



























L’espressione
della tua
individualità...
Un
brano di Osho
apparso,
inedito,
su Osho
Times n 197

Osho,
ci hai detto che ci sono stati molti illuminati che non
sono mai diventati maestri. A me sembra quasi più facile
comprendere questo piuttosto che la ragione per cui
alcuni diventano un maestro o il modo in cui lo fanno.
Mi stupisce vedere come ti trattano: i governi ti sono
ostili e non ti permettono l’ingresso nel loro paese o
ti mettono in prigione. La grande maggioranza delle
persone non si preoccupa neppure di scoprire chi sei o
di che cosa parli. E i pochi che ti amano e ti ascoltano
si crogiolano ancora nel loro sonno.
Hai scelto tu di essere un maestro per cercare di
risvegliarci o è stata una decisione dell’esistenza? Chi
decide se un illuminato diventa un maestro?
L’illuminato è andato oltre il prendere decisioni,
quindi il primo punto da comprendere è che lui non decide
nulla. La decisione è parte dell’io. In essenza è una
lotta tra fare una cosa o un’altra. L’io pensa di essere
più saggio dell’esistenza, ma quando scompare,
svanisce anche il prendere decisioni.
L’illuminato vive senza decisioni, senza obiettivi, senza
desideri. È arrivato al punto in cui qualsiasi decisione
sarebbe come opporsi all’esistenza. Il percorso della
persona in sintonia con l’esistenza può essere soltanto un
lasciarsi andare privo di decisioni. Quindi, non è una
questione di decisioni.
Migliaia di persone si sono illuminate, ma soltanto
pochissime sono diventate maestri. È naturale che la mente
si chieda chi è che decide che alcuni diventino maestri,
mentre gli altri “scompaiono” nell’universo. Non decide
nessuno. Tutto funziona in modo completamente diverso da
un processo decisionale. Sono esistiti i maestri e gli
illuminati, e ci sono state anche varie dimensioni
dell’illuminazione: ci sono stati poeti, pittori,
scultori, cantanti, danzatori. La differenza dipende
dall’unicità delle loro diverse individualità.
Si arriva all’illuminazione senza un io, senza una
personalità, ma non senza un’individualità. In realtà,
quando la personalità e l’io non ci sono più, rimane
soltanto l’individualità, pura, unica. Questa unicità
permane e chiunque arrivi all’illuminazione porta con sé
la propria individualità unica. Se ha sviluppato la
capacità di essere un pittore, porterà quel contributo
alla propria illuminazione. Dopo l’illuminazione,
continuerà a dipingere, anche se, naturalmente, i suoi
dipinti saranno diversi prima e dopo l’illuminazione.
Prima e dopo l’illuminazione, i suoi quadri saranno
completamente diversi.
Vi ho raccontato molte volte la storia dei cinque ciechi
che vanno a vedere un elefante. È una storia antichissima.
Ciascuno di loro osserva l’elefante da un lato diverso, lo
tocca… uno tocca la gamba, un altro l’orecchio e così via.
Tutti discutono: quando la persona che tocca la gamba
dichiara che un elefante è come la colonna di un tempio,
non sta affermando il falso. Sta esprimendo la sua
esperienza, ma sembra assolutamente falso per chi vede
l’intero elefante.
C’è un punto essenziale da comprendere, cioè che quando
cerchi di far diventare una parte il tutto, ti trovi nella
stessa situazione di cecità. Il cieco tocca una parte
dell’elefante e rende quella parte il tutto. Ovviamente,
si troverà in conflitto.
L’uomo che tocca l’orecchio afferma: “Che cosa dici? Sono
tutte sciocchezze”. In India, prima dell’arrivo
dell’elettricità, i ricchi avevano grandi ventagli e due
servi che li agitavano in continuazione. Quei ventagli
somigliavano all’orecchio di un elefante, quindi l’uomo
dice: “Impossibile, un elefante è come un ventaglio! Le
tue affermazioni sono così lontane dalla realtà che non
vale neppure la pena di prenderle in considerazione”.
Il terzo, poi, ha toccato qualche altra parte, e tutti e
cinque si impegnano in una profonda discussione
filosofica.
È una storia di cinquemila anni fa e riguarda i filosofi.
Anche loro sono ciechi. Quando, nella loro cecità, si
imbattono in qualcosa, lo trasformano in un sistema
completo, che tuttavia non ha rilevanza rispetto
all’insieme della realtà. Alla loro mente sembra perfetto
e non riescono a credere come altri possano opporsi a un
sistema perfetto.
Nel corso di tutti questi secoli, i filosofi hanno
continuato a discutere senza mai arrivare a una
conclusione. Non possono farlo, perché le premesse sono
diverse e l’intera struttura dipende dalle premesse. I
cinque ciechi non sono ancora arrivati a una conclusione,
stanno ancora discutendo. E non ci arriveranno mai.
Generazione dopo generazione, i cinque ciechi andranno
dall’elefante e discuteranno e litigheranno, ma una
conclusione non sarà possibile.
L’illuminato vede il tutto. Prima dell’illuminazione,
poteva scorgere soltanto frammenti e dipingere quei
frammenti. Adesso, dipinge qualcosa che può diventare
un’indicazione del tutto. Nessuno ha deciso, né
l’esistenza né la persona stessa. L’individualità che si
era sviluppata prima dell’illuminazione diventa il veicolo
attraverso il quale l’esistenza dipinge. C’è chi ha
sviluppato l’arte di comporre musica: la musica precedente
sarà nulla paragonata a ciò che fa adesso, perché era la
visione di un cieco. Ora vede tutta la realtà e vede anche
che tutta la realtà può, in qualche modo, essere riflessa
dalla sua musica. Ascoltando la sua musica, verrai
trasportato dalla tua mente, che non smette mai di
pensare,
a uno stato di non-mente.
Il poeta non decide di rimanere un poeta, né l’esistenza
sceglie che sia un poeta. Arriva già con quella
particolare capacità di esprimersi e lo stesso vale per il
maestro.
Puoi vederlo quando vai in una università: ci sono tanti
insegnanti, ma alcuni di loro sono lì perché non sono
riusciti a ottenere altre fonti di reddito, anche se un
professore universitario non guadagna molto. Non sono
insegnanti nati. Le circostanze li hanno costretti a
diventare professori; avrebbero preferito diventare agenti
delle tasse, poliziotti, militari, marinai, politici. Non
sono riusciti a fare ciò che desideravano e questa
professione era disponibile.
Sono stato nelle università e ho visto come quasi il
novantanove per cento dei professori lo faceva
controvoglia, come un peso. Ho visto insegnanti portare in
giro per trent’anni gli stessi appunti. Hanno insegnato
per trent’anni all’università e usano gli appunti che
avevano preso da studenti! E li hanno ripetuti per
trent’anni ai loro studenti... senza alcuna gioia
nell’insegnamento, senza chiedersi che cosa sia accaduto
di nuovo in quei trent’anni, senza alcun interesse. Non è
una cosa loro, ci si sono trovati accidentalmente.
Forse soltanto l’un percento è composto da insegnanti
nati, a cui piace insegnare. Questi cercano di scoprire
più che possono sulla loro materia, sono aperti a tutte le
domande e, se non sanno qualcosa, hanno il coraggio di
dire: “Non lo so, ma cercherò di scoprirlo. E cercate di
scoprirlo anche voi”. Puoi notare dal loro approccio che
l’insegnamento per loro è come il respiro, spontaneo, per
cui non hanno bisogno di portare con sé appunti. È ciò che
amano fare.
Se una persona così si illumina, diventerà un maestro.
Nessuno lo deciderà, né l’esistenza né il maestro stesso.
È dotato di un’individualità particolare che offre
all’esistenza. Se la sua individualità ha il potenziale,
la capacità espressiva, di un maestro, l’esistenza lo
userà come tale.
Migliaia di illuminati sono vissuti e sono morti senza che
nessuno li abbia conosciuti, perché non avevano talenti
speciali in grado di renderli visibili all’uomo comune.
Potrebbero aver posseduto una qualità unica, per esempio
una straordinaria capacità di essere silenziosi, ma non
sarebbe stata notata un granché.
Queste persone non vengono riconosciute. Un danzatore può
essere un buddha, un cantante può essere un buddha, ma non
verranno riconosciuti come tali, per il semplice motivo
che ciò che fanno non può diventare un insegnamento, non
può aiutare le persone a uscire finalmente dal loro sonno.
Fanno del loro meglio; ciò che possono fare, lo fanno.
Le pochissime persone che diventano maestri sono quelle
che nel corso di molte vite hanno acquisito una certa
capacità di esprimersi, un certo intuito relativo alle
parole, alla lingua, al suono delle parole, alla simmetria
e alla poesia della lingua. Non si tratta di linguistica o
di grammatica, è un fatto totalmente diverso, si tratta di
scoprire nella lingua comune una musica straordinaria, di
creare la qualità della grande poesia nella normale prosa.
Queste persone sanno come giocare con le parole per andare
oltre le parole.
Non hanno scelto di essere maestri e nemmeno sono stati
scelti dall’esistenza per diventare maestri. Si tratta
soltanto di una coincidenza: prima dell’illuminazione
erano stati grandi insegnanti e con l’illuminazione sono
diventati maestri. Ora possono trasformare l’insegnamento
nella qualità di un maestro e questa è sicuramente la
parte più difficile.
È più facile per chi rimane in silenzio e scompare
tranquillamente, senza che nessuno lo riconosca, ma un
uomo come me non può avere una situazione facile. Non era
facile quando ero un professore, come può essere facile da
maestro? Sarà sicuramente difficile.
Più la tua intuizione, la tua visione è grande, maggiore
sarà il pericolo, perché il nemico avrà più paura… e con
nemico intendo tutti gli interessi costituiti.
Faranno di tutto per fermarmi, per creare ostacoli, per
distruggermi. Ma ciò non ha importanza, perché per quanto
mi riguarda la morte non esiste. Non possono farmi del
male. Possono credere di ferirmi, ma è soltanto
un’illusione. Creando tanti problemi non fanno che dare
risalto a ogni parola che pronuncio. La loro paranoia è la
prova del fatto che sono la maggioranza, ma non possiedono
la verità. Io non ho la maggioranza, ma ho la verità. E la
verità ha un peso molto maggiore di qualsiasi maggioranza.
Possono uccidermi, ma non possono uccidere la verità. 1
“Nella creazione che
verrà...”
Uno dei discepoli di Mahavira aveva un’immensa capacità di
esprimere ciò che è molto arduo da esprimere. Si chiamava
Goshalak. Era così bravo nell’esprimersi che persino nella
comune di Mahavira, molti erano diventati suoi discepoli.
Parlava in modo così bello, poetico, con tale autorità,
che era inevitabile che al suo ego venisse un’idea, così
chiese a Mahavira: “Dichiarami tuo successore, altrimenti
lascerò la comune con i miei discepoli”.
Non era soltanto un discepolo… Mahavira lo amava e lo
stava addestrando perché un giorno diventasse un mistico e
un maestro. Ma la folla, i discepoli, che erano in fondo
discepoli di Mahavira, stavano scegliendo Goshalak come
maestro... e il suo ego cresceva.
Mahavira gli disse: “Tu saresti diventato più di ciò che
mi chiedi. Un successore non è necessariamente un mistico
e un maestro. Non posso prometterti nulla, sarà la tua
crescita a essere decisiva, non la mia promessa. Non è
un’impresa commerciale, che posso prometterti in eredità.
Non è qualcosa che può essere ereditato”.
A causa di questo rifiuto, il suo ego fu ferito. Lasciò la
comune con cinquecento discepoli di Mahavira che pensavano
che Goshalak fosse molto più avanzato dello stesso
Mahavira.
Mahavira era molto matematico nell’espressione; parlava in
massime e aforismi che dovevano poi essere elaborati in
base alla propria esperienza, mentre Goshalak non aveva
esperienza, ma era un imitatore perfetto. Nonostante
Goshalak se ne fosse andato con cinquecento discepoli, è
da notare la risposta di Mahavira.
Mahavira affermò: “Nella creazione che verrà…”.
Nella mitologia giainista, la creazione è ciclica. Proprio
come accade con il giorno e la notte, una creazione è
seguita da un’altra creazione e così via. La mitologia
giainista è molto più scientifica di quella di altre
religioni. Non ha creatore, perché non c’è creazione, ma
un processo autonomo in cui l’esistenza continua a creare
se stessa molte volte. Dato che tutto si muove
circolarmente, ogni ciclo ha ventiquattro tirthankara,
grandi maestri.
Nonostante Goshalak l’avesse tradito, la risposta di
Mahavira fu: “Goshalak sarà il primo tirthankara della
prossima creazione, perché ha acquisito grandi capacità
nell’esprimersi. È soltanto un po’ sciocco, non comprende
quello che dice, non sa nulla. Ha udito, ma non ha
sperimentato di persona.
Tuttavia, ne è capace. Il giorno in cui si realizzerà,
sarà un grande maestro, non soltanto un mistico. In questo
momento, sta rendendo ridicolo se stesso e coloro che lo
seguono. Non sa nulla. Parla troppo. Parla bene, discute
in modo profondo, ma il contenuto non è stato
sperimentato. Tuttavia, è soltanto una questione di tempo.
Una cosa è certa, quando sarà realizzato, diventerà un
maestro.
Sono contento che sia andato via, perché ora avrà maggiore
possibilità di esprimersi. Sotto un grande albero, gli
alberi più piccoli non possono crescere e io sono un
grande albero”. Mahavira aveva diecimila discepoli che lo
seguivano sempre e milioni di altri discepoli.
Disse: “È un bene che mi abbia lasciato. In questo modo,
avrà la possibilità di essere più incisivo ed espressivo.
Spero che un giorno comprenda anche che le sue parole sono
soltanto parole, che dentro di sé è vuoto”.2
Testi di Osho tratti da:
1. The Path of the
Mystic #14
2. The Osho Upanishad #13
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Perché
non tutti
gli illuminati
possono diventare
maestri?