Nel suo bellissimo “Incontri con uomini straordinari”, Gurdjieff racconta di un’antica tribù che viveva vicino a lui quando era piccolo. La tribù aveva un rapporto magico e molto forte con le linee tracciate per terra. Se si riusciva a tracciare un cerchio chiuso intorno a una persona, questa era letteralmente prigioniera. Non riusciva a uscire dal cerchio. E non era solo un pensiero, era un muro vero e proprio. Tanto che se la persona “prigioniera” era trascinata con la forza fuori dal cerchio, lo shock era così forte che perdeva i sensi.
Le linee tracciate all’esterno sono facili da individuare, ma cosa dire delle linee che tracciamo dentro di noi? Quelle sono spesso invisibili.
Quando arrivai a Pune da Osho, negli anni ’70, alcune delle parole d’ordine erano “lasciarsi andare”, “dire di sì”, “togliere i no e le resistenze”, “andare oltre i limiti”, eccetera. E noi scoprivamo di essere pieni di confini interiori invalicabili, difesi da inconsci soldatini, cresciuti sotto i diktat di una società repressiva e in controllo. Tutti quei “no” bloccavano il flusso: scoprivamo di non sapere amare, ci sorprendevamo a litigare, dentro di noi, col Maestro, ci accorgevamo di non lasciare avvicinare le persone più di tanto, di non esporci mai veramente, eccetera. E non perché non lo volessimo, anzi lo desideravamo con tutto il nostro essere! Ma c’erano delle linee invisibili interiori che ce lo impedivano, linee da vedere con chiarezza e poi superare con l’aiuto di ciò che avevamo a disposizione: le meditazioni, le terapie, gli amici e gli amanti, le parole di Osho e i suoi darshan. Piano piano le linee sparivano e ci ritrovavamo a volare leggeri e liberi.
E sembrava di avercela fatta…
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