Il lamento è accattivante, perché ci fa sentire meglio, ma come molte altre cose “piacevoli”, nel senso di consolatorie, come rimpinzarsi di cioccolatini e patatine o ubriacarsi, non fa bene alla nostra salute psicofisica. E la ragione è neurologica.
Il cervello ama l’efficienza e detesta lavorare più di quel che deve. Quando si ripete un comportamento, come ad esempio lamentarsi, i neuroni si avvicinano l’uno all’altro per facilitare il flusso di informazioni. Questo rende molto più semplice ripetere quel comportamento in futuro, anzi, lo rende così semplice che magari non ci rendiamo nemmeno conto di farlo!
Dal punto di vista del cervello è la cosa più saggia da fare: perché costruire un ponte temporaneo ogni volta che devi attraversare un fiume? Ha molto più senso costruire un ponte permanente. Così, i neuroni si avvicinano e le connessioni tra di loro diventano più salde. Nel tempo, diventa più facile essere negativi che essere positivi, indipendentemente da ciò che accade veramente. Il lamento diventa il comportamento predefinito, che naturalmente influenza non solo il modo in cui vediamo il mondo, ma anche il modo in cui le persone ci percepiscono.
Il lamento non influenza solo il “cablaggio neuronale”, ma ha un effetto negativo anche su altre aree del cervello. Una ricerca dell’Università di Stanford ha dimostrato infatti che lamentarsi riduce la dimensione dell’ippocampo, un’area del cervello fondamentale per il problem-solving, cioè la capacità di risolvere i problemi, e per il pensiero intelligente. E il danno all’ippocampo è preoccupante, soprattutto se si considera che è una delle principali aree cerebrali distrutte dall’Alzheimer.
Quindi non è un’esagerazione affermare che lamentarsi provoca danni al cervello!
E non è finita qui! Quando ci si lamenta, il corpo rilascia l’ormone dello stress, il cortisolo, che regolando la produzione di adrenalina, inserisce nel sistema corpo-mente la modalità fight or fight, lotta o fuggi, sostanzialmente uno stato di allerta, come se la nostra vita fosse in pericolo. Questo dirige l’ossigeno, il sangue e l’energia ai sistemi essenziali per la sopravvivenza immediata, distogliendoli da tutto il resto. Un effetto del cortisolo, ad esempio, è quello di aumentare la pressione sanguigna e lo zucchero nel sangue, in modo da preparare il corpo a fuggire o a difendersi. Ma visto che nella maggior parte dei casi non ci mettiamo a lottare né a correre per fuggire, permettendo al corpo di “scaricare” lo stato di allerta, tutto il cortisolo extra va a influenzare il sistema immunitario, rendendoci più inclini al colesterolo alto, al diabete, alle malattie cardiache e all’obesità. Persino il cervello diventa più vulnerabile agli ictus!
Inoltre, visto che in quanto esseri umani siamo animali intrinsecamente sociali, i nostri cervelli simulano gli stati d’animo di quelli che ci circondano, in particolare le persone con cui trascorriamo molto tempo. Questo processo, chiamato mirroring neuronale, rappresenta il fondamento della nostra capacità di provare empatia. Il lato negativo, però, è che come succede per il fumo, ci rende vulnerabili al lamento passivo! Quindi: attenzione a trascorrere del tempo con le persone che si lamentano di continuo!
Quindi che fare?
La prima cosa importante è distinguere tra le due principali tipologie di situazioni in cui ci lamentiamo: quelle in cui è possibile fare qualcosa per cambiare la situazione e quelle in cui non è possibile. Una tecnica per distinguerle è adottare il cosiddetto… “lamento risolutivo” che prevede quanto segue:
1. Avere un obiettivo chiaro. Prima di cominciare a lamentarci, chiariamo quale risultato stiamo cercando. Se non riusciamo a identificare uno scopo, c’è un’ottima possibilità che il lamento sia fine a se stesso e questo è proprio il genere di lamento che dovremmo eliminare alla radice.
2. Iniziare il lamento con qualcosa di… positivo. Può sembrare un controsenso iniziare un lamento con un complimento, ma può impedire che la controparte entri subito sulla difensiva. Ad esempio, quando ci rivolgiamo al classico Servizio Clienti, prima di cominciare a sparare sulle deficienze del prodotto in questione, potremmo dire qualcosa del genere: “Sono vostro cliente da molto tempo e sono sempre stato entusiasta del prodotto...”.
3. Essere specifici. Quando ci lamentiamo di qualcosa non è una buona idea sciorinare ogni minuscolo problema simile accadutoci negli ultimi 20 anni, né prenderla troppo alla lontana. Basta affrontare la situazione presente e essere precisi. Invece di dire, ad esempio: “L’impiegato è stato scortese con me”, è meglio descrivere in modo specifico ciò che l’impiegato ha detto o fatto.
4. Concludere su una nota alta. Se finiamo il nostro reclamo con “Non tornerò mai più in questo negozio”, la persona che ascolta non ha alcuna motivazione ad agire. In quel caso, ci stiamo solo sfogando o lamentando con nessun altro scopo che lamentarci. Meglio riaffermare il nostro obiettivo così come la speranza che possa essere raggiunto, dicendo ad esempio: “Vorrei raggiungere questo risultato, in modo da poter mantenere intatte le nostre relazioni commerciali”.
Nella maggior parte dei casi trasformare il nostro atteggiamento è la carta vincente per modificare una situazione oggettiva!
E quando non è proprio possibile cambiare le cose, invece di lamentarci può essere più salutare spostare la nostra attenzione su qualcosa per cui possiamo sentirci grati: secondo una ricerca condotta presso l’Università della California, riduce il cortisolo del 23% provocando un miglioramento dell’umore e dell’energia e una significativa diminuzione dell’ansia!
Insomma, da sperimentare…
- A cura di Marga
Da un articolo di Travis Bradberry apparso su uplift.com lo scorso giugno.
Travis Bradberry è autore di diversi best-seller, alcuni tradotti anche in italiano: Intelligenza Emotiva 2.0, (con Jean Greaves), Edizioni Punto d’Incontro; Siete una banda d’incapaci e Scopri il tuo quoziente emotivo, Sperling & Kupfer
«Ad esempio, hai mal di testa. L’atteggiamento “essenziale” è accettarlo e dire a te stesso:
“È la natura del corpo”, oppure: “Così stanno le cose”, senza creare alcun conflitto, senza cominciare a lottare. Hai mal di testa, accettalo: è la natura delle cose. E, all’improvviso, accade un cambiamento, perché, quando questo atteggiamento entra in gioco, il cambiamento segue come un’ombra. Se riesci ad accettare il tuo mal di testa, il mal di testa scompare. Provaci: se accetti la malattia, inizia a scomparire. Come mai? Perché quando lotti, la tua energia è divisa. Metà dell’energia si sposta nella malattia, nel mal di testa, e metà dell’energia lotta contro il mal di testa. Si verifica una frattura, una rottura. Quando accetti, quando non ti lamenti, quando non lotti, l’energia dentro di te si integra, ogni frattura si risalda. E si sprigiona una quantità enorme di energia, perché non c’è più conflitto: lo stesso sprigionarsi dell’energia diventa una forza che guarisce. La guarigione non arriva mai dall’esterno.»
Tratto da: Osho, Buddha, la vita e gli insegnamenti, Macrolibrarsi
Articolo apparso su Osho Times n. 242
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