Osho Vipassana

Osho Vipassana

"Un tempio che contiene"

Un articolo di BHALIA pubblicato su Osho Times n. 318 cartaceo e digitale

 

Meditation


Non era il mio primo gruppo di Vipassana. Avevo già partecipato, sempre a Osho Miasto, alla prima Maha Vipassana qualche anno addietro, quella dei 100 Buddha. Mi era piaciuta molto. Era un tardo settembre, se non erro, e alla fine eravamo tanti fiori che sbocciavano, o tante farfalle che volteggiavano e svolazzavano tra le alture toscane a passo lento, emanando quella fragranza che solo in certi casi si respira, quando la consapevolezza si espande senza alcuna ragione, senza alcun perché, solo per amore, solo per passione, solo per presenza.

Così a novembre scorso, o forse era ottobre, decisi, dopo un anno, il 2024, di tante fatiche e strade in salita, oramai quasi concluso, di ripercorrere quello stesso sentiero, vogliosa di iniziare il 2025 con un altro passo, nel silenzio, nel rispetto di me e in un posto sempre unico e speciale come Miasto.

Sono arrivata a Miasto dopo un breve trekking in terra toscana, la Maremma, decidendo così di poter sia dedicarmi a un’attività tonica e all’aria aperta nella scoperta di luoghi non conosciuti e tutti da scoprire, sia concludere la mia vacanza in uno spazio di meditazione e di rigenerazione. Peraltro, la presenza di Shunyo e Marco stavano a indicarmi, come un faro, la garanzia della proposta e della scelta.

La Vipassana non richiede molte parole, sia nella spiegazione che nella conduzione più in generale, a parte la possibilità di poterci avvalere dei momenti a tu per tu con Shunyo, a sostegno del gruppo e della meditazione, che dava spiraglio e respiro all’intensità del processo, già di per sé intriso di contenuti e nel contempo di niente.

Gli occhi bassi, l’atteggiamento schivo, qualche sorriso qua e là per sentire un po’ di sostegno dai volontari dello staff; i pasti del pranzo e della cena, a compensazione di una fatica che non è fatica, di uno sforzo che non è sforzo, di un’azione che non è azione, di un pensiero che non è pensiero, di una partecipazione che non è partecipazione. E anche il dopo cena con la Devavani, una meditazione in cui ritorni un piccolo bimbo e dici cose senza senso e ti muovi solo fluendo, accarezzando l’aria e abbracciando il tutto o forse niente.

I primi giorni, circa due, mi sono sembrati tristi: non si comunica, non si legge, non si scrive, niente social, niente di niente... E così ho cominciato a comprendere quanto condizionamento c’è dietro a tutto questo e che forse la tristezza arriva proprio da lì.

Sì, perché nella nostra società l’isolamento è una sorta di punizione; basti ricordare quando da bambini, almeno per la mia generazione, ci mettevano in castigo dietro alla lavagna; o quando gli ordini dall’alto ci impartivano di sospendere ogni contatto con i compagni, con la comunità scolastica, con ogni distrazione piacevole, con ogni gioco, con ogni attività che ci potesse far sorridere. Ancora oggi la sospensione scolastica è usata per infierire sul povero malcapitato, per non parlare di quanto l’isolamento sia usato nelle forme detentive, di ogni tipo e grado.

Di recente avevo letto un brano su Osho, in cui da ragazzino il padre lo chiudeva in bagno per “punizione” e lui, bellamente, utilizzava quello spazio per meditare, al punto che poi tutti si chiedevano cosa stesse facendo, stupiti, e constatando che alla fine per Osho non era la punizione

“giusta” perché lui ne usufruiva a proprio vantaggio e con gratitudine!

Un’opportunità!

In qualche modo arrivai alla stessa comprensione, decidendo di connotare questa nuova “condizione” di gioia anziché di pena e di tristezza! Quanti condizionamenti ci portiamo dietro, ma basta solo soffermarci un momento per rovesciare il senso delle cose e trovare significati altri che ci nutrono anziché deprivarci!

E poi la “camminata”: 45 minuti di silenzio e poi per 15 minuti si cammina, lenti sempre più lenti, tutta l’attenzione al movimento, ai piedi, al respiro, all’osservazione, al nostro corpo, all’aria che ci circonda, ai caprioli che a un certo punto ondeggiavano dietro i vetri della Buddha Hall, quasi a salutarci leggiadri per poi correre via, innocenti e liberi!

Questa camminata leggera mi ha dato altre comprensioni sul percorso meditativo, comprensioni importanti che mi hanno detto che il corpo è il mio tempio, una frase ricorrente, ma cosa significa davvero? Quante volte l’avevo ripetuta a me stessa, forte del dare valore al mio corpo e alle sue potenzialità infinite.

Finalmente riuscivo a comprendere che era tutto lì: il sentire i miei piedi, il loro movimento, il respiro… È un tempio che contiene, è un tempio che racconta, è un tempio che dice di noi stessi, è il filo che ci permette di connetterci con noi stessi, è ciò che ci riporta al presente, è il qui e ora, sempre a disposizione, sempre lì; un tempio che conduce “a”, un tempio che ci ricorda, un tempio che ci dà possibilità infinite, un tempio che ci dice che siamo energia, vita, amore!

Per questo il corpo è il nostro “tempio”, è sempre lì a ricordarci delle infinite possibilità di sentire, di tornare a connetterci e a comprenderci: sentire il movimento dei piedi, la forma, la loro energia, lo spazio dentro, il respiro… Cos’è se non

un tempio?

E poi l’osservazione, ma chi osserva? Di nuovo dentro a osservare pensieri, sensazioni, emozioni, un flusso in divenire con un testimone che guarda, ma chi guarda? Domanda ricorrente e continua, ma senza risposta. L’infinito? Il vuoto? Lo spazio? Non c’è un nome, solo osservare e forse per piccoli attimi cadere nell’infinito per poi risorgere e osservare. Il niente di niente di niente, solo una dimensione, un tempo che ci abbraccia tutti e ci colma di bellezza e abbondanza, senza la ricerca di perché, di significati, di spiegazioni, solo essere per essere senza uno scopo.

Qualche volta mi sono chiesta, dentro, in silenzio: “Una volta concluso il processo, come rientro alla superficie? Con quali propositi, in una forma nuova?”. Non c’erano risposte chiare, ma solo l’intento di esprimermi dalla bellezza, di attingere dalla parte di me più nascosta, dalla mia essenza, dalla mia ricchezza interiore, dalla mia infinita possibilità di… Per dare, dare, dare, come un’onda che non trattiene e che vuole riversarsi nell’oceano con tutta la sua potenza e infinita forza ed energia! Da qui sentirmi unita a un centro che accomuna tutto e tutti e l’infinito rispetto per tutto e tutti, per ogni forma di espressione vera e genuina, nel comprendere, nel capire, nel contenere, nell’amare. Questo il senso della vita? Forse, ma è solo una domanda, nulla più, niente risposte, solo lo spazio che permette di...

 

Il gruppo finisce, come ogni cosa finisce e muore, racconti, condivisioni, sorrisi, un cerchio, gratitudine, a noi, a Miasto, a Shunyo, che come una madre ci ha raccolti tutti negli incontri a tu per tu e ci ha portati con sé, con dedizione, con amore, con rispetto, con sollecitudine, con incitamento, con compassione.

Un breve commiato davanti al “dolce” di Miasto, nella dolce Miasto… I saluti e poi ognuno di noi rientra nel proprio mondo ordinario di cose e di azioni, forse diverso, forse più profondo, forse tante cose e non sempre descrivibili e circoscrivibili, ma certo è rimasto nella memoria un cerchio, un cerchio magico di infinite possibilità. 


 

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