Fino ai pori dell‘anima

Fino ai pori dell'anima

Siddho ci racconta la sua India...

Un articolo di SIDDHO pubblicato su Osho Times n. 172 cartaceo e digitale

 

India


Avevo appena finito gli esami universitari, ma non ancora discusso la tesi, volevo riposarmi qualche mese prima di riprendere e terminare una tappa importante della mia vita. Con alcune amiche avevamo deciso di fare un viaggio “via terra”, da Milano all’Afghanistan... in tre mesi!

A due mesi dalla partenza tutte le altre quattro mi dicono che hanno cambiato idea, chi per il fidanzato, chi per paura del viaggio, chi perché... non sapeva esattamente perché. Mi ritrovo sola, con una gran voglia di Oriente, una certa testardaggine e un senso interiore molto forte di richiamo verso lo sconosciuto...

Prima coincidenza, proprio in quei giorni incontro i primi sannyasin a un festival: vestiti d’arancione, barbe lunghe, occhi luminosissimi, ampi sorrisi e un’energia che sprizzava gioia da ogni poro, senza motivazione apparente. Mi avvicino e chiedo informazioni: mi dicono che hanno un maestro che vive a Pune, in India.  Partecipo alla mia prima Dinamica, musica dal vivo alle 7 della mattina, e ho un’esplosione di energia incredibile: dopo la meditazione mi ritrovo a correre nel verde per un’ora, tra lacrime di gioia e stupore nel sentirmi viva forse per la prima volta. Tornando a Milano vado nel piccolo appartamento, un po’ in periferia, dove si tenevano meditazioni qualche sera alla settimana e comincio a chiedere come si può andare in India: voglio conoscere quel “genio” che ha creato queste meditazioni e che ha detto certe cose che corrispondono esattamente a ciò che sento dentro, ma che pensavo nessuno potesse capire (in qualche giorno avevo già letto un paio di libri di Osho). E così, invece che in Afghanistan, mi ritrovo all’aeroporto di Bombay, con qualche nuovo amico e in uno stato di meraviglia totale. Era l’ottobre del 1978. 

All’uscita dall’aeroporto... con tutti i mendicanti intorno che chiedono l’elemosina e mostrano tremende amputazioni e invalidità varie, la cosa mi impressiona molto, ma mi accorgo dopo qualche istante che nell’aria, oltre a una puzza quasi insopportabile, oltre a una povertà così scioccante, c’è qualcosa che mi affascina, una sorta di gioia sottile, di rilassatezza nel caos più inimmaginabile. Gente che ti sorride anche alle tre di notte, magari  offrendoti un chai... 
Vedo qualcosa che è l’opposto dell’occidente: tutto tremendamente  caotico, ma miracolosamente fluido, tutto povero, ma incredibilmente rilassato, tutto sconosciuto, ma incredibilmente familiare.

Le mie prime parole furono “È l’altra faccia della medaglia” e questa sensazione me la sono portata dentro per molti anni; sì, l’India è l’altra faccia della medaglia, qualcosa che la mente occidentale non conosce. L’aria mi è sempre sembrata meno “densa” di pensieri. Tutti i mezzi di trasporto che rallentavano davanti a una mucca bianca sdraiata in mezzo alla strada, l’indiano che ti vendeva un cuscino e dopo tre giorni vedendoti passare ti salutava per nome.

La persona che al mercato vendeva solo pomodori per un centesimo al chilo da tutta la vita, eppure aveva un sorriso che racchiudeva un arrendersi alla vita e alla morte di cui noi occidentali non avevamo neppure idea. Ne restai fulminata e affascinata. Col passare del tempo poi compresi anche il limite di quel tipo di “mente”, che ha sviluppato solo l’aspetto introspettivo negando quello materiale per migliaia di anni, ma per un occidentale c’è tutto da imparare da quel rilassamento verso la vita. Credendo nella reincarnazione il senso del tempo si dilata e allo stesso tempo rende il qui e ora qualcosa di estremamente tangibile. Insomma io mi sono innamorata di quest’atmosfera dove la mente occidentale era semplicemente “costretta” a rilassarsi, dove il nostro nevrotico “fare” era guardato con compassione e meraviglia!

E poi l’arrivo al Resort di Pune, che allora si chiamava ashram.
È primo pomeriggio: entro da quel portone così imponente e allo stesso tempo così “aperto”, mi guardo attorno e ho una sensazione di “unione”... qui, tutto pulito e immerso nel verde. Bambù altissimi, la strada di marmo bianco che lo attraversava... un silenzio particolare, pieno di energia e la voce di Osho che alle due del pomeriggio echeggia dalla Buddha Hall dove diverse persone ascoltavano un audiotape, sdraiate sul marmo fresco.

Qualcosa si rilassa profondamente, mi sento al sicuro, direi a casa dentro me stessa. Come se i pori si potessero dilatare e non solo per il caldo... e non solo nel corpo: i pori dell’anima! Inizia il viaggio più incredibile e affascinante che mi potessi immaginare... un viaggio dentro me stessa, ma insieme a migliaia di persone sconosciute e arrivate da diversi paesi del mondo, occhi che si incontrano e si sorridono senza bisogno di parlare o di conoscersi.

Dopo qualche giorno l’incontro con Osho, allora chiamato Bhagwan; e guardo per la prima volta in occhi che mi rimandano a me stessa, a un senso di vuoto incredibile... e allo stesso tempo l’energia si muove dentro come se tutto iniziasse a scorrere veramente, una sensazione di vita molto nuova: qualcosa di molto potente, simile all’esperienza di qualche mese prima con la Dinamica,  qualcosa non della mente, qualcosa di tangibile e intimo, ma non comunicabile a parole. Scopro con il passare del tempo che questa sensazione interiore ha a che vedere con la meditazione e che Osho usa tutti i mezzi possibili perché si celebri, si danzi e si lavori in uno spazio di presenza e gioia dell’essere. 

Qui non conti per cosa fai – o per la tua professione o per la tua ambizione – qui sei perché sei: dottori che lavorano in cucina, scienziati che fanno i giardinieri, impiegati statali che scrivono articoli, laureande che fanno le lavandaie... io per esempio! Semplicemente magico e il tutto immerso nella magia dell’India.  

La sera, camminando verso casa, la fragranza dei fiori era inebriante e la luna aveva dimensioni mai viste... era enorme, a volte quasi rossa. Dopo l’incontro serale con Osho era come se la magia non finisse, arrivava l’atmosfera di questo paese così antico, così impregnato di spiritualità, così rasserenante.
Certo i rumori e il caos ci sono eccome, ma solo sulla superficie, un po’ più sotto qualcosa si rivela all’anima... un ritmo impercettibile, ma che tocca l’essere, che aiuta a entrare dentro se stessi con facilità e fiducia.

Molte volte sono ritornata in India e ho passato periodi anche lunghissimi al Resort; la vita lì è e rimane un’esperienza di fondamentale importanza nella mia vita: lavorare in uno spazio di osservazione di sé, dinamiche relazionali affrontate e sciolte in uno spazio di “comprensione” della propria personalità e di quella dell’altro, per poi continuare a sperimentare e cercare la dimensione dell’essere, di quella presenza che non può essere né ferita né gratificata.

Quell’atmosfera di “non prendere seriamente” ciò che succede, ma di vederlo con un po’ di distacco e gioco e allo stesso tempo svolgere qualsiasi attività con totalità, è stata una grande scuola. Un giorno ho trovato alcune parole di Osho che esprimono la sensazione interna della totalità con cui ho vissuto – che lui mi ha insegnato – e che continuo a vivere: “burn the candle from both sides”... brucia la candela da entrambe le parti. Dopo una giornata di intensa attività il potersi sedere ogni sera in meditazione – e danza e silenzio – con migliaia di persone  come momento culminante della giornata è stata un’esperienza che ha profondamente trasformato il mio essere.

Il viaggio interiore continua, ovunque siamo e l’India rimane... oggi più occidentalizzata, sempre densa di qualcosa di speciale, basta sedersi e ascoltare... ascoltarsi.

SIDDHO



 


Siddho

SIDDHO a MILANO

 

 

Se apprezzi il lavoro che facciamo, sostienilo acquistandolo: l'articolo è tratto da Osho Times n. 172 che puoi scaricare in versione digitale per soli 2,90 euro - al costo di un cappuccino hai 60 pagine di Osho energy - con un click ce l'hai per sempre sul tuo computer, smart phone, tablet. CLICCA QUI