



























L’incontro
chiave
di
un’adolescente
nell’India
degli anni
sessanta
Pragya
ci racconta
gli inizi
della sua
esperienza di
discepola di
Osho,
più di
quarant'anni
fa! La cultura
indiana
di allora, i
primi campi di
meditazione,
il rapporto
stretto col
maestro,
la scoperta di
una
prospettiva di
libertà
Da un'intervista di Bali apparsa
su Osho
Times n 195
Campo di Meditazione con Osho al
Monte Abu negli anni 60
Bali:
Come e quando hai
conosciuto Osho?
Pragya: Era il 1966 e vivevo ad Ahmedabad, in
Gujarat. I miei genitori erano andati a uno dei suoi
discorsi, che a quei tempi Osho teneva in pubblico per tutta
l’India, e ne parlavano. Mi incuriosii: “Ma chi è questo
tizio?” e decisi di andare anche io ad ascoltarlo. Non
appena lo vidi mi innamorai di lui! Ascoltavo le sue parole
e pensavo: “Quest’uomo per me è più importante dei miei
stessi genitori!”.
Bali: A quel tempo ti interessavi di
spiritualità?
Pragya: Be’,
sì... perché già sapevo che nella mia famiglia, come donna,
non avrei avuto una vita mia: avrei dovuto sacrificarmi
tutto il tempo. Lo vedevo in mia madre e nelle mie zie che
dedicavano tutto il loro tempo alla famiglia, a prendersi
cura delle persone intorno a loro e non avevano una vita
personale. A quei tempi stavo studiando, ero giovane e
decisi che non mi sarei mai sposata: non volevo sposarmi,
volevo la mia vita, volevo essere me stessa! Non volevo
essere quello che avevano deciso gli altri, quello che
volevano fare di me. La pensavo così: non voglio sposarmi,
non voglio aver figli, voglio continuare a studiare e
diventare più istruita, essere capace di reggermi sulle mie
gambe e vivere la mia vita. Poi ho incontrato Osho e lui
parlava a favore delle donne: di come gli uomini le tengano
da sempre sottomesse, di come la donna non può fare ciò
vuole. E l’ho sentito proprio dalla sua voce, in quella
conferenza e ho pensato: “Questo è l’uomo per me”. Ho
iniziato a leggere tutti i suoi libri che trovavo, ad andare
ai suoi incontri e da quel momento ho iniziato anche un po’
ad addentrarmi nel campo della spiritualità. Ma all’inizio
ciò che mi attirava nei discorsi di Osho non era tanto il
lato spirituale, ma il ridare alle donne la loro vita e il
loro potere: diceva che la donna deve decidere cosa vuole e
lottare per averlo altrimenti non lo otterrà mai.
Bali: Quanti anni avevi quando l’hai
incontrato?
Pragya: Avevo
16 anni, ero davvero giovane e in famiglia continuavo a
combattere perché volevano impormi le loro idee – una
ragazza dovrebbe essere così, una ragazza dovrebbe
comportarsi in questo modo – e io non volevo perché volevo
essere me stessa; quando ho incontrato Osho e l’ho ascoltato
mi ha dato molta energia e fiducia in me stessa: potevo
farcela. Dopo poche volte che ero andata ad ascoltarlo, Osho
è venuto a tenere una conferenza anche nella mia scuola, un
college femminile, e anche quella volta ha parlato tanto di
donne... è stato davvero un discorso molto bello.
Bali: Hai partecipato anche a
qualche campo di meditazione?
Pragya: Sì. I
miei genitori erano sempre più attivi nel mondo di Osho e
nel sostenere il suo lavoro e mia madre andò a lamentarsi di
me: “È una ribelle, non mi ascolta mai, non fa mai quello
che le dico, fa solo quello che vuole lei...” e poi mi portò
a incontrare Osho di persona. Lui si mise a ridere e mi
diede tutto il suo sostegno, mi disse: “Beta (figlia mia),
non ascoltare nessuno e fai quello che vuoi”.
Quella fu la prima volta che mi parlò. Poi disse a mia madre
di portarmi al campo di meditazione di Nargol, il primo che
organizzava, un campo di meditazione di tre giorni. Di nuovo
lo incontrai di persona e mi disse che dovevo provare a fare
meditazione anche a casa, quella del mattino, la Dinamica.
Ma casa mia era piccola, stavamo tutti insieme, non potevo
nemmeno immaginare di fare la Dinamica, così iniziai a
sedermi e a osservare il respiro a occhi chiusi, la
Vipassana... ogni volta che potevo salivo sul tetto a
terrazza della casa per stare da sola e meditare!
Dopo il campo di Nargol partecipai anche ai vari campi di
meditazione a Monte Abu; lì decisi di smettere di studiare,
ma quando lo dissi a Osho, lui mi disse che dovevo finire i
miei studi: “Voglio che tutta la mia gente sia interessata
ad avere un’istruzione”.
Dopo quel campo non volevo più vivere in casa coi miei; ne
parlai con Osho che mi disse di finire gli studi e che in
seguito mi avrebbe invitato nella sua Comune, appena fosse
riuscito a organizzarla.
Mi laureai e i miei genitori volevano subito farmi sposare,
ma per fortuna Osho stava arrivando proprio in quei giorni
per guidare un altro campo di meditazione a Monte Abu e così
andai subito a parlargli; gli dissi che non volevo
assolutamente sposarmi e lui mi consigliò di continuare
l’università, di iscrivermi a un dottorato. Ancora non
esisteva una Comune dove avrei potuto vivere vicino a lui e
quindi o proseguivo gli studi, o mi sposavo.
Anche i miei genitori andarono a parlargli e mia madre si
lamentò: “Vogliamo farla sposare, ma lei continua a dire che
non vuole assolutamente”. Osho li fece ragionare: “Ma voi
cosa avete ottenuto dal matrimonio? Considerate bene la
vostra vita, perché costringerla?”. Disse loro di lasciar
perdere le usanze e “cosa avrebbe detto la gente” e di
aiutarmi per quanto potevano a farmi la mia vita.
Li convinse e dopo qualche tempo che ero tornata
all’università mio padre mi disse persino che era fiero di
me!
Pragya oggi
Bali:
Ma erano sannyasin anche i
tuoi genitori?
Pragya: Erano
sannyasin tutti quanti, anche i miei nonni, sempre dal 1966,
da quel primo incontro con Osho: la madre di mio padre ed
entrambi i genitori di mia madre avevano preso il sannyas. E
con la madre di mio padre ci fu un episodio che ancora
ricordo.
Osho era venuto a casa nostra. Mia madre lo invitava sempre
e così un giorno, era ospite da qualcuno lì vicino, accettò
di venire per una breve visita. Noi eravamo tutti
indaffarati a preparare la stanza, il tè, il caffè e
qualcosina da mangiare, perche aveva detto che si sarebbe
fermato poco; arrivò insieme agli amici dai quali
soggiornava e si sedettero con noi. Osho non prese né tè né
caffè, solo anacardi e mandorle e qualcosa di salato, un
piccolo spuntino. Dopo una quindicina di minuti disse che
doveva andare; io scesi per aprirgli il portone che dà sulla
strada e quando scese anche lui c’era lì mia nonna, la madre
di mio padre, che iniziò a salmodiare degli shloka, i
versetti dai Purana Veda che si cantano nei templi hindu
come preghiere davanti alle statue degli dèi. Io le dissi
subito: “Ma no, nonna, no... lui non è quel tipo di sadhu,
di ‘santo’. Non puoi recitargli queste cose...”. Ma Osho mi
disse di lasciarla cantare e rimase con gli occhi chiusi
fino a quando mia nonna non ebbe finito, poi ci sorrise e si
sedette in macchina. Dopo la sua partenza mia nonna mi disse
che era un grande santo e di non lasciarlo mai, di stare
sempre con lui. E io fui così felice del rispetto che Osho
le aveva mostrato ascoltando quello che la nonna stava
cantando.
Bali: Mi racconti qualcosa di questi
campi di meditazione che Osho guidava, le tue prime
meditazioni...
Pragya: Mi
ricordo che fare le meditazioni davanti a Osho era diverso,
sentivo che qualcosa di particolare accadeva al mio corpo.
Mi accorgevo della forte energia che proveniva da lui. E
spesso mi mettevo a piangere, anche quando gli parlavo... se
mi sedevo in silenzio vicino a lui, sempre lacrime: piangevo
e piangevo e lui mi guardava sorridendo, senza dire nulla.
C’era una sensazione di calore e di soddisfazione e questo
mi portava a voler essere sempre più vicino a lui. Riuscivo
spesso a essergli molto vicina, proprio come son seduta
adesso qui con te. Ogni volta che veniva da Mumbai per
condurre i campi di meditazione a Monte Abu, e anche prima,
quando veniva ad Ahmedabad, mia madre cucinava per lui e
quindi ci sedevamo insieme a lui. Le prime volte che Osho
venne a tenere i suoi discorsi in pubblico in Gujarat, era
stato invitato da mio padre e dai suoi amici.
Mio padre era un seguace di Gandhi e la prima volta che andò
ad ascoltare Osho fu perché un suo amico venne a
raccontargli che c’era questo acharya di 36 anni, un giovane
professore, che osava parlare contro Gandhi e bisognava
andare a una delle sue conferenze e confutarlo. Quindi
andarono, non ricordo se a Shardagram o a Tulshyam, ma
quando lo videro, quando iniziarono ad ascoltare quello che
diceva... erano andati per discutere e si sono innamorati di
lui, perché il modo in cui criticava Gandhi li aveva
veramente impressionati. E fu così che mio padre iniziò ad
andare ad ascoltarlo e che anche io arrivai da Osho.
Bali: E quando sei riuscita
finalmente a far parte della Comune e a vivere con Osho a
Pune?
Pragya: Mi sono
trasferita a Pune nel 1975, nel mese di agosto. Osho sapeva
già da tempo che volevo venire ad abitare qui all’ashram (si
chiamava così allora, e ai tempi tutti vestivamo
d’arancione) ma la mia sorella più piccola si ammalò
gravemente, leucemia, e quindi per dieci mesi siamo stati
con lei tutto il tempo, a seguirla nelle cure, ad
assisterla. Osho lo sapeva... mia madre andò a trovarlo a
Mumbai, a Woodlands, e gli raccontò tutto. Lui disse:
“Questo corpo non è per lei...” e di lasciarla andare, che
alla sua prossima nascita l’avrebbe chiamata a sé, di
rilassarsi quindi e aiutarla il più possibile, darle amore,
stare con lei e farle lasciare questo corpo nel modo
migliore possibile. Così fino al 1974 l’abbiamo assistita
per tutto il tempo e poi ho dovuto prendermi cura della
casa: eravamo tutti così tristi, i miei genitori erano
devastati... e finalmente nel ‘75 mi trasferii nella Comune,
che si è poi trasformata in un Meditation Resort, dove vivo ancora oggi.
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