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osho times l'arte della meditazione
NEWSLETTER n.073  DELLA RIVISTA MENSILE CARTACEA E DIGITALE DEDICATA ALLA VISIONE DI OSHO

Ciao!
Qualche tempo fa, la mia amica e collega Gila, viaggiando su un tipico treno di pendolari della nostra zona – la provincia di Varese – ha notato che una ragazza seduta davanti a lei stava leggendo un libro di Osho. Alla stazione successiva la ragazza è stata raggiunta da un amico con cui ha iniziato uno scambio – che Gila non ha potuto fare a meno di ascoltare – su Osho, sulle sue meditazioni, eccetera, eccetera. Una tranquilla conversazione tra amici e ricercatori. Gila naturalmente si è sentita felice di viaggiare in compagnia di persone alla ricerca, in esplorazione, che si interrogano e sono assetate di nuovi input sulla via della meditazione.  Si è sentita tra amici anche se la ragazza e il suo amico erano dei perfetti sconosciuti! Pur essendo una grande conoscitrice di queste cose ha deciso di non intervenire ed è rimasta in silenzio per vedere dove sarebbero “andati" con i loro ragionamenti spontanei e senza interferenze. Quando me l’ha raccontato, mi sono ricordato che nei primi anni della mia storia con Osho – era la fine degli anni ’70 – viaggiavo tutti i giorni in treno per andare al lavoro, più o meno sulle stesse linee ferroviarie. Noi discepoli di Osho allora eravamo conosciuti come “gli arancioni” perché parte del “gioco" era vestirsi completamente di questo colore! Inoltre portavamo al collo in bella vista una collana con la foto di Osho. D’altro canto il contesto di quegli anni prevedeva che tutti fossero molto uniformati sia nel vestire che nei comportamenti, a parte qualche raro hippy nelle città, e nelle zone in cui vivevo e lavoravo erano cose che si vedevano solo sulle riviste e Osho era ancora un assoluto sconosciuto. In altre parole quando salivo sul treno con quell’abbigliamento ero come una singola lampadina accesa, in un mare di blue-jeans e giacche scure. Era sempre come salire su un palco davanti a centinaia di spettatori: mi guardavano tutti! Increduli, scioccati, divertiti, anche affascinati... A quel punto ogni mio gesto, sguardo, movimento, lo percepivo dall’interno con una specie di super consapevolezza di me, aumentata dalla consapevolezza degli spettatori. Ed era una cosa praticamente a tempo pieno, perché gente intorno a me ce n’era sempre... Superati i primi tempi di timidezza ne ho visto l’aspetto positivo per la mia meditazione: mi risultava molto difficile “addormentarmi” in presenza di tanti sconosciuti: una specie di fuoco di consapevolezza mi teneva allerta e presente a tutto. Che grande aiuto ci ha dato Osho con questo trucco. Un training in consapevolezza a tempo pieno che poi continuava nelle sue meditazioni che hanno come obiettivo creare esattamente lo stesso tipo di presenza allerta a ciò che succede. Così la presenza al “fuori” aiuta la presenza al “dentro” e viceversa… È lo stesso “strumento”, da usare in ogni dimensione. E, tornando al presente, anche se non siamo più vestiti di arancione, gli “espedienti" e i "trucchi” per imparare a stare svegli e allerta non mancano! Ad esempio all’OshoFestival di Bellaria di quest’anno ce ne sono ben 60 da provare, tra eventi e meditazioni. Tanti modi diversi per bussare a porte diverse della stessa consapevolezza. In attesa di incontrarci là, ecco due begli articoli tratti dalla rivista Osho Times. Buona lettura – Akarmo



E iniziò tutto con
un gran mal di testa

Una montagna e il dolore
come maestri per andare oltre la paura

Da un articolo di Prashantam 
apparso sull'Osho Times


La paura – e cito Osho perché è da lui che l’ho sentita definire così per la prima volta – può essere descritta come un serpente a 3 teste nel quale, a seconda dei momenti e delle situazioni, una testa diventa predominante sulle altre. Le 3 teste sono la paura di morire, la paura di impazzire e la paura di perdere il controllo, associata alla paura dell’orgasmo. 

Nella mia ricerca personale, posso dire di non aver mai trovato altri tipi di paura e che tutte le paure sono riconducibili a queste 3.

E la mia ricerca risale a qualcosa che mi è successo qualche anno fa, credo fosse il 2008, durante un pellegrinaggio a piedi sul Monte Kaylash in Tibet... Eravamo in 4, più la guida nepalese.

La camminata sul Monte Kaylash è soprannominata Kora e dura circa 6 giorni, in cui si percorrono circa 130 km a piedi. Richiede un grande sforzo fisico e per me è stata un’esperienza assolutamente unica. 

A metà circa del pellegrinaggio, mi successe una cosa... Premetto che nella camminata si sfiorano i 6000 metri di altitudine e questo comporta che la pressione sulla testa diventi piuttosto dolorosa; esistono dei farmaci per attenuare l’effetto dell’altitudine, ma essendo la prima volta che mi trovavo in un contesto del genere non ne ero a conoscenza, quindi non presi nulla. Progressivamente il dolore alla testa si fece sempre più acuto fino a raggiungere un livello insopportabile. Una notte diventò così travolgente che...


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Fuori dalla tribù

Verso la libertà dell'individualità

Da un prezioso testo di Osho apparso su Osho Times

 

Domanda: Osho, tante cose che un tempo davano a una persona un senso di appartenenza stanno scomparendo: la tribù, la famiglia, il matrimonio… Persino l’amicizia. Cosa sta succedendo? E cosa succederà in futuro?

 

Osho: È bello ciò che sta accadendo, davvero meraviglioso. Sì, la tribù sta scomparendo. Così la famiglia, il matrimonio, l’amicizia… Va benissimo, perché ti lascia lo spazio per essere te stesso.

L’uomo tribale è solo un numero nel gruppo. È l’uomo più primitivo, il meno evoluto, più animale che umano. Vive solo come un numero nella tribù. È un bene che le tribù siano scomparse. 

La scomparsa della tribù ha dato vita alla famiglia. A quello stadio la famiglia è stata un grande vantaggio, perché la tribù era un fenomeno vasto, mentre la famiglia era una piccola unità. C’era più libertà nella famiglia che nella tribù. La tribù era dispotica e potente: la testa, il capo della tribù, deteneva ogni potere, anche quello di ucciderti. Esistono ancora alcune tribù in zone sottosviluppate, in India ce ne sono alcune. E le ho viste. Quando ero professore mi sono fatto mandare a insegnare a Raipur, perché lì vicino, a Bastar, c’è una delle tribù più antiche e primitive...


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