Smultronställe
Smultronställe
Luogo con fragoline selvatiche
Un articolo di Sahaja pubblicato su Osho Times n. 321 cartaceo e digitale

Sono all’aeroporto di Arlanda a sfiorare i tasti del computer per dar vita all’articolo che mi ero ripromessa di scrivere. Durante il ritiro non ho avuto un minuto libero per dedicarmi alla scrittura. Sarebbe fantastico poter registrare le impressioni e sensazioni col solo pensiero. Ora cerco di ricordare...
Lascio una Toscana arsa dal sole con temperature da mezz’agosto e arrivo in una terra verde scura. La vedo avvicinarsi dall’aereo: alte conifere, prati infiniti, casine rosse sparse qua e là.
Eccoci, siamo arrivati, quindici gradi, pioggerellina fitta, decisamente al Nord: la Svezia.
Io e quello che chiamo il mio “beloved”, Ali – affezionato assistente, relazione del tutto creativo-sperimentale, in divenire, a tratti furiosamente incredibile – arriviamo alla presunta stazione dei treni dove misteriosamente riusciamo a prenderne uno destinato a Avesta Krylbo. Il treno ha un’ora di ritardo a causa di qualcuno che voleva suicidarsi sulle rotaie, ci dicono al telefono Malin e Savya, le organizzatrici del gruppo che andrò a facilitare.
Respiro un’aria fredda di persone ghiacciate e distaccate. Alle mie domande sulle direzioni rispondono con sufficienza, per educazione, non certo per empatia. Sono pronta a ricredermi e a smentire il mio facile giudizio generalizzato, davanti all’accoglienza dalle due simpatiche troll! Sono venute a prenderci alla stazione per portarci nelle casette incantante dell’Oshofors, dove ci aspetta una zuppa fumante.
È una comunità enorme. Mi dicono che ha ospitato rifugiati della seconda guerra mondiale, detenuti dei campi di concentramento, soprattutto donne e bambini, di molte nazionalità. Oltre ad avere una Buddha Hall grandissima e un ristorante per i partecipanti dei gruppi, ha anche una guesthouse e molti appartamenti, alcuni dei quali affittati a sannyasin che abitualmente vengono qua a passare “l’estate”. Verande ordinate con fiori e tavolini, soglie dipinte di bianco che contrastano col rosso cupo del legno.
Non riesco a capire come mai tutte le case sono dipinte di questo colore, anzi, ora che ci penso me lo ricordo, lo chiesi, molto tempo fa, quando venni per la prima volta in Svezia come assistente di Meera. Il rosso Faluröd è un pigmento minerale, estratto dalle miniere locali, ricco di ossido di ferro mescolato a olio di lino e farina di segale, ideale per proteggere il legno dalle intemperie e prevenire la formazione di muffe e funghi. La necessità fa virtù!
Il colore, oltre a essere davvero tipico di queste parti, è anche molto sannyasin, perché assomiglia tanto al maroon (bordeaux) delle tuniche che si indossano all’Osho International Meditation Resort di Pune. Per assonanza, anche il bianco adottato per le rifiniture fa pensare alla white robe (tunica bianca) che si indossa per la meditazione serale. Un infinito verde erba (per l’esattezza PANTONE 15-0343 Greenery) circonda tutto, tappeto ideale per la nostra pittura en-plein-air.
“Oshofors è un Ashram moderno - leggo sul sito ufficiale - che riflette la filosofia di Osho di combinare la meditazione alla vita, indipendente e comunitaria”.
Alle dieci del mattino i membri fondatori e residenti, si ritrovano in cerchio, seduti su grossi tronchi tagliati, a parlare in assemblea. Capelli al vento, guance rosse, occhi eschimesi.
A giudicare dalle facce e dagli acciacchi – impressione poi confermata dai fatti – ci troviamo tra la prima generazione di sannyasin, quella di coloro che hanno incontrato Osho nel corpo.
Col turno di parola condividono problemi da risolvere della comune e tematiche personali. Le decisioni importanti – come ospitare un gruppo di pittura in Buddha Hall – sono messe al voto.
Grazie alla maggioranza posso tenere “Painting from the heart” (Dipingi dal cuore) in Buddha Hall. Qualcuno si è opposto: ovviamente fa paura avere sporchi e caotici pittori in un luogo immacolato. Ma farò vedere loro che un luogo si può lasciare anche più pulito di come lo si trova. Ormai non mi faccio più scrupoli sull’argomento.
Offro subito la garanzia che premia il coraggio e la fiducia. Bisogna dormire sonni tranquilli quando si ospita un gruppo di pittura. È come far entrare un elefante in una cristalleria, ma con un’onnipresente lingua di nylon protettivo su pavimento e pareti si, risolve tutto.
Una bella sauna mi scalda l’anima. Poi scivolo in una notte-non-notte, luminosa al punto di dover indossare la mascherina sugli occhi per far riposare la ghiandola pineale.
Dei rumori nella stanza mi svegliano; sono degli scricchiolii, ho la sensazione che siano passi. Lo dico ad Ali: “Ho l’impressione che ci sia un fantasma nella casa”. Lui ride e trova subito la spiegazione scientifica: “Animali o materiali che si muovono”. Ma Sumito, una donna molto conosciuta da queste parti, che tiene ritiri di Vipassana anche in Himalaya, il mattino successivo mi conferma che ha visto un “uomo” alto e magro sulla soglia. “Non è pericoloso. Era un uomo di origine slava che viveva qua e che ora ‘controlla’ il territorio”.
Rimango colpita dalla testimonianza che dà il via ad altri racconti. E quando più tardi entro nel vuoto e silenzioso appartamento n.17, usato come magazzino temporaneo, vedo un grande telaio congelato nel tempo (o ancora segretamente azionato da mani non più terrene) e chiedo il permesso di transitare in tale luogo protetto: “Sono Sahaja, vengo in pace. Non disturbo. Prendo solo i fogli e i colori per il mio gruppo”.
Non sento alcun tipo di aggressione, piuttosto curiosità e consenso. “Avevano bisogno di una persona dal sangue latino che portasse un po’ di brio da queste parti” penso. Così capisco all’istante che dietro l’invito a facilitare un corso di arteterapia c’è anche una necessità. E questo mi fa sentire utile, forse indispensabile, comunque sia, nel posto giusto, al momento giusto. Chissà quale karma è stato a portarmi qua. Immagino che la risposta sia da cercare nel mio albero genealogico, tra i miei lontani avi…
Imprevedibilmente il giorno dopo mi alzo con un sole che spacca le pietre. Stabile.
Iniziano ad arrivare i primi partecipanti. Io sono di pessimo umore perché ho avuto contrasti di coppia. Non mi posso permettere di covare a lungo questo mood. Così volto pagina alla svelta e scarico a terra tutto lo stress e il malessere momentaneo. Prendo la ferma decisione di lasciar fluire. Tutto si trasforma.
Nella Buddha Hall i miei aiutanti hanno disposto i cuscini in cerchio.
Accendo il computer, vado alla playlist d’inizio, indosso il microfono.
Ci sono un sacco di informazioni da dare su come funziona questo posto. È facile andare fuori tempo, cosa che mi succede spesso. Faccio fatica a stare nelle maglie di una struttura oraria e lascio passare la giornata.
La cuoca indiana vuole andare alla meditazione serale, quindi mi affretto a fare degli esercizi che rompono il ghiaccio prima di fiondarci alla Kundalini.
I partecipanti non sembrano più quelli di prima, le loro espressioni sono cambiate, persino i loro corpi appaiono più elastici, dinamici, vivi. E siamo solo all’inizio!
Il gruppo, formato da principianti e veterani della meditazione e della pittura, si è immerso in modo totale nel Leela (gioco o teatro terreno) da me ideato. I colori, la musica, l’interazione con l’altro e la natura sono stati gli ingredienti per una ricetta di risveglio vitale comprovato. Avendolo vissuto a più riprese in prima persona, con Meera, mia amata maestra, posso mettere la mano sul fuoco che questa combinazione è un toccasana per la salute fisica e mentale delle persone.
Il gruppo, seppur piccolo, è variopinto.
Non mancano personaggi atipici e tipicamente artistici, che rendono le giornate movimentate. Abbiamo una tavolozza di toni fluorescenti, cangianti, vividissimi, desueti, stridenti, di individui che si sentono al margine, outsider, a disagio, non appartenenti, non convenzionali.
L’arte accoglie tutti. Anche coloro che si sentono banali, “niente di speciale”. Ed è sempre una ricchezza facilitare, talvolta una sfida.
Ringrazio Osho per averci lasciato la Meditazione Dinamica, occasione preziosa per fare autoterapia. Mi rendo conto però che potrebbe non essere indicata per alcuni partecipanti, forse controproducente. Così aziono il mio melting-pot e propongo meditazioni mattutine che cambiano costantemente nel tempo. Sovverto l’ordine. Colgo l’imprevisto. Offro un “campo med” all’interno di un ritiro di pittura, in modo da far fronte a tutti i bisogni, gusti e sensibilità. La mia strategia sembra funzionare, eccetto per una partecipante che vedo decisa a sovvertire lo status-quo del momento. Penso che famosi terapisti la butterebbero fuori.
Ha un corpo da vichinga, uno sguardo intenso che sta a metà via fra gatta siamese e strega d’altri tempi. In realtà è molto più vera di molti altri che mettono filtri e si trattengono. Lei è diretta, a tratti spietata. Alza la voce, s’infuria con la persona davanti. Poi silenzio. Dopo dichiara di sentirsi accolta e di amare tutti. Condivide i suoi traumi, piange, chiede attenzione che poi respinge. Nonostante la sua personalità forte, la tribù di artisti la integra nel suo gioco di contrasto.
Riproduciamo in scala ridotta ciò che succede là fuori, nel marketplace; possiamo esercitarci a convivere fra di noi per poi applicare la nostra arte nella vita.
Usiamo la pittura come strumento evolutivo. Niente a che fare con il metodo accademico, il principio del chiaroscuro, la teoria dei colori. Questo ritiro mette in connessione l’emisfero destro del cervello (quello più atrofizzato nella società efficentista odierna) al nostro cuore. Significa dare spazio all’intuito, senza sentirsi sbagliati o negati.
Tutti possono dipingere con questi presupposti. E anzi, più siamo neofiti, più siamo innocenti e aperti alla sperimentazione. Meno ne sappiamo di arte e meno siamo condizionati. All’interno del corso do solo qualche tocco di tecnica al momento opportuno, per costruire un modo personale di dipingere i volumi e tutto il resto è un’operazione di smantellamento di costrizioni di mala educazione e idee limitanti.
Partiamo proprio dai blocchi creativi che si sono formati nella nostra infanzia e che hanno compromesso la nostra creatività, senza che ce ne siamo neanche resi conto. I blocchi creativi ci costringono da adulti a scegliere un lavoro che non ci piace, una relazione che non ci corrisponde, un luogo che non sentiamo nostro, una vita che non abbiamo scelto.
Chiedo ai partecipanti di rievocare un ricordo d’infanzia: “Quando ti divertivi ed eri tutt’uno con l’attività che stavi svolgendo”.
È necessario partire da lì.
La pittura potrebbe essere un mero esercizio frustrante, puro virtuosismo, addestramento. Occorre disimparare ciò che abbiamo imparato per poterci adattare a un’organizzazione sociale piena di etichette e valori manipolati in nome di interessi commerciali, politici e religiosi.
“Hai dei giochi accanto a te; provali, usali come se fosse la prima volta che li vedi!” invito i partecipanti, riferendomi al set di colori e pennelli.
Metto tracce musicali di carillon e cartoni animati. Le persone sorridono. I “bambini” in Buddha Hall iniziano a muoversi con innocenza e curiosità lasciando segni freschi, senza pretese. Torniamo bambini per emanciparci dalle forme di giudizio inculcate dagli altri, ma anche e soprattutto personali. Quel giudizio che ci taglia le ali: “Sei sbagliato, non hai il diritto di esprimerti liberamente”.
Quell’antica credenza che si è impossessata delle nostre cellule inizia a dissolversi con lo spruzzino che scioglie il colore in modo imprevedibile, conducendoci nei luoghi inesplorati della creatività.
“Dipingere dal cuore”, il titolo di questo ritiro, significa fidarsi del proprio talento naturale, come facevamo da piccoli. Apriamo le ali per spiccare il volo. Riscopriamo la nostra voce, autenticità, unicità, bellezza. Impariamo a riconoscere e comunicare la nostra vera natura, in primo luogo con noi stessi e poi con gli altri, affinché si stabiliscano relazioni vere, nutrienti e consapevoli.
Percorriamo insieme il sentiero del ritorno a casa, divertendoci, celebrando il miracolo della vita. Ci sono talmente tanti modi di creare qualcosa di nuovo in modo unico e inimitabile! La pittura è solo una metafora.
Come dice Osho: “Esisti solo tu come tu, non sei la copia di nessun altro, senza di te l’esistenza sentirebbe la tua mancanza, senza di te l’esistenza avrebbe un posto vuoto che solo tu puoi riempire”.
Ebbene sì, sembra scontato, ma occorre esprimerci per non reprimerci e deprimerci.
Come una DJ al mixer, scelgo nel mio repertorio le tre metamorfosi dell’evoluzione di Nietzsche: cammello, leone, fanciullo. Osho ne parla per far capire gli stadi evolutivi dell’essere umano per arrivare a essere in contatto con la propria spontaneità.
Chiedo di formare coppie.
Cammelli, con totale obbedienza, eseguono gli ordini delle autorità: “Traccia un quadrato rosso nel centro nel foglio!”, “Disegna una diagonale blu!”.
L’energia nella Buddha Hall è pesante. I dipinti appaiono forzati. I cammelli eseguono a comando gesti totalmente automatici, senza passione. L’autorità, sovrana, abusa del potere, perché chi ha davanti si comporta come schiavo.
Suono i cimbali. I cammelli si trasformano in leoni. Non c’è ordine
che venga eseguito. Tutti sovvertiti! Schizzi di acrilico si sollevano in aria, risate di sfida. L’autorità alza il volume perché non viene ascoltata. Dipinti caotici, esplosivi, fuori controllo. I leoni investono un sacco di energia nell’essere ribelli. Escono dal foglio. Arrivano delle gocce di nero persino sulla mia tuta! Adoro questa fase,
mi ricorda l’adolescenza. E anche momenti di oggi nei quali prevale
il mio ego.
Suono di nuovo i cimbali. Adesso i leoni si trasformano in fanciulli. E qui avviene il miracolo. I dipinti divengono autentici, belli, meravigliosi. Le indicazioni sono messe in discussione, momento per momento. A volte i fanciulli eseguono gli ordini dell’autorità, a volte no, in accordo con il loro sentire. L’autorità interagisce con il fanciullo in modo divertito. Da tiranno si trasforma in persona amorevole che quasi scorda il suo ruolo. Il fanciullo mette in pratica il vivere in profonda connessione con la sua verità e libertà.
È proprio ciò che intendo veicolare ai miei partecipanti.
Suono i cimbali indicando di scambiare i ruoli, in modo che tutti possano vivere l’esperienza nei vari stadi evolutivi. Vorrei dare il mio contributo per costruire una società sana felicemente spontanea e la pittura è uno specchio eccellente per rendere visibili i nostri comportamenti. L’esercizio dà i suoi frutti e i pittori condividono l’espansione della propria consapevolezza.
L’ultimo stadio, quello del fanciullo è in realtà utopistico. In ultima analisi, forse solo le persone illuminate possono davvero raggiungerlo. Ma è una buona direzione verso la quale puntare, se vogliamo mettere fine alla stupida lotta di prevaricazione.
È il momento della condivisione.
Le risate si alzano nella Buddha Hall. C’è chi si rende conto di essere cammello nella vita quotidiana, chi leone, chi leone travestito da cammello o viceversa.
E poi continuiamo il dipinto. Dopo questi estremi, avendo trovato lo spazio del fanciullo, inizia il flusso di dipinti senza sforzo, dipinti che si dipingono da soli. Prendo uno straccio e facendolo girare sui colori, formo una spirale che mi fa sorridere.
“Questo è il paradiso terrestre” penso. Quando tutti sono in contatto con la propria natura, quando tutti dicono sì a loro stessi, la Buddha Hall inizia a respirare un’aria magica, sospesa, incantata. Nessuno parla, ognuno è immerso nella propria dimensione che non ha spazio né tempo. È una vera meditazione.
“Il bambino è l’innocenza. Non è obbedienza, non è disobbedienza; non è fede, non è incredulità: è pura fiducia, è un sacro sì all’esistenza, alla vita e a tutto ciò che contiene.
Il bambino è il culmine della purezza, della sincerità, dell’autenticità, della ricettività e dell’apertura all’esistenza”.
(Osho, Zarathustra. A God that can dance)
Metto “Colori” di Angelo Branduardi, una canzone del 1979, mentre ci facciamo il ritratto a vicenda. Di solito non suono musica italiana, ma qui ci sta proprio bene. Mi manca tornare alla musicalità della mia lingua madre.
“È il volto tuo che ho disegnato
Chino per terra io l’ho dipinto
Ho usato il nero per i tuoi occhi
E bianca sabbia per la tua pelle
Quando la pioggia l’avrà lavato
E i tuoi colori confuso
E quando il vento sarà passato
Sarò alla fine guarito”.
Non si tratta di cogliere la somiglianza, ma di incontrare l’altro. I miei cimbali scandiscono tempi alternati per essere in posa e dipingere. Ognuno è pittore e immediatamente dopo modello. Dagli inchiostri piano piano arriviamo a definire, con gli acrilici, il primo piano del nostro partner pittorico.
Osho ci ricorda che “Ogni ritratto dipinto con sentimento è il ritratto dell’artista, non del modello”.
Passiamo dal ritratto all’autoritratto, usando una tecnica inventata da Meera che distrugge la vecchia idea di noi e butta giù le nostre maschere. Dipingiamo, col solo color antracite, il nostro volto originario che appare piano piano dall’oscurità.
Oggigiorno è diffuso l’uso della chirurgia plastica.
Quando metto un brano audio di Osho che dice: “Nel momento in cui accetti te stesso diventi bello” mi chiedo se coloro che hanno irreversibilmente cambiato il loro volto, ora non più autentico, ne sentano il rimorso.
Dopo aver sperimentato la tecnica delle forme e sfumature, indispensabile per avventurarci nella natura, ci perdiamo nei meandri dell’Oshofors. Vedo dei puntini sfocati e colorati in lontananza come fosse un quadro di Seurat e invece, mettendo a fuoco, si tratta dei miei partecipanti che si sono fusi col paesaggio.
Da qui parte l’Open Studio, ovvero due giorni nei quali i partecipanti sono in libertà, a dipingere en-plein-air. Mi commuovo nel vedere quanta passione mettono in ciò che fanno. I loro cuori sono traboccanti di desiderio di dipingere. Il dialogo fra il proprio paesaggio interiore e quello esteriore entra in atto. La stagione ci vuole bene, regalandoci sole e temperature gentili.
Una partecipante sceglie il luogo apparentemente desueto di una vecchia piattaforma su un lago paludoso. Mi parla delle leggende svedesi: “Quando vedi la nebbia in realtà sono fate che danzano. Se senti una melodia sulle sponde di un lago, attenzione all’uomo nudo che suona il violino e seduce le persone per affogarle”. Poi mi racconta che, fra le tante cose, è anche botanica e mi porta in un sentiero con delle fragoline selvatiche piccolissime (smultron).
“Da piccola andavo sempre a cercarle” mi dice con gli occhi umidi. Smultronställe in svedese significa letteralmente “luogo con fragoline di bosco”, ma nel suo significato più profondo si riferisce a “un posto speciale, magari segreto, dove ci si sente in armonia con il mondo, un luogo del cuore” mi spiega. Ne mangio una e mi sento all’istante fortunata.
Col sapore della smultron in bocca vado a trovare tutti nel punto che hanno scelto, il loro speciale studio all’aria aperta.
“Ora io sparisco. Li lascio in pace” penso mentre mi metto a dipingere vicino al torrente, fra la vegetazione di felci e muschio. Una libellula si avvicina. Ci sono dei riflessi che non riesco a descrivere con i colori. Il suono del fiume mi rilassa e m’incoraggia a trovare un mio modo. Una zecca, incuriosita dal sangue latino, si infila nella mia gamba destra, ma me ne accorgo soltanto quando bisogna inaugurare l’esposizione finale. Abbiamo invitato tutte le persone che si trovano all’Oshofors, c’è una torta gluten-free.
Il piccolo utensile manovrato da Dhyan, membro dell’Oshofors che sembra avvezzo a risolvere questi problemi, sfortunatamente non basta a togliermi del tutto l’aracnide gonfio, così Ali mette in pratica la sua formazione di veterinario e mi “opera” su un lettino improvvisato nella sala da ping-pong.
Sopravvissuta, ricevo un applauso.
Gli svedesi sono contenti del mio operato, le organizzatrici mi pagano e mi chiedono di tornare. La cifra è devoluta a finanziare il mio prossimo viaggio in India. Sarà un’avventura andare ad agosto fra i monsoni, ma oramai io e Ali abbiamo già un visto e un contatto in un villaggio di artisti.
I dipinti della mostra? Semplicemente dipinti dal cuore. Belli, intrisi d’amore. Visti dal mio sguardo perfezionista e deformato professionalmente, alcuni appaiono più naïf e altri più evoluti, prospetticamente e pittoricamente. Alcuni mettono in pratica i miei insegnamenti, altri sono del tutto anarchici. Mi chiedo se, da parte dell’autore, è una scelta o un fallimento. Comunque sia, è una buona notizia il fatto che alcuni individui mettano in pratica la propria libertà di spirito, incondizionatamente, senza cercare di accontentare la facilitatrice! I dipinti dal cuore sono semplicemente sinceri e autentici. Brillano di luce propria. L’obiettivo non è il risultato.
Le mie organizzatrici hanno creato invece dei capolavori mozzafiato, pronti per essere incorniciati. Li potremmo vedere esposti in qualche galleria, stampati in qualche libro di storia dell’arte. Una donna mi chiede se il mio dipinto del fiume è in vendita. Io rispondo balbettando, impreparata, rendendomi conto di quanto ho ancora da lavorare sul marketing.
Me ne vado con un rotolo di dipinti miei e di Ali da dissimulare in aereo. Ci accorgiamo di colpo di essere al sud. L’aeroporto di Firenze appare assurdo rispetto all’organizzazione nordica. Rumore, ritardi, caos, sudore. Torno alle radici dalle quali ripartire. Quelle radici che mi permettono di essere me, quelle radici senza le quali non si vola.
Sahaja
(traduzione dei testi di Osho di Sahaja)
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