tutto il giorno, tutti insieme, inseguendo un ideale di perfezione che richiede una lotta costante con il corpo per poterlo forgiare per ciò che è richiesto. Ma la cosa che più mi faceva soffrire era il confronto costante con gli altri: ogni gesto era misurato secondo i canoni del mio ideale di danzatrice perfetta e in costante paragone con tutti gli altri danzatori che risultavano, ai miei occhi, sempre migliori di me: una tortura fisica ed emotiva continua.
Ho iniziato all’età di 11 anni e a 18 sentivo di non farcela più, pensavo che mi mancasse il “pelo sullo stomaco” per poter sopportare tutto questo. In realtà la mia fragilità di allora era duramente provata dalle difficoltà di avere a che fare con un mondo troppo pesante per me, con emozioni e ostacoli che mi toglievano il fiato. Stavo soccombendo a una sofferenza costante, avevo bisogno di aiuto, dovevo fare qualcosa per me. E presi una decisione: andare a conoscere quell’“uomo dalla barba bianca” che un amico e mio fratello avevano incontrato in India.
Così a 18 anni partii per Pune, era il 1975. Arrivata da Osho trovai tutto quello che mi serviva per coltivare il “mio giardino” e lasciai da parte, per qualche tempo, il mondo della danza. Ma, come compresi poi, anche la danza era la mia vita e per circa 20 anni ho percorso le due strade in parallelo: la danza, come insegnante e come coreografa, e la mia vita di sannyasin; un parallelo che non era scissione, però, perché il sannyas non era staccato dal resto della mia vita. Tutti sapevano che ero una discepola di Osho: mi sono sempre fatta chiamare Deepti. Per alcuni ero quella della “setta degli arancioni”, per altri una tipa un po’ stramba che faceva meditazione. Poi sono arrivate le proiezioni come discepola del “guru del sesso” con domande del tipo: “È vero che fate delle ammucchiate dove scopate tutti insieme?” che si alternavano a: “Ma come fai a credere a uno che ha tutte quelle Rolls-Royce?”.
Domande stupide, tesi polemiche, giudizi moralistici che, sinceramente, non mi hanno mai messo in reale difficoltà. Probabilmente ero favorita dall’ambiente artistico in cui vivevo dove, comunque, le stranezze e le stravaganze erano tollerate. E quell’atmosfera di diffidenza intorno a me non è mai stata un impedimento a continuare nella ricerca di me stessa secondo gli insegnamenti di Osho e ad affermarla con la mia presenza nel mondo.
Man mano che “crescevo” sentivo diventare sempre più importante continuare a cercare il modo per unire le due strade, mettere insieme le mie due arti: la meditazione e la danza. Il legame già era chiaro nel messaggio di Osho, ma si trattava di trovarlo attraverso ciò che io conoscevo della danza, unire cioè gli aspetti artistici, ad esempio, alla meditazione.
Pian piano, quando ho cominciato a sentire che c’era un po’ di spazio, ho esplorato la possibilità di introdurre il mondo di Osho, le sue meditazioni, tra i miei allievi di danza, mentre continuavo a lavorare sull’idea di creare qualcosa che fosse una sintesi di tutte le mie esperienze, danza, psicoterapia e meditazione, secondo la visione di Osho. Gli ingredienti c’erano già – tanti elementi, tante esperienze, tanti dati – ma erano tutti un po’ sparsi e dentro di me doveva ancora comporsi la forma e il disegno. Ci voleva un momento di chiarezza e, forse, anche di maturità, per riuscire a metterli insieme. L’incontro con Leela e Prasad (Wadud e Waduda), nel ‘93, è stato fondamentale, in questo senso. Il loro lavoro mi ha fornito delle chiavi, sono stati come dei traduttori: grazie a loro i tasselli del puzzle all’improvviso hanno trovato il loro posto e il quadro si è composto.
Nel frattempo anche tutta la parte di conflitto relativo al mondo della danza in quanto tale, è caduta, e anche questo probabilmente ha liberato spazio perché le cose si unissero, perché l’unità arrivasse a compimento. A quel punto ero pronta… da lì, nel 1996 è nata la Metaphysical Dance e per me è stato “Ah finalmente!”. Ho iniziato con i miei allievi di danza, persone che partivano già in fiducia nei miei confronti: “Ma cosa facciamo?”, “Non preoccupatevi, facciamo meditazione” e un po’ alla volta ho cominciato a “passare” delle cose, a creare esercizi che facessero da ponte per entrare in contatto con sé stessi, tecniche che portassero a uno spazio meditativo.

Marga: Trovi ancora nella gente questa proiezione sul guru? Ed è questa la difficoltà?
Deepti: Be’, i tempi sono cambiati, ma la proiezione su Osho c’è ancora, alcune persone che varcano la soglia della Metaphysical Academy temono di trovarsi invischiati in una setta, ma vedono subito che non è così. Il mio approccio è: “Non son qui per far proseliti, ma per trasmettere un messaggio che può aprirvi la porta verso voi stessi”. La difficoltà, se vuoi, è che ci sono ancora tanti fraintendimenti e poca chiarezza su che cosa sia davvero la meditazione. Nei miei seminari inserisco sempre una parte teorica – per dare un po’ di alimento alla mente, che sperimentando la meditazione incomincia a vibrare e dice: “aiuto, aiuto” – spiegando cosa succede energeticamente nella meditazione, ad esempio che valenza ha uno Stop. Perché Osho nella Dinamica propone lo Stop? Cosa succede all’energia quando ci si ferma improvvisamente dopo il movimento? E quando le persone lo sperimentano su di sé e sentono l’energia che va dalla periferia, in cui si è manifestato il movimento, al centro, dove c’è spazio e vuoto, mi accorgo che l’esperienza stessa porta il messaggio: mi dicono di aver provato qualcosa di diverso, una sensazione di benessere, di nutrimento.
In definitiva, il senso del mio lavoro con la Metaphysical Dance è trasmettere il messaggio di Osho sulla meditazione, sollecitando le persone dicendo cose del tipo: “Ragazzi, guardate che c’è bisogno di fare le tecniche di meditazione per coltivare il vostro spazio interiore. Serve un piccolo sforzo all’inizio, perché la mente subito non è contenta, ma state sperimentando di persona che la meditazione porta più chiarezza e più intelligenza, qualità che poi è possibile portare nella vita quotidiana”.
Questo riesco a trasmetterlo pienamente con il corso di formazione dove c’è una frequentazione continua per quattro anni. Ci si incontra almeno una volta al mese e c’è la possibilità di fare un percorso di crescita graduale ma continuo. Alla fine di ogni seminario do sempre un “compito a casa”, dico ad esempio: “Abbiamo parlato di questo argomento e l’avete provato sulla vostra pelle; in questo mese notate cosa vi succede rispetto alla tematica che abbiamo affrontato insieme”. La tematica può essere, ad esempio, una compulsione, un meccanismo di difesa o una strategia e “compito a casa” significa osservare, nel quotidiano, quali emozioni sopraggiungono, quali parti del corpo sono coinvolte, quali pensieri e credenze arrivano ad “ammorbare l’aria” quando si attiva quella strategia, o quella compulsione, e soprattutto cosa accade portando tutto ciò a esprimersi attraverso una tecnica di meditazione. Portando a piena espressione la dimensione emotiva e quella mentale attraverso il corpo, cosa accade quando poi, nell’immobilità della meditazione, ti lasci scivolare dentro?
In questo modo procedo passo dopo passo, una goccia dopo l’altra, un pezzettino dopo l’altro... Con un lavoro continuativo come un corso di formazione, gli allievi hanno il tempo di conoscermi, di superare le resistenze e pian piano avere la fiducia che permette loro di lavorare sempre più in profondità e di avvicinarsi a Osho spontaneamente, rendendosi conto da soli della grandezza del suo messaggio di cui io sono solo un canale. Questa modalità li avvicina a Osho… perché per me non si tratta solo di offrire un fantastico seminario dove sperimentare delle bellissime sensazioni presto dimenticate una volta a casa, ma dare continuità, riportare l’esperienza nella “piazza del mercato”, espressione tanto cara a Osho, che è la vita.

Marga: Per formazione intendi che pre­pari le persone a insegnare?
Deepti: Sì, nel 2005 ho creato un corso alla Jean Monnet, un’università europea di Bruxelles, che ha una sede e delle facoltà anche in Italia. In tutto sono 24 esami e una tesi che gli studenti discutono a Bruxelles, dove ricevono un master. Qui in Italia siamo affiliati con la SIAF, in modo da essere inseriti nel registro dei Counselor Olistici. Le persone seguono questo percorso fondamentalmente per la loro crescita spirituale ma, insieme, ricevono un attestato, un diploma e, quindi, una possibilità professionale.

Marga: Mi spieghi in essenza in cosa consiste la Metaphysical Dance?
Deepti: All’inizio credevo che la Meta­physical Dance potesse essere rivolta soltanto ai danzatori; in seguito, però, mi è arrivata un’intuizione: “Adesso lavoriamo semplicemente sul gesto, sul movimento, sulla forma invece che sulla tecnica della danza”, richiamando un approccio definito “danza espressiva”, ma che per quanto riguarda il mio lavoro è più vicino al “teatro danza”, cioè alla presenza, al qui e ora, alla totalità espressiva.
È un lavoro aperto a chiunque, non solo a danzatori, perché chiunque è in grado di compiere un gesto e, attraverso la presenza del e nel gesto, assaggiare cosa vuol dire “qui e ora”. Tutti compiamo gesti spontanei, quotidiani, ma sono perlopiù inconsapevoli: bevo il caffè, mangio, guido, faccio questo, poi faccio quell’altro, tutto in automatico.
Richiamare la presenza sulle piccole cose serve a portare consapevolezza anche nel quotidiano… fermarmi a sentire la mano che tocca il piatto mentre lo sto lavando, sentire l’acqua che scorre, la mano che si muove con la spugna mentre pulisce, la postura del mio corpo, il mio respiro; imparare a far diventare ogni gesto una danza e con danza intendo presenza in ogni parte del corpo, ritmo, continuità del gesto. E invece che lavare frettolosamente i piatti in modo da liberarmene al più presto, rimango col gesto, lo rendo visibile e quindi osservabile e riproponibile. E qualcosa accade…
Un altro aspetto importante è il lavoro sul personaggio. Ti faccio un esempio: durante l’ultimo seminario abbiamo lavorato sulle compulsioni e la dipendenza, quindi ho proposto una panoramica teorica di comportamenti automatici affinché ciascuno potesse trovare il suo, qualcosa di attinente alla sua vita. Tipo… mi succede qualcosa di spiacevole e mangio quattro fette di torta. Oppure continuo a pulire la casa ossessivamente. Cosa mi porta a farlo?
Il primo passo è riconoscere che “Ok, c’è questa compulsione, ora vediamo come si comporta nel mio corpo”. Passare attraverso il corpo incomincia a farti entrare in quella dimensione e, con la danza, “lavori” sul personaggio che quella compulsione fa emergere e manifestare. Incominciamo a muoverci nello spazio e in quel momento sei quella compulsione, il tuo corpo è quella compulsione: “Cosa accade? Cosa senti? Com’è il tuo respiro? Com’è il corpo? È contratto da qualche parte? Nota come cammini quando sei questa compulsione. Ha un ritmo veloce, ha un ritmo lento? Che tipo di gesto ha? I suoi movimenti sono grandi o piccoli, morbidi o spigolosi?”. Creo così una dimensione dove quella compulsione, quella dinamica psicologica, possa veramente essere esplorata e portata al massimo della sua espressione.
Accade che nel giro di un’ora si provi tutto quello che di solito si prova diluito in una giornata o in più giornate.
Il secondo passo è: “Adesso prova a interagire con l’altro, come ti relazioni con l’altro quando sei in questa dinamica? È possibile interagire? Lo vedi l’altro? Vedi te stesso? Che visione hai di te quando sei in quella dinamica e come vedi il mondo fuori?” in modo da portare luce anche su come una compulsione influenza le nostre relazioni.
E quando ti ritrovi nella dinamica così totalmente, ti risuona dentro qualcosa di familiare, perché la conosci, anche se di solito non la sperimenti così intensamente. In quel momento quell’intensità ti sveglia, dici: “Cavolo, questo lo riconosco, ecco che cosa mi succede...”. Il corpo ce lo portiamo sempre dietro e quindi è il primo strumento che può farci svegliare.
La cosa preziosa è che non lavoriamo soltanto per fare dei movimenti, ma perché risuoni qualcosa dentro da riconoscere e da poter “guardare” senza soccombere o lasciarsi spaventare. Gli si lascia lo spazio per “dire la sua”, si lascia che la tensione, la lotta o la sofferenza presenti usino il corpo per mostrarsi e, in questa manifestazione, una volta che hanno toccato il loro apice, non possono far altro che sciogliersi. E poi rimane solo spazio, spazio fra te e ciò che hai espresso.
E quello che hai provato resta in memoria, e magari poi all’improvviso, mentre sei in ufficio arriva quella compulsione, o cominci a mettere in atto quella strategia, e il tuo corpo ti sveglia: “Ah riconosco questo dolore alla spalla, questo respiro affrettato, sento la pancia che si contorce… ecco cosa sta accadendo”. E magari a quel punto riesci ad accoglierla, invece che lottare con te stesso o rifiutarla o chiuderti.

Marga: Oltre alla danza usi altre modalità espressive. A cosa servono?
Deepti: Sì, ho introdotto anche altri mezzi artistici come la manipolazione della creta, la pittura con gli acrilici, l’OltrePittura, la scrittura, il disegno e la risonanza morfica…
Utilizzo molti media artistici per poter dare diverse opzioni espressive e creative a seconda dei talenti di ciascuno.
Per una persona molto fisica, è forse sufficiente il lavoro col corpo, ma anche in quel caso può rimanere un pezzettino di fastidio, qualcosa di non pacificato e creare una forma con la creta, o “mettere nero su bianco”, scrivendo o dipingendo, stabilisce una distanza, fra te e quell’energia.

Marga: Cos’è la risonanza morfica?
Deepti: Ti ricordi il film “Mary Poppins” dove lo spazzacamino fa un disegno sul marciapiede e poi, entrando nel disegno, si ritrova là dove voleva?
Ecco, succede qualcosa di simile… dopo che il corpo è entrato in sintonia con l’energia di quella dinamica psicologica, la disegni su un foglio e ti trovi nella dimensione di quella dinamica, di quel trauma, in contatto con ciò che è conscio e inconscio…
All’inizio usavo molto di più la danza e il lavoro proposto era tutto molto più fisico, poi ho aggiunto componenti sempre più sottili, dove la meditazione è sempre la protagonista…

Marga: Ecco, qual è il ruolo specifico della meditazione, in tutto ciò?
Deepti: Senza la meditazione non c’è la possibilità di riconoscere che dentro di te esiste un centro e che fuori c’è una periferia e nel percorso di questo riconoscimento la meditazione del cuore, nel quarto chakra, è fondamentale!
Centrato nel cuore hai la possibilità di vedere che qualsiasi disagio o fastidio può sempre e comunque fluire nel cuore e essere assorbito… e dopo, piano piano, puoi lasciarti scivolare nel centro silente. Li guido in meditazione e con delicatezza incomincio a dire: “Guarda! Tutta quella dinamica, tutte quelle emozioni… non sei tu!” e lo posso dire solo nel momento in cui hanno fatto l’esperienza di scivolare nel centro e sentire quel silenzio. Là c’è lo spazio per vedere cosa accade alla periferia, all’esterno, ed è possibile incominciare a comprendere: “Ma allora forse io non sono proprio quella ‘roba’ lì, forse non lo sono”.
La Metaphysical Dance permette naturalmente e gradualmente di arrivare alla meditazione come qualità essenziale da portare nella propria quotidianità. Permette di scoprire che c’è una differenza tra essere, io lo chiamo “a secco”, cioè senza meditazione e essere in meditazione.
Per esempio quando faccio il seminario sul cuore esordisco con: “Bene, adesso facciamo un lavoro con i gesti a secco”, poi propongo una meditazione sul cuore, quindi “Riproviamo a fare i gesti e notate se c’è differenza”. E la differenza è riconosciuta ogni volta, inevitabilmente: provano sincronicità con gli altri, apertura, spazio, assenza di giudizio... è grandioso! Così si comincia a vedere che c’è una vera differenza tra vivere “a secco” e vivere in meditazione. Questa è la Metaphysical Dance.

 

Deepti Canfora
Info su metaphysicaldance.it


 

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