Balla per me

Balla per me!

Di Maneesha (USA) che ha dedicato la sua vita a danza e meditazione...  

Una condivisione apparsa su Osho Times n 260

 

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Osho – Un grande sì

 

Era il 1973 e studiavo danza a New York. A casa per le vacanze estive, ricevetti una lettera dall’India dalla mia migliore amica del liceo. Stava facendo un ritiro di Vipassana con Goenka e lo odiava… Il caldo, le mosche, seduta tutto il giorno. Le risposi: “Torna a casa!”.

La seconda lettera fu molto diversa. Qualcuno le aveva parlato di un guru chiamato Bhagwan. Era andata a Mumbai per incontrarlo e aveva preso il sannyas e un nuovo nome: Ma Satya Priya. Era entusiasta di lui, dei vestiti arancione, del mala, delle tecniche e di un campo di meditazione sul monte Abu a cui aveva partecipato. 

Mi descrisse dettagliatamente gli stadi della Dinamica e decisi di provare a farla. Rido adesso a pensare ai miei tentativi di respirare e urlare in un cuscino, ma almeno ci provai e lo scrissi a Priya. 

Nella terza lettera mi scrisse: “Sei così aperta, ce l’hai fatta! Mandami una tua foto”.

Una mattina mi svegliai ricordando un sogno molto nitidamente. Ero in manicomio. Il pavimento era sconnesso e le pareti continuavano a cambiare angolazione. Facevo fatica a camminare, ma improvvisamente mi resi conto che se avessi seguito il pavimento e le pareti, avrei raggiunto la mia destinazione. “Se cado, cado. Se sbatto contro il muro rimbalzo nella direzione opposta. Quello che devo fare è assecondarlo e tutto andrà per il meglio!”.

Ero estatica! 

Scrissi a Priya del sogno e del fatto che tutto ciò che dovevo fare era “assecondare” la vita ed essa stessa mi avrebbe guidato. Le mandai la foto che aveva chiesto.

Dopo un paio di settimane Priya rispose che stava tornando a casa. Andai a prenderla all’aeroporto e scese la scala mobile con un lungo vestito arancione brillante e il mala al collo. Era radiosa, più bella che mai, splendente. 

Rimasi senza parole. Sul taxi mi raccontò di Osho e di com’era bello stargli vicino. Era così incredibile che continuavo a dire a me stessa: “È questo! È questo!”, anche se mi sentivo come se non avesse ancora niente a che fare con me e la mia vita.

Quando arrivammo a casa mia, Priya aprì la sua valigia e tirò fuori una foto di Osho in bianco e nero. Il volto di Osho era illuminato solo da un lato e c’era una scritta in nero: “A Maneesha con amore e benedizioni” e uno scarabocchio che, disse Priya, era la sua firma. 

Poi Priya tirò fuori un foglio firmato con il mio nome, datato 4 agosto 1973, e mi spiegò: “Quando sono andata a salutare Osho, gli ho fatto vedere la tua foto e la tua lettera. Lui ha guardato la foto, ha letto la tua lettera e ha detto: ‘Ah sì, è ancora negli occhi per ora, ma andrà più in profondità. Portale un nuovo nome e un mala, e poi portala qui da me’“.

Le chiesi: “Mi conosce o cosa?”. Con un sorriso lei rispose: “Credo di sì!”. Prese il mala e me lo mise al collo. Caddi immediatamente sul pavimento, ridendo e piangendo, con la più grande sensazione di “sì” che avessi mai avuto nella mia vita. Ero senza pensieri e tutto intorno a me mi sembrava rosa.

Priya rimase nel mio appartamento per due settimane e ogni giorno facevamo insieme la Dinamica. Piangevo tutto il giorno, tutti i giorni, ed ero spaventata. Tornai all’università vestita d’arancione e mi successero delle cose interessanti, tra cui un’esperienza extracorporea.

Due anni e mezzo dopo lasciai l’università. Sentivo di non avere una direzione nella vita, se non il fatto che amavo ballare. Mi trasferii a Chicago, dove vissi una vita da bohémienne, romantica e artistica. Facevo la cameriera di notte e studiavo danza al Columbia College durante il giorno. Vivevo in un appartamento con finestra sulla baia insieme al mio ragazzo, uno studente dell’Art Institute, ma ero infelice.

Iniziai a meditare in un piccolo centro di Osho gestito da una sannyasin. Un giorno mi telefonò per dirmi che due sannyasin erano appena tornati da Pune e se volevo venire a incontrarli e fare la Dinamica insieme. Erano due ragazzi afroamericani: Krishna Govinda e Bodhisattva, due meravigliosi ragazzi di strada di Chicago totalmente trasformati: gioiosi, divertenti e pieni di storie da raccontare su Osho e su Pune. Uscii da quella Dinamica in fiamme: “Vado da Osho, adesso”.

Nel giro di due mesi ero su un aereo per l’India con un altro sannyasin di Chicago, l’adorabile Satprem. Era il febbraio del 1976.

 

 

Pune 1: un segreto sapere

 

Quando mi trovai di fronte a Osho durante il mio primo darshan, stentavo a parlare. Mi chiese: “Allora, cosa hai fatto a Chicago?”, risposi: “Ho lavorato e danzato”. Al che disse: “Ballerai per me!”.

Devo averlo guardato stupefatta: “Non vuoi ballare per me?”. Annuii, a bocca spalancata.

“Fai il campo di meditazione e tra dieci giorni ritorna e balla per me”. 

Dieci giorni dopo, al darshan, aspettavo pazientemente che Osho mi chiamasse per farmi avanti. Avevo portato con me un registratore e una cassetta con un pezzo jazz che avevo sentito per la prima volta solo il giorno prima.

Verso la fine, Osho mi guardò e chiese: “E tu?”. 

“Mi avevi detto di ballare per te”, risposi, pensando che se ne fosse scordato. Lui ridacchiò: “Sì, sì, ma hai qualcosa da dire?”. Scossi la testa. Osho fece segno a tutti di fare spazio davanti a lui. Mi alzai, spaventata! Ricordo solo che lo guardai e iniziai con un grande movimento del braccio. Poi la danza prese il sopravvento. Continuavo a girare, ancorandomi sul viso di Osho. Quando Osho fermò la musica caddi ai suoi piedi. Mi chiese di chiudere gli occhi e fece scorrere la sua penna luminosa sui miei chakra. Disse: “Molto bene!”. E mi dette un asciugamano. Mi sentivo così fortunata per aver avuto la possibilità di esprimermi attraverso la danza, senza dover dire nulla a parole.

Quel mio primo viaggio fu di sei mesi e non persi un solo giorno. Nell’auditorium di Chuang Tzu, ad ascoltarlo, un mese in hindi, un mese in inglese; e poi le meditazioni, le danze, i darshan, tanti momenti incredibili, amicizie, lezioni, realizzazioni. 

Dopo tre mesi, in un darshan, chiesi a Osho se dovevo tornare a casa dal mio ragazzo e lui mi rispose: “Gli amanti sono facili da trovare, l’amore è difficile. Resta qui e trova l’amore! E hai evitato alcune cose: adesso entraci”.

Boom. Il giorno dopo mi ammalai: due mesi di epatite. Tutto quello che potevo fare era stare a letto e osservare.

Quando il mio visto scadde andai a Chicago per lavorare e fare un po’ di soldi e poi tornai a Pune col mio ragazzo. Era la fine del 1977. 

Dopo alcuni mesi lui voleva andarsene. Scrissi a Osho per chiedergli se dovevo partire con lui e la sua risposta fu: “Se riesci a rimanere, non c’è bisogno di andare”. Il mio ragazzo partì e non lo vidi mai più.

Senza paura mi immersi nei misteriosi accadimenti dell’ashram, amplificati dai darshan d’energia e dai gruppi di musica. Fui invitata a cantare alla primissima Celebration in Buddha Hall. Osho era seduto sul podio, noi musicisti eravamo dietro. Le nostre voci ruppero il silenzio profondo, finché tutti nella sala non si unirono al coro.

Poi iniziai a lavorare, cosa che mi portò più in profondità nella corrente trasformativa dell’ashram e mi innamorai di Arpitam, che lavorava nella panetteria. Era alto, bello e irresistibile per me. Sebbene avessi già avuto una lunga storia e diversi fidanzati, quella fu la prima relazione che mi immerse in cambiamenti al di fuori del mio controllo; il mio cuore si spalancò e vidi il mio desiderio di amore; anche i miei ormoni e il mio corpo cambiarono completamente. Forse era la presenza di Osho e le meditazioni. La nostra storia d’amore durò due anni e mezzo, poi l’esistenza me lo portò via misteriosamente, così come l’aveva condotto a me. In quel periodo feci luce su molte cose, anche eventi del mio passato.

Per un anno lavorai in sartoria, dopo in cucina e intanto ballavo con il gruppo teatrale che stava preparando Sogno di una notte di mezza estate. Mi avevano chiesto di lavorare con gli attori e aiutarli a entrare più in contatto con il corpo. In quelle sedute sentii per la prima volta qualcosa che prendeva il sopravvento su di me: un sentimento interiore, una conoscenza segreta di come aiutarli a risvegliare il corpo. Sentivo che era Osho a entrare dentro di me. È difficile esprimerlo a parole, ma mi sentivo come se mi rivelasse una verità, l’essenza di Zorba il Buddha: la gioia di permettere l’espressione della nostra energia vitale più selvaggia e, allo stesso tempo, rimanere nel nostro nucleo più profondo. Questo talento è dentro di me da allora. Mi inchino a questo dono che ho ricevuto dal mio maestro.

Restai nella Comune fino alla chiusura, nel 1981. La ricordo come un paradiso. Insieme attraversavamo profondità e altezze, ripulendo il passato, e poi le emozioni, le relazioni, le meditazioni, i gruppi musicali, i darshan in cui si parlava con Osho, i darshan d’energia e ogni giorno i suoi discorsi. Pensavo che non sarebbe mai finita. E chi pensava al futuro comunque?

Nella primavera del 1981 avevo scritto a Osho una lettera per chiedergli se dovevo andare a trovare i miei genitori in USA, per due settimane. La risposta arrivò attraverso Laxmi: “Dice che puoi andare, ma resta per qualche mese”. “No, due settimane” la corressi, fermamente convinta di voler tornare subito. Ma lei insisté: “Dice di stare qualche mese”. Quando alla fine mi arresi e comprai il biglietto, mi ritrovai sullo stesso volo per gli Stati Uniti di Osho, ma un giorno dopo. Aha!

Tornata negli Stati Uniti, viaggiai da un posto all’altro, un po’ persa, in attesa di potermi unire alla Comune in Oregon. Dopo circa sei mesi feci le valigie e partii.

 

 

Rajneeshpuram: una festa continua


Rajneeshpuram fu meraviglioso fino a che non lo fu più…

Di nuovo la gioia di stare insieme con devozione, con il maestro, ma questa volta nella nostra città! Feci molti lavori diversi, tra cui raccogliere la spazzatura per tutto il Ranch, e nell’ultimo anno, lavorai con gli addetti alla sicurezza. 

Tutti sentivamo una corrente sotterranea sempre più strana nel campo. Ricordo l’angoscia comune, apparentemente immotivata, gli strani sogni e come ci chiedevamo a vicenda: “Come stai? È tutto così intenso in questi giorni”, pensando, da buoni discepoli, che ciò che sentivamo facesse parte del nostro processo di crescita. Cosa che, in definitiva, era vera, ma che ci impediva di interrogarci su ciò che stava accadendo veramente intorno a noi. Percepivamo qualcosa di doloroso, anche se, a differenza di alcuni, non eravamo a conoscenza di nessuna delle strane cose che stavano succedendo, come le intercettazioni telefoniche o gli avvelenamenti.

 

Europa


Anche quando tutto venne alla luce, non compresi mai gli eventi pazzeschi e drammatici del Ranch. Ricordo solo la certezza di essere su quella barca insieme a Osho, ovunque stesse andando. Dubitavo di tutto, ma non di lui. Quando Osho fu costretto a lasciare gli Stati Uniti, ero così arrabbiata che non volevo più viverci. Andai in Germania, al centro di Colonia. Poi in Italia. Alcuni mesi dopo Osho sbarcò in Grecia. Con i pochi soldi che mi restavano, salii su un aereo per Creta. 

Finalmente ero di nuovo con il mio maestro. Ricordo la beatitudine di sedere con lui la mattina e la sera mentre parlava sotto un gigantesco carrubo, circondato dal mare. 

Lì vidi Anugito per la prima volta: stava scattando foto per il Dutch Rajneesh Times, ma non ci parlammo. Dopo alcune settimane, Osho fu deportato e di nuovo ci sparpagliammo tutti in ogni direzione. All’aeroporto, con 200 dollari in tasca, rimasi un po’ a chiedermi dove andare. La Germania non mi piaceva, l’Italia era troppo difficile dal punto di vista linguistico e delle opportunità di lavoro. Forse l’Olanda? Molti di loro parlano inglese e sono gentili e disponibili! La mia pancia disse di sì. Così comprai un biglietto per l’Olanda.

Arrivai alla Comune e mi diedero una stanza. Cominciai a fare letture di Tarocchi in un bar per pochi fiorini. 

Rincontrai Anugito e, mentre le storie d’amore vanno e vengono molto ve­locemente, specialmente nel mondo dei sannyasin, degli eventi al di fuori del nostro controllo ci fecero restare uniti e, incredibilmente, stiamo ancora insieme oggi!

 

 

Pune 2: al servizio del maestro

 

Nel momento in cui fu chiaro che Osho stava ricominciando a fondare una nuova Comune a Pune, partimmo al più presto possibile.

Circa sei mesi dopo Osho mandò un messaggio a Kamal, il co-direttore del Center for Transformation della Multiversity, chiedendogli di invitarmi a offrire i miei workshop di danza a Pune, cosa che feci per anni.

Guardandomi indietro, vedo che Osho mi ha offerto il palcoscenico per espandere l’energia che stava crescendo dentro di me, per fare errori e imparare. Ha permesso alla mia grezza energia creativa di uscire con tutta la sua passione e, nello stesso tempo, mi ha esposto a tutta l’immaturità della mia mente: i bisogni, le strategie, la motivazione, l’invadenza, l’ambizione. Il sostegno ricevuto da Osho ha permesso al mio lavoro di cristallizzarsi sempre di più in intensità, forza e creatività. È stata una tale gioia mettere il mio lavoro al servizio del maestro.

Intorno al 1991-92, Kaveesha fondò la Mystery School. Quando partecipai all’Alchimia presentata da Wadud (ora Prasad), sentii che era quello che stavo esplorando nei miei gruppi, senza veramente capire cosa fosse. 

Il lavoro con il cuore, essenziale per la trasformazione, era il dono che Kaveesha aveva compreso e vissuto. Trasmetteva l’amore per se stessi e l’accettazione; lavorava da uno spazio di amore, un approccio molto diverso dal solito metodo terapeutico molto più conflittuale. Era aperta a tutte le persone folli e uniche che non si adattavano in nessun altro posto alla Multiversity. La Mystery School seguiva il flusso di ciò che appariva “giusto” nel momento, piuttosto che seguire regole o piani. Sentii una spinta magnetica verso questo approccio e continuai a fare gruppi e a lasciarmi coinvolgere.

Un giorno andai a parlare con Garimo, la responsabile della Multiversity, e le dissi che volevo portare il mio lavoro nella Mystery School, perché il modo in cui le cose erano insegnate era lo stesso modo in cui conducevo i miei gruppi. Mi disse di sì!

Ho imparato tantissimo da Waduda e Wadud (ora Leela e Prasad) che erano gli insegnanti della Mystery School. Compresi profondamente la trasformazione alchemica che accade durante le meditazioni di Osho e nella danza, e potei affinare il lavoro di trasformare l’energia e le emozioni, arrivando al silenzio e alla chiarezza attraverso il corpo e il movimento.

Quando Osho lasciò il corpo, nel 1990, le cose iniziarono a cambiare. Un anno dopo Kaveesha partì per gli Stati Uniti, l’anno seguente Wadud e Waduda si unirono a lei per iniziare una Osho School a Sedona. Proprio in quel periodo, per “coincidenza”, mia madre mi scrisse per invitare me e Anugito ad andarla a trovare a Sedona, dove quattro anni prima aveva comprato una casa, e ci pagò persino il biglietto. Quindi andammo negli Stati Uniti e restammo con i miei genitori per tre settimane. Nella nuova Mystery School trovammo circa 20 persone, tutte provenienti da Pune o da altre zone degli Stati Uniti. Il messaggio non avrebbe potuto essere più ovvio! Fu bellissimo a Sedona, ma sebbene mia madre si fosse offerta di aiutarci a trovare casa, tornammo comunque a Pune. Non riuscivo a sopportare di lasciare la Comune e ci restammo per un altro anno, cercando di fare funzionare le cose, finché non lasciammo andare per seguire… l’inevitabile. Nel 1995 partimmo per Sedona...

 

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Maneesha