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La nostra saga in Oregon

Il sorprendente successo di un massacro mancato 

Da un articolo di Subhuti
apparso sulla pagina Facebook di Osho Times

 
Siddho all'OshoFestival


Osho sta facendo notizia: l’uscita della serie in sei episodi “Wild Wild Country” su Netflix ha innescato un rinnovato dibattito sulla decisione di questo mistico di trasferirsi dall’India in America nel 1981, e di nuovo si parla della costruzione di Rajneeshpuram, la nostra comune spirituale, un Ranch di 120 miglia quadrate nel cuore dell’Oregon. 

Le recensioni dei media si sono concentrate sul fatto che questa serie di documentari ha raccontato accuratamente la storia, e la maggior parte delle testate approva. Qualcuno rileva una mancanza di “durezza” nei confronti dei “Rajneeshi”, visto il disturbo che abbiamo causato. Altri dicono che quei docufilm nel loro insieme non mettono in luce l’atmosfera d’amore che esisteva tra i residenti del Ranch, l’enorme entusiasmo con cui abbiamo creato la nostra città, e il potere di trasformazione dell’esperimento di “Wild West” tentato da Osho.

 

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Per me, che ho vissuto e lavorato dall’inizio alla fine in quello che chiamavo familiarmente “il Ranch”, la rivelazione più sorprendente è arrivata improvvisamente una notte, dopo aver visto l’episodio finale. Mi sono reso conto, con un certo stupore: “Wow, sono ancora vivo! Non sono stato ucciso!”

Non solo io, naturalmente. Nessuno è stato ucciso, da nessuna delle due parti. Considerando l’intensità delle emozioni che erano state sollecitate, la potenza di fuoco delle armi presenti su entrambi i fronti e la determinazione dell’amministrazione Reagan a sbarazzarsi di noi, questo è stato un vero miracolo.

La cosa strana è che non ho provato quello stesso stupore mentre ero al Ranch, nell’autunno del 1985, quando la polemica crebbe fino al suo culmine. Non credevo che la mia vita fosse in pericolo. Mi sentivo immune, protetto nell’ingenua convinzione che Osho, in quanto essere illuminato, potesse gestire qualsiasi cosa e che avremmo sempre trovato il modo di uscirne bene.

 

Soltanto adesso, dopo aver visto questo docufilm e ascoltato i commenti di avvocati, politici e funzionari federali, capisco quanto fummo vicini a un bagno di sangue. Non che qualcuno avesse l’intenzione di scatenare una sparatoria, ma il modo in cui la pressione si era accumulata, stava rendendo la cosa praticamente inevitabile.

Mi sono ricordato della tragedia di Waco, in Texas, avvenuta qualche anno dopo, nel 1993, quando scoppiò uno scontro a fuoco tra i seguaci del leader spirituale David Koresh e gli ufficiali federali che stavano facendo irruzione nella sua proprietà. Dopo le prime vittime da entrambe le parti e un assedio durato 51 giorni, l’FBI si mosse con l’intenzione di distruggere il ranch di Koresh, utilizzando i gas lacrimogeni. Nella proprietà divampò un incendio che uccise 76 membri del gruppo dei davidiani.

A me, circondato da amici nel Ranch e sorretto dall’atmosfera ottimista e allegra che pervadeva la nostra comunità, nulla sembrava meno probabile. Durante il giorno si lavorava, la notte si ballava in discoteca e tranquillamente si scherzava sui cambiamenti che ci stavano travolgendo. Di sicuro, rimasi sorpreso dall’improvvisa partenza della segretaria di Osho, Sheela, e sconvolto dalle rivelazioni dei crimini che i suoi fedeli luogotenenti avrebbero commesso. Ma ero anche felice che Sheela se ne fosse andata e apprezzavo la nuova amministrazione del Ranch, guidata da un gruppo di persone ricche chiamate “gli hollywoodiani”, che comprendeva la nuova segretaria di Osho, Hasya: la conoscevo personalmente e mi piaceva.

 

Il dramma che si svolgeva intorno a me sembrava quasi un gioco di pubbliche relazioni. Guardavo con una sorta di distaccato divertimento giornalistico il fatto che Osho avesse invitato l’FBI e la polizia di stato a indagare sulle attività illegali di Sheela. Arrivarono i poliziotti e sembravano abbastanza amichevoli, almeno all’inizio. Ma l’atmosfera ben presto cambiò, quando la polizia ottenne mandati di perquisizione per tutti gli edifici del Ranch. All’incirca nello stesso periodo, iniziai a sentire voci secondo cui sarebbero state emesse accuse federali atte ad arrestare Osho e altri leader della Comune.

Mi recai a una riunione della Comune dove Niren, nel doppio ruolo di avvocato di Osho e sindaco della città, ci diede consigli su come comportarci se, o quando, si fosse verificata una massiccia invasione delle forze dell’ordine: avremmo dovuto stare fermi, o muoverci molto lentamente, senza fare movimenti improvvisi, e, se arrestati, pronunciare le parole magiche: “Voglio vedere un avvocato”. Niren lanciò il suo avvertimento in modo scherzoso ma in qualche modo anche serio, e tutti noi ridemmo, forse un po’ nervosamente. Era ancora un gioco, ma non più così divertente come prima.

 

Quello che non sapevo era il grado di determinazione e di aggressività con cui si perseguiva l’arresto di Osho e la distruzione della nostra Comune. La cosa divenne evidente solo in seguito, quando ascoltai un’intervista televisiva a Charles Turner, Procuratore degli Stati Uniti per l’Oregon e capo dell’operazione, in cui descriveva Osho come “un malfattore consumato”. Turner non è intervenuto nel docufilm di Netflix “Wild Wild Country”, ma il suo vice, Robert Weaver, ha ricordato con grande compiacimento il suo coinvolgimento e ha riportato i sentimenti del suo capo.

Descrivendo la rapida costruzione della comunità di Rajneesh in Oregon, Weaver ha dichiarato ai registi: “Tutto questo non fu motivato dall’avidità, era malvagità”. Chiaramente, questi avvocati federali non erano imparziali. Piuttosto, stavano cercando di utilizzare la legge per sbarazzarsi di noi. I loro sforzi per farci chiudere erano sostenuti da una crociata cristiana contro una “setta malvagia” che stava contaminando uno stile di vita tutto americano.

 

Sia Turner sia Weaver sentivano sul collo il fiato di Washington. Secondo le dichiarazioni dello stesso Turner, lui era messo sotto pressione da tutti, compresi i senatori americani e la Casa Bianca: gli si chiedeva di trovare un modo per eliminare la nostra comunità. E si dice che nel frattempo i funzionari dell’immigrazione locale a Portland si sarebbero infuriati quando il loro capo a Washington, Alan Nelson, ordinò loro di non partecipare al raid che stava per essere attuato. Secondo un insider: “I ragazzi avevano preso a calci le sedie” per la frustrazione, perché l’INS, il Servizio Immigrazione e Naturalizzazione, si era sentito particolarmente umiliato dalle nostre ripetute accuse di parzialità e pregiudizio. Volevano avere l’opportunità di farcela pagare.

Questo dà un’idea dell’intensità dei sentimenti di molti politici americani e funzionari delle forze dell’ordine in quel momento. Eravamo stati provocatori, gli avevamo sbattuto in faccia il nostro stile di vita esuberante e festante, e non c’è da sorprendersi che fossero rimasti sconvolti da noi. Inoltre, la vista di un guru indiano che guida una flotta di 93 Rolls-Royce nella campagna dell’Oregon, mentre pronuncia discorsi definiti “La Bibbia di Rajneesh” e congeda l’America come “una ipocrisia e non una democrazia”, non contribuì a placare gli animi.

Osho descrisse il presidente Ronald Reagan come un “attore cowboy di terza categoria” e noi del giornale The Rajneesh Times ci unimmo al dileggio, pubblicando una vecchia foto di Reagan, quando era ancora un attore cinematografico, con il suo compagno Bonzo, uno scimpanzé, con il quale aveva fatto diversi film davvero brutti. Per cui, grazie ai nostri designer creativi, Reagan e Bonzo apparvero sulla quarta di copertina, con Bonzo seduto sulle ginocchia di Reagan, mentre sembrava leggere una copia del The Rajneesh Times.

 

Ancora pensavamo che fosse un gioco; ma, senza saperlo, stavamo alimentando le fiamme di un incendio sul punto di divampare. Tutto stava per diventare incontrollabile. La scintilla dell’imminente scontro fu la decisione del procuratore americano Charles Turner di non accettare una procedura di resa volontaria, in base alla quale, dopo il ricevimento delle accuse, Osho e gli altri accusati sarebbero stati autorizzati a recarsi a Portland e consegnarsi pacificamente, secondo un piano prestabilito.

A quel tempo, mi sorprese che Turner si rifiutasse di negoziare. Sembrava una cosa del tutto sensata, per evitare di scatenare un bagno di sangue. Adesso, nella sua intervista ai registi, Niren lo ha chiarito. Ha spiegato che uno degli strumenti standard per catturare obiettivi di alto profilo come Osho era procedere a un arresto forzato, in modo da poter utilizzare manette e catene e far sfilale il loro prigioniero davanti alle luci lampeggianti dei media.

 

Ne divenni consapevole in seguito, quando vidi l’arresto di Jim Bakker, un evangelista televisivo americano; e la cattura di Saddam Hussein, dopo l’invasione dell’Iraq e la caccia che si scatenò al leader fuggitivo. La vista di un uomo in catene innesca una reazione collettiva in milioni di persone che guardano questi drammi sui loro schermi televisivi: se sei incatenato devi essere colpevole. Se sei stato arrestato, devi aver fatto qualcosa di sbagliato. Usando una terminologia semplice, in bianco e nero, da cowboy, questa è la sensazione: “Guarda! I bravi hanno preso il cattivo”.

Solo Dio sa cosa sarebbe successo se il Ranch fosse stato effettivamente invaso da una massiccia forza di polizia con l’intenzione di arrestare Osho. Forse tutto sarebbe accaduto pacificamente; sebbene da Seattle vennero mandate delle squadre SWAT e gli elicotteri della Guardia Nazionale erano in standby, già pronti per l’assalto. Ma chissà… forse non sarebbe stato così.

Il mondo intero conosce la propensione americana al grilletto facile: è sufficiente ricordare le recenti sparatorie nelle scuole, in cui molti studenti sono stati uccisi. Soltanto nel 2015, negli Stati Uniti sono morte più di tredicimila persone a causa di ferite da arma da fuoco: questa è una statistica media annuale. E le forze dell’ordine non sono esenti da questa propensione a sparare. Nel 2017 più di mille persone sono state uccise dai poliziotti americani, e di queste una percentuale sproporzionata è costituita da persone di colore, il che ha scatenato proteste a livello nazionale da parte delle comunità afroamericane.

 

Inoltre, va detto che il governo americano ha ripetutamente dimostrato di compiere atti vendicativi nei confronti di coloro che si oppongono alle sue politiche, anche a livello internazionale. Mi vengono in mente tre episodi: 

Nel 1986, quando il presidente francese Francois Mitterrand rifiutò agli americani il permesso di sorvolare lo spazio aereo francese per attaccare la Libia, alcune bombe americane furono sganciate pericolosamente vicino all’ambasciata francese a Tripoli.

Nel 1999, durante la guerra della NATO con la Jugoslavia, un bombardamento americano sganciò “accidentalmente” cinque bombe guidate sull’ambasciata cinese a Belgrado, uccidendo tre persone, in quella che fu considerata da osservatori neutrali come una rappresaglia per il sostegno della Cina ai leader serbi.

 

Nel 2003, durante l’invasione dell’Iraq da parte degli alleati, una squadra di cineoperatori del notiziario televisivo Al Jazeera che si trovava su un tetto fu spazzata via da una bomba americana, in quella che fu vista come una ritorsione per la controversa trasmissione da parte di Al Jazeera in cui venivano intervistati alcuni prigionieri americani catturati dall’Iraq.

Non che l’America sia peggiore di qualsiasi altra nazione, quando si tratta di giocare sporco; ma è certamente in contrasto con il messaggio di libertà, democrazia e giustizia che gli Stati Uniti ostentano con orgoglio di fronte agli altri Paesi. Anche quando la forza sembra legittima, spesso diventa impropria. Nel 2010 una squadra speciale della marina statunitense, la SEALS, cercò di salvare l’operatrice umanitaria britannica Linda Norgrove, detenuta dai talebani in Afghanistan. Il raid ebbe luogo di notte e i soldati americani indossavano occhiali di visione notturna, cosa che diede loro un enorme vantaggio rispetto ai militanti. 

 

Riuscirono rapidamente a uccidere molti dei rapitori. Poi, all’ultimo momento, quando quasi tutti i militanti talebani erano morti, un soldato decise di lanciare alla cieca una granata a frammentazione, uccidendo accidentalmente Linda Norgrove, che si era staccata dai suoi rapitori e si era nascosta in un burrone. Direi che il punto è più che evidente: la cultura delle armi negli Stati Uniti è pericolosa per i suoi cittadini e i suoi alleati quanto lo è per i suoi nemici. In questa atmosfera, i contrasti esistenti al Ranch in Oregon sembravano orientarsi verso un’apoteosi violenta, con un’alta probabilità che qualcuno, intenzionalmente o accidentalmente, innescasse uno scontro a fuoco.

E non erano solo i poliziotti a essere armati. La Rajneesh Security Force disponeva di un arsenale di fucili semiautomatici ed era addestrata per proteggere la comunità. Se quella squadra avesse opposto resistenza all’invasione, il conteggio finale dei morti avrebbe potuto essere incredibilmente elevato. Verso la fine di ottobre del 1985 furono emesse incriminazioni federali contro Osho. Qualcuno vicino a Turner fece una soffiata agli avvocati di Osho, che chiamarono il Procuratore degli Stati Uniti e di nuovo cercarono di trovare un accordo. Ma di nuovo Turner si rifiutò di discutere una resa volontaria.

 

Non mi è chiaro come fu presa la decisione di allontanare Osho dal Ranch, ma a quanto pare la stretta cerchia di sannyasin che circondava il mistico, tra cui Hasya, la sua nuova segretaria, lo esortò a farsi portare al sicuro da qualche parte. La sera di domenica 27 ottobre 1985 Osho lasciò il Ranch, portando via con sé tutta l’attenzione. Turner fu informato, non appena fu notata la sua partenza.

Adesso, per le autorità americane, Osho era un fuggiasco in volo: la sua partenza inaspettata era una prova sufficiente della sua colpevolezza. E i funzionari federali entrarono in modalità “inseguimento”: ovvero, seguirono l’aereo del mistico che volava attraverso gli Stati Uniti. L’attenzione si spostò dal Ranch a Charlotteville, nel North Carolina, dove Osho fu arrestato all’aeroporto, e pare sia stato arrestato senza mandato. Si credeva che fosse diretto verso le Bermuda. Invece, fu portato in prigione.

Questo fu il momento in cui, mentre la minaccia alla sicurezza di Osho toccava il culmine, svaniva ogni pericolo per la vita di chi risiedeva al Ranch. All’improvviso, a nessuno interessava più invaderlo. Dopotutto, avevano “messo Bhagwan nel sacco” e lo avevano messo in manette e in catene, esibendolo, come desideravano, davanti a una folla di giornalisti. Si è parlato molto dell’udienza di Osho a Charlotte e del suo successivo viaggio di ritorno a Portland, sotto la custodia degli ufficiali di polizia statunitensi, quindi non occorre che io entri nei dettagli. 

 

Si sospetta, come ha affermato lo stesso Osho, che sia stato vittima di avvelenamento e radiazioni durante la detenzione nella città di Oklahoma. Tornato in Oregon, di fronte alle accuse di frode sull’immigrazione, Osho accettò un patteggiamento e fu espulso dagli Stati Uniti. Con la sua partenza, il Ranch divenne economicamente insostenibile e presto ci fu chiesto di andarcene.  Charles Turner aveva assolutamente ragione nel ritenere che, una volta allontanato Osho, la Comune di Rajneesh sarebbe crollata.

E questa fu la fine della nostra saga in Oregon. Come testimoniano i trailer del docufilm di Netflix, la storia è piena di drammaticità, con molti colpi di scena inaspettati. Ma mentre questa serie di docufilm si concentra sul conflitto, l’impressione finale, per me, è arrivata solo in seguito e in un modo del tutto diverso da ciò che mi aspettavo: scorrendo i ringraziamenti nell’episodio finale, mi sono sentito felice e un po’ stupito di essere vivo.

Infatti, nessuno è morto, da entrambe le parti. Siamo tutti sopravvissuti! La gente si arrabbiò, si infuriò e impazzì. Furono molestate e avvelenate delle persone. Alcune persone furono arrestate e imprigionate… Ma nessuno è morto!  Considerato il livello toccato dal conflitto, la cultura americana delle armi e l’atmosfera emotiva sovreccitata, la cosa ha dell’incredibile.

 

Niren, in qualità di avvocato di Osho, in una delle numerose interviste che ha rilasciato nel corso degli anni, ha affermato che la decisione del mistico di lasciare il Ranch, fu “una pessima idea”. Forse per ciò che concerne Osho lo è stata. Ma probabilmente ha salvato la mia vita e quella di molte altre persone. Trentadue anni dopo, questo mi da motivo di sorridere e sentirmi grato.

PS dell’autore - come molti lettori hanno sottolineato, Osho è stato la vittima principale dello sforzo del governo degli Stati Uniti teso a distruggere la nostra comunità. E se, come Osho ha dichiarato, è stato effettivamente avvelenato ed esposto a delle radiazioni mentre era in carcere a Oklahoma City; e se questo ha contribuito alla sua morte, cinque anni dopo, allora naturalmente è stato lui la principale vittima di tutti questi eventi.

 

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OSHO IN AMERICA

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Ascolta Osho che parla di come è stato avvelenato dal governo americano di Ronald Reagan - puoi attivare anche i sottotitoli in italiano clicca su impostazioni

WILD WILD COUNTRY - LA STORIA DIETRO LA STORIA - IL COMUNICATO STAMPA DI OSHO INTERNATIONAL
 



NOTA della redazione:

Nella serie Wild Wild Country oltre alle varie lacune nel raccontare i fatti ci sono anche degli errori storici veri e propri. Il più grave, forse, è la collocazione di quando Osho è tornato a parlare in pubblico. Nei documentari si dice che partita Sheela "Osho è stato costretto a tornare a parlare". Lascinadogli così addosso un'ombra di dubbio sulla sua implicazione con i crimini di Sheela. In realtà Sheela ha lasciato l'America a metà settembre 1985. Mentre Osho era uscito dai 3 anni di silenzio fin dall'ottobre 1984!
E non solo: come spiega Osho a più riprese, uno dei motivi che l'avevano spinto a tornare a parlare in pubblico era proprio per creare il clima giusto in cui Sheela potesse svegliarsi dal proprio operato criminale. Oltre alle parole in sé, più volte pronunciate da Osho proprio su Sheela, il fatto stesso che Osho fosse tornato in pubblico tolse potere alla segretaria: non era più lei in prima fila, ora c'era Osho. E l'immagine pubblica di Sheela andò via via sbiadendosi con Osho che oltre a tenere discorsi coi suoi discepoli, rilasciava anche numerose interviste con tutti i media internazionali. A un certo punto Sheela, vedendosi sempre meno importante, se ne andò.


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