Dieci italiani a Pune

Dieci italiani a Pune

Impressioni di un viaggio nel viaggio...

 

Da un articolo apparso su Osho Times n 253

 

Gruppo di donne indiane

 

Che bello l’OshoTour!

di Pratiti


Ma quanto può essere bello l’OshoTour? Da uno a dieci non c’è scala che lo descriva. 

Da quando sono tornata, chiunque abbia incontrato, m’ha immediatamente chiesto del mio viaggio in India, di come sia stato meditare per due settimane lontano da tutto e da tutti. 

In molti pensano che investire i propri soldi per vedere un unico luogo e fare “quello che potresti benissimo fare a casa tua” non abbia alcun senso. 

Lo pensano perché non hanno visto l’Osho International Meditation Resort e perché non sono entrati nel Samadhi (il luogo che accoglie le ceneri di Osho), non ne hanno assaporato l’energia, il silenzio e l’incredibile bellezza.

Non hanno passeggiato nei viali per ascoltare il suono del vento tra i bambù, non hanno osservato l’effetto ipnotico dei grandi pesci rossi negli stagni, il volo pazzo dei pappagalli o l’esibizionismo spavaldo dei pavoni. Non hanno sorseggiato il chai davanti a Basho, la meravigliosa piscina circondata da una vegetazione lussureggiante, e non hanno visitato il Teerth: uno dei più bei parchi di tutta l’India.

Chi non ha partecipato alle meditazioni in Auditorium non sa cosa significhi ballare in mezzo a duemila indiani accorsi per il Monsoon Festival, o quale sia la sensazione di indossare ogni mattina la maroon robe per viversi le proprie meditazioni preferite o provare qualcosa di totalmente nuovo (per me la Darkness Meditation, il Bardo e gli assaggi di No Mind e Born Again). 

Mi sono divertita troppo alla Morning Class per riscoprire la mia voce e alle varie serate organizzate dal Resort, in cui abbiamo ballato, celebrato, meditato e dato spazio alla nostra creatività.

Mi è piaciuto da impazzire vedere come nel corso dei giorni il mio inglese migliorasse, come il mio spirito ribelle trovasse un compromesso con le regole del Resort, come in poco tempo sentissi di farne parte, che fosse il posto giusto per me. 

Nell’OshoTour c’è spazio per tutti, parlo di uno spazio di libertà in cui ognuno può connettersi al proprio sentire facendo ciò che gli è più affine. 

Ci sono persone che si sono dedicate esclusivamente alla meditazione, persone che ogni giorno sono uscite dal Resort per gustarsi le specialità gastronomiche e i ristorantini supereconomici nei dintorni, persone che hanno sperimentato il tango, persone che si sono prese lo spazio per disegnare e persone che hanno fatto shopping nelle vie commerciali di Pune. 

Ci sono persone che avevano voglia di fare amicizia e persone che volevano stare sole, persone che andavano a dormire dopo cena e persone che avevano troppa energia per farlo. 

Ci sono persone a cui è cambiata la qualità del sonno e persone che hanno rivissuto le proprie paure. 

A tanti è venuta un’incredibile voglia di tornare perché, come m’ha giustamente suggerito un amico, ci sono viaggiatori che investono il proprio denaro (e quindi la propria energia) per vedere nuovi luoghi e altri che lo fanno per vivere esperienze, per creare inediti spazi e dimensioni dentro di sé. 

Non si può quindi definire l’OshoTour un viaggio, perché sarebbe riduttivo, si può dire che è stata un’avventura in grado di farci scoprire molte sfaccettature di noi e del mondo che ci circonda, forse di donarci un nuovo paesaggio interiore.

 

 

Attimi... di eternità

di Nurya

 

È un gioco di colori. Colori e voci che si susseguono. Colori, voci e silenzi.

Il maroon delle tuniche che s’indossano lungo la giornata, il bianco dell’Osho Evening Meeting, il nero dell’auditorium e di tutti gli edifici, il verde dei prati, degli alberi, dei parchi... Una varietà di colori che entrano con calma dentro di me, che s’insinuano poco a poco dentro di me e che m’invitano a tuffarmi dolcemente in questa incredibile avventura.

Ascoltando il corpo, rispettando i suoi ritmi, mi guardo intorno e leggo il programma delle varie giornate. Già alle sei del mattino iniziano le proposte con la Osho Dinamica e poi Tai Chi, Whirling, Silent Sitting e via, lungo questa giornata che scorre in un lampo, immerso in queste meditazioni che finiscono sempre troppo velocemente. Il tempo perde la sua normale dimensione: mi siedo in silenzio e già suona la campana che avverte che la meditazione è finita. Non ho più tempo per creare pensieri, ho solo tempo per entrare per un attimo dentro di me.

E poi arriva il Monsoon Festival che, con la musica e i suoi artisti, porta anche centinaia e migliaia di persone. Il Resort si trasforma: ora le macchie maroon non riescono quasi più a confondersi col verde della vegetazione, tutto è diventato maroon, è un via vai di tuniche che si muovono, svolazzano, danzano. Entro in contatto – un fisico e totale contatto – con la gioia, la celebrazione, la festa e con la quiete, la meditazione, il silenzio. Zorba e Buddha non sono più separati, s’incontrano, si uniscono, diventano uno: Zorba il Buddha.

M’immergo anch’io con gioia nella danza: nella Stick Dance, la danza dei bastoni, nelle danze di Bollywood, nelle danze dei Sufi, nelle danze del mondo di Osho. M’immergo con semplicità nel silenzio che diventa ogni attimo più intenso, più vivo, più totale. Il contrasto tra il movimento e la staticità, e tra il suono e il silenzio sono grandiosi. Assaporo ogni attimo e, nel silenzio, lo riscopro ancor di più. Ogni attimo trova un incredibile valore e, nell’incontro con le persone, ogni gesto è unico, è totale. Poco importa se il mio inglese è stentato, se il mio hindi è inesistente... Di fronte a ogni incontro sgorga una profonda connessione, quasi intima, in cui le parole non hanno bisogno di esser pronunciate: chi parla è il cuore. E allora, vai con la Heart Dance, col permettere che il cuore balli e si espanda in questa folle danza in cui ci si diverte un sacco, in cui posso ancora scoprire che la meditazione non è affatto una cosa seria.

È quello che succede ogni sera all’Osho Evening Meeting: si balla, all’inizio piano piano, ma poi la musica entra nel corpo e il corpo non ce la fa più a farmi fare la brava persona. Vuole muoversi di più, vuole dimenarsi, vuole scatenarsi e la danza diventa totale e il corpo ne gioisce e la mente dimentica di dover creare pensieri, anche lei si diverte nella danza. La danza procede e cresce, la musica aumenta e si fa più veloce e poi, all’improvviso, muore e arriva un boato: “Osho!”. 

Un suono che porta al silenzio. Quel breve attimo di silenzio che arriva è totale, mi fa entrare in profondità, dove posso trovare un vuoto che mi connette con tutto me stesso, con un attimo di eternità che sembra senza fine. Non so quanti siamo nell’Auditorium – centinaia, forse un migliaio di persone, di white robe danzanti o forse anche più – ma entrare in un silenzio così immediato e totale, così vibrante e materiale, mi fa scoprire una commozione, una bellezza, uno splendore incredibili.

È come dice Osho: “Diecimila Buddha stanno sperimentando il silenzio e la connessione con l’esistenza. Diecimila Buddha possono celebrare, possono fare festa”. E la danza riprende, la celebrazione riprende e prosegue anche fuori dall’Auditorium. 

È il portare questa totalità in ogni momento della giornata, in ogni gesto, in ogni azione. 

Adesso sono a casa, intorno a me non ci sono più maroon o white robe, ma quel mistico silenzio ancora permane, la gioia di vivere ancora è presente. Posso essere all’Osho International Meditation Resort di Pune, posso essere nel centro di Osho più vicino a casa, posso essere da solo nel mio appartamento, posso essere in ufficio con le mie colleghe o posso anche essere nella piazza del mercato... non cambia nulla. Questa connessione è con me, semplicemente osservo e ne gioisco...



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